SFashion

Evelyn è un'imprenditrice nel settore della moda. Ha ereditato l'azienda dal nonno, industriale di successo con un'autentica vocazione sartoriale, che Evelyn adorava e cui continua a chiedere consiglio, anche dopo che il nonno è morto. Il suo spirito guida è diventato una pianta soprannominata Antoine che invita la donna a pensare solo a se stessa e ripete un unico mantra: "mors tua, vita mea". I tempi infatti, da quando il nonno dirigeva l'azienda, sono molto cambiati, e anche il settore della moda è ora stretto nella morsa della crisi economica mondiale (il titolo SFashion si riferisce proprio a quello "sfascio"), ed Evelyn è costretta a svendere le creazioni della sua ditta per non licenziare altri dipendenti. Ma nulla sembra arrestare l'emorragia che da tempo prosciuga le risorse aziendali, umane oltre che economiche.
Anche la vita privata di Evelyn è allo sbando: ha divorziato da un marito di cui è ancora innamorata, ma per cui non ha mai avuto tempo e attenzioni, concentrata com'era sull'impresa di famiglia. Dunque ha rinunciato ad avere una famiglia propria, immedesimandosi appieno nel ruolo di donna in carriera tutta d'un pezzo. L'unico sostegno le arriva da un amico di infanzia, Bartolomeo, che è la voce della saggezza e forse anche della sua coscienza, perché Evelyn è divorata dai sensi di colpa, e vive la situazione in corso come una via crucis che sarà costretta a percorrere fino al suo epilogo naturale.

Al terzo lungometraggio di finzione, Mauro John Capece continua il suo anomalo percorso nel panorama cinematografico italiano, rimanendo ostinatamente indipendente e rivendicando una visione stilistica ben precisa.

La sceneggiatura di SFashion è scritta insieme alla sua musa, Corinna Coroneo, anche attrice protagonista nei panni di Evelyn. C'è qualcosa di ammirevole nella determinazione di Capece a mantenere una linea coerente senza curarsi dell'appeal commerciale dei suoi lavori, ma la propensione a infarcirli di tutte le tecniche del cinema sperimentale - dalle dissolvenze incrociate alle accelerazioni improvvise, dalle musiche stranianti alle inquadrature capovolte, dalle sequenze oniriche ai sonori sfalsati e sovrapposti - finisce per rendere i suoi film incentrati su un concetto di autorialità autoreferenziale e punitivo per gli spettatori.
Peccato, perché l'idea di parlare della crisi mettendo al centro un'imprenditrice onesta che la vive il fallimento aziendale come una colpa personale (contraria anche al proprio istinto materno "mariano") è interessante, come straziante è lo spettacolo di una ditta svuotata del suo personale e dei suoni della produttività. Ma la deriva cristologica (con tanto di intervallo nella narrazione per mostrare il calvario di Evelyn sulla via della crocifissione) è davvero eccessiva, come eccessivi sono i monologhi "satanici" della pianta con cui Evelyn si confronta. Sarebbe stato meglio virare decisamente verso il genere horror: gli elementi, tanto la regia stralunata di Capece che l'argomento spaventoso della crisi economica, c'erano tutti. 