C’era proprio bisogno di UN reboot?
Prendiamo un attimo in esame qualcosa della vecchia trilogia: Sam Raimi aveva già sfruttato le storiche nemesi (Goblin, Doc Ock, Venom, quest’ultimo praticamente sprecato) nonché l’uomo sabbia e il secondo Goblin. I personaggi principali li aveva presentati quasi tutti: Zia May, Zio Ben, MJ, James Jonah Jameson, Harry Osborn, Gwen Stacy. Francamente un seguito di quella trilogia avrebbe avuto ben poco da raccontare (a parte forse la saga del clone) che fosse cinematograficamente interessante. Sam Raimi era riuscito nell’ardua impresa di sprecare 60 anni di storie “cinematograficabili” in soli 3 film. C’era, dunque, bisogno di un nuovo inizio in piena sintonia con il nuovo pensiero Marvel. Una storia continua con conseguenze che portano ad altre storie, continui agganci e così via; proprio come nella vita reale, una storia non ha mai fine.
Domanda numero due: che dire di QUESTO reboot?
Cinematograficamente parlando (per un profano Marvel) era un filmetto niente male, con uno approfondimento psicologico dei personaggi buono, non appesantito da una trama troppo complessa o da un numero eccessivo di personaggi e villains. Alcuni patiti Marvel potrebbero, invece, scandalizzarsi perché il Peter Parker presentato è diverso dal personaggio nato dalle menti di Lee e Kirby 60 anni fa, avvicinandosi molto di più alla sua versione del nuovo millennio, quella dell’universo Ultimate (stessa cosa dicasi per altri personaggi Marvel cinematografici come Thor e Occhio di Falco). A pensarci bene, ricreare uno Spiderman in stile anni ’60 solo pochi anni dopo Sam Raimi non sarebbe stato proponibile. Le alternative erano proporre la versione adulta di Spiderman che abbiamo letto fino a Civil War o quella adolescenziale dell’Ultimate Spiderman. E trattandosi di un nuovo inizio, praticamente non avevano scelta. Marc Webb e gli altri autori sono stati MOLTO bravi, però, a sfruttare le carenze dei film precedenti (cosa neanche troppo difficile) per dare lo spirito originale a questo Peter Parker e a quelli che gli giravano intorno regalando al film un plus che lo porrà per sempre sopra tutte le altre rappresentazioni di Spiderman. E molto di questo plus gira intorno a Gwendolyne Stacy. Non c’è appassionato Marvel, che possa definirsi tale, che al termine di Spiderman 3 non si sia alzato disgustato per il trattamento riservato a quella che è uno dei personaggi femminili più riusciti del mondo del fumetto. Marc Webb non solo ha restituito a Gwen la dignità che merita, ma è riuscito nell’arduo compito di renderne il vero spirito, la dolcezza intrinseca del sentimento che la lega a Peter. Ma il successo di Marc Webb non si limita a questo. Non ha voluto strafare con numerosi villains né stupire un pubblico ormai avvezzo alle scene d’azione con biechi tentativi di giustificare il 3D (inserito ormai di routine). Ha, invece, puntato di più sullo studio e l’approfondimento psicologico dei personaggi, facendo centro perfetto. E, come insegna il geniale Christopher Nolan di Batman, siamo certi che tutto ciò sia il meraviglioso preludio a qualcos’altro destinato a stupirci.
Insomma: Dopo la pessima esperienza con Sam Raimi, serviva qualcuno che ridesse spolvero a questo personaggio potenzialmente infinito e Marc Webb è riuscito senza ombra di dubbio in questo. Non l’avrei mai creduto, ma alla fine dobbiamo ringraziare Sam Raimi per aver messo da parte un personaggio come Gwen Stacy e averlo lasciato a mani evidentemente più competenti.
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