Anno | 2024 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Portogallo, Italia, Francia, Germania, Giappone, Cina |
Durata | 129 minuti |
Regia di | Miguel Gomes |
Attori | Jani Zhao, Gonçalo Waddington, João Pedro Vaz, Teresa Madruga, Lang Khê Tran Manuela Couto, Cláudio da Silva, Crista Alfaiate, Diogo Dória, Jorge Andrade, Américo Silva, Joana Bárcia, João Pedro Bénard. |
Tag | Da vedere 2024 |
Distribuzione | Lucky Red |
MYmonetro | 3,63 su 11 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 23 maggio 2024
Il viaggio di un uomo attraverso l'Estremo Oriente e della sua fidanzata che cerca di raggiungerlo. Il film è stato premiato al Festival di Cannes,
CONSIGLIATO SÌ
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Birmania, 1917. Il funzionario dell'Impero britannico Edward riceve un telegramma dalla fidanzata Molly, che vuole raggiungerlo a Rangoon per sposarlo. Edward sale sul primo treno, che deraglia. Da lì inizia un viaggio attraverso l'Estremo Oriente, che lo condurrà in Vietnam, nelle Filippine, in Giappone e infine in Cina, puntualmente raggiunto dai telegrammi di Molly che non demorde e segue le sue tracce tra mille difficoltà.
Miguel Gomes, autore di Tabu e Le mille e una notte, ha contribuito in maniera determinante a rendere una materia sempre più fluida la commistione di cinema documentario e di finzione.
Grand Tour continua un discorso personale e lo porta in Estremo Oriente: la componente di finzione è ambientata nel passato ma è evidentemente girata nel presente, spesso in interni, anche a causa del lockdown da Covid-19. La suggestiva monocromia della fotografia e l'utilizzo di tecniche come l'iris rimandano però a un'epoca lontana del cinematografo. A rappresentare gli esterni sono invece immagini catturate da Gomes durante viaggi recenti in quei luoghi e il montaggio di vecchio e nuovo, bianco e nero e colore, documentario e finzione provoca l'effetto ossimorico desiderato dall'autore. Le lingue parlate sono tante quanti i paesi attraversati e osserviamo prosaici attimi di quotidianità contemporanea - una giostra in Myanmar, un karaoke nelle Filippine e così via - mentre una voce over ricostruisce la storia d'amore incompiuto tra Edward e Molly. Un effetto complessivo straniante, agevolato da un ritmo lento e suadente e dall'immersione in una vegetazione lussureggiante che culla lo spettatore in uno stato semi-onirico.
La prima metà del film si concentra sulle peregrinazioni di Edward e sulla contemplazione, dove la seconda, in cui la protagonista è Molly, è caratterizzata da avventure esotiche e sinistri vaticini, che alzano il livello di pathos e di compartecipazione dello spettatore. Inevitabile pensare a un omaggio al capolavoro Sans Soleil di Chris Marker - come Tabu, d'altronde, lo era stato verso il film omonimo di F.W. Murnau - ripensato in base alla cifra stilistica propria di Gomes, che utilizza un cinema ibrido per sospendere l'atmosfera e trasferire lo spettatore in un limbo in cui la trama conta relativamente, smarrita tra gli scherzi della memoria e di una percezione fallace. Da Tabu Gomes riprende l'utilizzo di un 16mm in bianco e nero e l'ambientazione post-colonialista, utile ad evidenziare il contrasto tra Occidente e Oriente e l'inafferrabilità di quest'ultimo, inevitabilmente incompreso quando osservato attraverso lo stereotipato sguardo occidentale. Forse è cinema per iniziati, ma vale la pena provare ad avvicinarsi al culto del regista portoghese per poterlo apprezzare appieno.
