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giovedì 27 giugno 2019
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che noia mortale: regista raccomandato?
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Premetto che sono romano e amo i film lenti e riflessivi, ma questo qui è il film più deludente e più noioso che abbia mai visto. Incredibile che abbia vinto a Venezia. Certamente il regista Rosi è amico di qualcuno che conta, non trovo altra spiegazione.
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onufrio
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giovedì 10 marzo 2016
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noioso e sopravvalutato
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Mi dispiace non aver compreso l'opera di Rosi che in questo documentario racconta stralci di vita all'interno del Grande Raccordo Anulare in quel di Roma. Storie di vita comune, storie monotone, c'è poco da ricordare, poco da far riflettere, un accozzaglia di gente con delle piccole storie che rimangono nella superficie e si disperdono nel traffico caotico del Gra.
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cpettine
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domenica 28 febbraio 2016
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la prospettiva dello scarafaggio
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Rosi ci porta in “giro” per Roma in senso letterale: viaggiando attorno all’anello d’asfalto che cinge la città (il sacro Gran Raccordo Asfaltato) sceglie una serie di storie umane con straordinaria meticolosità (dopo due anni di riprese), storie incredibilmente normali ma normalmente incredibili: travestiti nottambuli, pescatori d’anguille, nobili decaduti, vecchi dementi e giovani “pazienti”, ballerine da bar, credenti creduloni e un botanico che parla con gli scarafaggi. La storia si snoda, anche spiazzando, come un sacro anello che gira all’infinito, senza inizio e senza una fine.
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Rosi ci porta in “giro” per Roma in senso letterale: viaggiando attorno all’anello d’asfalto che cinge la città (il sacro Gran Raccordo Asfaltato) sceglie una serie di storie umane con straordinaria meticolosità (dopo due anni di riprese), storie incredibilmente normali ma normalmente incredibili: travestiti nottambuli, pescatori d’anguille, nobili decaduti, vecchi dementi e giovani “pazienti”, ballerine da bar, credenti creduloni e un botanico che parla con gli scarafaggi. La storia si snoda, anche spiazzando, come un sacro anello che gira all’infinito, senza inizio e senza una fine. La prospettiva che sceglie Rosi per raccontare tutte le sue strane-storie è quasi filmica, fin troppo asciutta, fotografica, silenziosa, ma anche inaspettatamente efficace. I nostalgici del vecchio caro documentario soffriranno la mancanza di un contenuto chiaro, i nostalgici del “buon cinema” storceranno l naso per una storia inconcludente. Tutti loro, i “critici” amanti del “prevedibile”, sono in realtà incapaci di lasciarsi portare da un apparente noioso racconto, che sembra inconcludente, ma che invece ha la potenza dello scarafaggio della locandina: la indomabile forza della sopravvivenza di una specie. L’umanità di cui ci parla Rosi infatti sopravvive ai margini di una città, lontanissima, come gli scarafaggi dal punteruolo rosso, tutti rosicchiando la propria palma, e sopravvivendo nel sacro anello infinito della vita (umana). Rosi ci mostra gesti e silenzi da così vicino da farci vedere la vita dalla prospettiva di uno scarafaggio, quasi annusandola.
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francesco2
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venerdì 20 novembre 2015
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rosi, non aver paura (di usare più rigore)
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Il nome di Rosi, a quanto sembra, era già conosciuto da qualcuno, prima che venisse insignito del Leone d'Oro a Venezia. Taluni, i (pochi,credo) detrattori del film hanno parlato di poco coraggio, rispetto alla sua produzione precedente. Probabilmente, quando si faccia "cinema documentaristico" la strada è quella ipercinematografica di Scorsese ( "Quei bravi ragazzi"), oppure quella caustica ed indagatoria di Michael Moore, del -giustamente- meno conosciuto "Religolous", della nostra Guzzanti.
Un percorso alternativo è quello che propende per l'empatia - ma non troppo -, o per il distacco, sempre che non si provi a fonderle ( ma sarebbe una sfida impossibile).
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Il nome di Rosi, a quanto sembra, era già conosciuto da qualcuno, prima che venisse insignito del Leone d'Oro a Venezia. Taluni, i (pochi,credo) detrattori del film hanno parlato di poco coraggio, rispetto alla sua produzione precedente. Probabilmente, quando si faccia "cinema documentaristico" la strada è quella ipercinematografica di Scorsese ( "Quei bravi ragazzi"), oppure quella caustica ed indagatoria di Michael Moore, del -giustamente- meno conosciuto "Religolous", della nostra Guzzanti.
