Giornalista a L'Intransigeant, s'avvicinò inizialmente al cinema per guadagnare, lavorando come attore per Feuillade. Formatosi culturalmente nei movimenti d'avanguardia, sensibili alle possibilità espressive della settima arte, abbandonò definitivamente il giornalismo nel 1923. In quegli anni dichiarava: «Cinema è ciò che non può essere raccontato. Ma cercate di farlo capire a gente (voi,: me, gli altri) deformate da trenta secoli di chiacchiere: poesia, teatro, romanzo. Bisognerebbe restituire all'uomo lo sguardo del selvaggio». E a questa pessimistica professione di fede rimase fedele per tutta la sua lunga e gloriosa carriera di maestro insuperato della commedia cinematografica. I suoi due primi film, Paris qui dort, su uno scienziato pazzo che si serve di un raggio misterioso per addormentare Parigi, e Entr'acte, da un'idea del pittore Francis Picabia, opera più evidentemente di avanguardia, libera da qualsiasi schema narrativo, che mantiene ancor oggi intatta la sua freschezza, furono direttamente ispirati dal clima fervido del dadaismo. Nel 1927, con Un cappello di paglia di Firenze, Clair dà un saggio di quello che intende per cinematograf o: le gags del testo originario, una pochade di Michel e Labiche, sono tutte risolte visivamente e il film non risente affatto della sua origine teatrale di cui è, anzi, una sorta di caricatura. All'avvento del sonoro l'artista è già maturo. Le «chiacchiere» che tanto odia diventano un «motore di riserva» che interviene ad abbreviare le eccessive lungaggini delle spiegazioni visive, a sottolineare i momenti drammatici o comici, ad accompagnare allegramente o tristemente l'azione. In Sotto i tetti di Parigi, 1930, Il milione, 1931, Per le vie di Parigi, 1933, Clair «reinventa» la periferia parigina; tra case alte e strette, nei cortili pieni di bambini, nelle strade dove le fioraie fermano i loro carretti, vive un mondo patetico e allegro, assetato di «aria pura» e di libertà, un mondo assolutamente «clairiano»: «un luogo dolce, dove le passioni, anche le più violente, restano attutite o soffocate dalle canzoni degli ambulanti, dagli strilli dei bambini e dai fischi dei treni» (Osvaldo Campassi). Nel 1931 Clair aveva realizzato A me la libertà, una parabola, sorridente ma non troppo, sulla schiavitù che lega l'operaio alla macchina nella civiltà industriale, un'opera alla quale si ispirò probabilmente Chaplin per alcune sequenze del suo Tempi moderni, 1936. Nel 1935 si recò in Inghilterra dove girò due commedie gradevoli ma di scarso impegno (Il fantasma galante, 1935, Vogliamo la celebrità, 1937); ritornò poi in Francia dove la guerra lo trovò impegnato nella lavorazione di Air pur (1939) e Io indusse ad emigrare negli Stati Uniti (1941-1946): qui girò quattro film nessuno dei quali valse i suoi capolavori francesi. Il ritorno in patria coincise con la realizzazione di "Il silenzio èd'oro: il personaggio principale, un vecchio innamorato, si muove sullo sfondo di una Parigi primo novecento in cui nasce e si sviluppa il cinema. E un ritorno alla città amata, ma l'attitudine, meditativa e nostalgica, èquella di un'opera matura, di un'elegia un poco amara. Con questo film testamento spirituale di un uomo che non riesce più a vivere in sintonia con la propria epoca, si chiude la grande produzione di Clair. I film seguenti, dall'ambizioso La bellezza del diavolo al vaudevillesco Le belle di notte, dall'elegante Grandi manovre al manierato e patetico Quartiere dei lillà, non aggiunsero nulla d'essenziale all'arte di questo maestro a cui sembra che la storia dei nostri anni abbia congelato il sorriso sulle labbra.