Dalla prima immagine ci si al- lontana dalla narrativa tradizionale e dai suoi punti di riferimento temporali. Nel 1918 un ufficiale dell'impero britannico fugge dalla Birmania per evitare le nozze. Viaggia in un sudest asiatico magico, ricostruito in studio, che si mescola a quello ripreso con stile documentaristico nel 2020. Realtà, finzione, cinema muto o dialogato: la meccanica dell'opera va oltre [...] Vai alla recensione »
Il nuovo film del regista portoghese Miguel Gomes (Tabu, Le mille e una notte - Arabian Nights), riprende il tema europeo del grand tour, il classico viaggio educativo e propedeutico alla maturità che compivano solitamente i giovani rampolli dell'aristocrazia per conoscere le bellezze artistiche dell'Europa. Del grand tour classico il film di Gomes però ha mantenuto solo il titolo, visto che il viaggio [...] Vai alla recensione »
Ogni film di Miguel Gomes è la ricerca del film che il regista vorrebbe e dovrebbe fare, e che invece non sa, non può, non vuole fare. I suoi racconti sovrappongono parole e immagini sfasandole, illustrano al contrario pagine di diario, usano la tradizione (letteraria, cinematografica) come traccia da seguire e riscrivere. Grand tour, storia di un funzionario inglese del 1917 in fuga dalla promessa [...] Vai alla recensione »
Una grande avventura coloniale che tradisce il movimento. E una storia d'amore in cui gli innamorati sono assenti l'uno all'altra... Geniale fantasmagoria di Miguel Gomes, giustamente premiata per la Regia a Cannes77, Grand Tour è un oggetto di cinema che sta letteralmente fuori dal tempo e dallo spazio: non tanto per posizione teorica, ma per una questione di prassi e anche di pragmatismo.
A differenza dei tanti film girati durante la pandemia o sul tema pandemia, Grand Tour è forse l'unica opera a portare il segno della pandemia dentro le immagini. Perché una buona metà del film Miguel Gomes l'ha girata a distanza, restando chiuso in uno studio con la troupe a Lisbona, mentre il set era allestito a 3500 km di distanza, in Cina, fra Shanghai e la provincia del Sichuan, vicino al Tibet. [...] Vai alla recensione »
Dal coccodrillo di Tabu al panda di Grand Tour il passo non è così breve. In mezzo c'è tutto: l'ascesa di Miguel Gomes, le pagine di W. Somerset Maugham, un tour asiatico per le riprese e uno europeo e internazionale per i soldi, il covid, il cinema. C'è il colore ma anche - e soprattutto - il bianco e nero, il super 16mm, il teatro in molte sue forme e declinazioni, l'afflato documentaristico e le [...] Vai alla recensione »
In concorso invece è passato l'originale ma non particolarmente appassionante «Grand Tour» del visionario portoghese Miguel Gomes che, dopo essere stato negli anni scorsi tre volte in Quinzaine, vede finalmente spalancarsi le porte della sezione principale. Dove arriva portando il suo cinema ibrido che unisce, in un continuum, video e bianco nero, mascherini da cinema muto e documentario.
Un funzionario inglese a inizio Novecento di stanza a Rangoon (oggi si direbbe Yangoon, non essendo più Birmania, ma Myanmar) riceve un telegramma da Molly, la sua fidanzata, che lo informa che lo sta raggiungendo per sposarsi. Edward scappa attraverso l'Asia, mentre Molly cerca di poterlo trovare. Gomes ci porta ancora una volta dentro un viaggio affascinante, in questo caso con un'energia quasi [...] Vai alla recensione »
Che per Miguel Gomes il cinema fosse un'arte della fuga, già era chiaro dall'inizio de Le mille e una notte. Il regista scappa a gambe levate dal set, lasciando pieno potere alle immagini di muoversi tra i racconti, tra la fascinazione affabulatoria e la libertà dalle trame. Con Grand Tour, quest'arte della fuga si salda all'estetica esotica e aurorale di Tabù e giunge a compiuta definizione.
Rangoon, Birmania 1917. Edward (Gonçalo Waddington), funzionario dell'Impero britannico, fugge dalla promessa sposa Molly (Crista Alfaiate) che arriva da Londra. Durante il viaggio, il panico di Edward cede alla malinconia, mentre Molly, decisa a sposarsi, lo insegue in un grand tour asiatico, esperienza in voga nell'élite europea all'inizio del XX secolo.