Anno | 2014 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Francia |
Durata | 104 minuti |
Regia di | Jean-Jacques Zilbermann |
Attori | Julie Depardieu, Hippolyte Girardot, Anne-Marie Pisani, Mathias Mlekuz, Patrick Ligardes Maria Pitarresi, Béatrice Michel, Benjamin Wangermee. |
MYmonetro | 2,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 23 luglio 2014
Ispirato alla vita della madre del regista.
CONSIGLIATO NÌ
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Quando i russi stanno per arrivare ad Auschwitz Hélène fugge dal campo insieme a Lili, evitando la Marcia della Morte. Il ritorno alla vita non ê semplice, così come il matrimonio con un altro ex deportato: troppi i segni lasciati sul corpo e sulla psiche dal trauma vissuto. Quindici anni dopo Hélène e Lili si ritrovano a Berck-Plage per una vacanza estiva insieme a Rose, che Hélène credeva morta ad Auschwitz. Sarà l'occasione per divertirsi insieme ma soprattutto per chiudere i conti con un passato impossibile da dimenticare.
Giudicare À la vie ignorando il dato autobiografico alla base del film stesso - la protagonista della storia è la madre del regista, che compare nel finale in un estratto di realtà - sarebbe ingeneroso. È evidente il legame affettivo che anima l'opera, che l'attraversa e che impedisce a Zilbermann di adottare la necessaria lucidità, come una vista annebbiata dalle troppe lacrime di commozione. Ma è altresì impossibile sorvolare sui troppi difetti che gravano sul film, privo di coesione narrativa, in cui troppe inquadrature paiono poste a caso, senza una giustificazione legata a sviluppi futuri del contenuto né un punto di vista che costituisca una lettura morale o un punto di osservazione meritevole di analisi. Al pari di scenografia, montaggio e musiche, che sembrano provenire dai più ordinari prodotti televisivi e risultano totalmente inadeguate per una storia che vorrebbe mettere in scena la rinascita di tre donne e la loro riapertura alla vita. Quasi un inno alle gioie terrene e alle seconde possibilità offerte dal destino, amaramente sprecato tra soluzioni di regia e di sceneggiatura all'insegna dell'ovvio. Zilbermann mostra a più riprese di privilegiare il "cosa" raccontare anziché il "come", ma sul piano della pura narrazione le cose non vanno meglio: discutibile la scelta delle dilatazioni e cesure temporali, oltre che costellata di errori (effetto invecchiamento dei personaggi nullo a distanza di quindici anni tra un segmento e l'altro), che porta a un senso di vuoto e di blocco dello svolgimento. Purtroppo, come spesso avviene quando la materia trattata ha un impatto personale così forte sul regista, À la vie finisce per diventare l'album dei ricordi perduti, inclusi quelli del film che avrebbe dovuto essere e che quasi mai è riuscito a diventare.