Un percorso alternativo è quello che propende per l'empatia - ma non troppo -, o per il distacco, sempre che non si provi a fonderle ( ma sarebbe una sfida impossibile). Ma Rosi il distacco lo esclude, forse perché ha lavorato per anni con i protagonisti di "Sacro GRA", chiedendo con ogni probabilità il loro assenso per selezionare delle "tracce di vita amorosa",e non; allora "deve"entrare in empatia. La sfida, tuttavia, si fa ancora più impegnativa, perché chi voglia "filtrare" queste realtà, essendo al contempo documentarista e cinematografico, deve giocoforza avre una sensibilità particolare. E questo regista, qui, non ha quella di Corsicato ( si vedano le prostitute, molto lontane dai "buchi neri"), ma allo stesso tempo non è neanche Cipri e:o Maresco, fuorché non s'intenda il bruttino e scontato "E' stato il figlio". Forse i due ideatori di "Toto che disse due volte" gli devono apparire troppo nichilisti, e lui non vuole dipingere una realtà priva di speranza, già morta. Ma cosi il suo è un ibrido, che trova motivo di inteesse solo nei "vuoti" ein un "pieno", cioé il personaggio desideroso di preservare la sua palma. Il resto è un misto di personaggi senz'anima, si parli delle già citate prostitute piuttosto che dei nobili decaduti -tranne qualche momento particolare, piuttosto, ancora, che delle quantomai "televisive" scene sull'ambulanza.
Davvero discutibile, allora, l'entusiasmo per questo esperimento metacinematografico, preferito due anni fa -tra gli altri film- alla "Moglie del poliziotto" ed al tanto discusso "Mis violence"... , ed ancora più discontinuo dei "Giri di luna"... di Gaudino, tornato proprio quest'anno a Venezia. Film " da festival" ( i "giri" citati erano stati premiati a Rotterdam), che il pubblico non gradisce tanto.......ed in buona parte ha ragione.
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no_data elisabetta valento
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giovedì 4 dicembre 2014
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le nostre vite minime
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L'anello del GRA come un'anima mundi che lega e svela frammenti di vite minime che solo viste dal cielo ritrovano un senso, vite talmente vere da sembrare incompiute (perché così sempre è con la vita). Vite ai margini o all’imbocco di una svolta che, forse, li condurrà a un centro. Solo una surrealtà o un’illusione consente a quelle vite di essere vissute… ed è lì che il sacro emerge, in quello scintillio di poesia che riconquista la dignità, nella cantilena della madre demente al figlio innamorato, negli alambicchi usati per debellare il punteruolo rosso che divora la palma nostrana metafora dell’anima, in una melanzana andata a male annusata in una casa occupata o in una fetta di melone mangiata credendo che l’Italia è ancora un luogo che dona bontà.
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L'anello del GRA come un'anima mundi che lega e svela frammenti di vite minime che solo viste dal cielo ritrovano un senso, vite talmente vere da sembrare incompiute (perché così sempre è con la vita). Vite ai margini o all’imbocco di una svolta che, forse, li condurrà a un centro. Solo una surrealtà o un’illusione consente a quelle vite di essere vissute… ed è lì che il sacro emerge, in quello scintillio di poesia che riconquista la dignità, nella cantilena della madre demente al figlio innamorato, negli alambicchi usati per debellare il punteruolo rosso che divora la palma nostrana metafora dell’anima, in una melanzana andata a male annusata in una casa occupata o in una fetta di melone mangiata credendo che l’Italia è ancora un luogo che dona bontà. E mentre i fari delle macchine sfilano la tenerezza, marea benigna, ti sommerge.
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no_data elisabetta valento
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mercoledì 10 settembre 2014
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le nostre vite minime
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L'anello del GRA come un'anima mundi che lega e svela frammenti di vite minime che solo viste dal cielo ritrovano un senso, vite talmente vere da sembrare incompiute (perché così sempre è con la vita). Vite ai margini o all’imbocco di una svolta che, forse, li condurrà a un centro. Solo una surrealtà o un’illusione consente a quelle vite di essere vissute… ed è lì che il sacro emerge, in quello scintillio di poesia che riconquista la dignità, nella cantilena della madre demente al figlio innamorato, negli alambicchi usati per debellare il punteruolo rosso che divora la palma nostrana metafora dell’anima, in una melanzana andata a male annusata in una casa occupata o in una fetta di melone mangiata credendo che l’Italia è ancora un luogo che dona bontà.
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L'anello del GRA come un'anima mundi che lega e svela frammenti di vite minime che solo viste dal cielo ritrovano un senso, vite talmente vere da sembrare incompiute (perché così sempre è con la vita). Vite ai margini o all’imbocco di una svolta che, forse, li condurrà a un centro. Solo una surrealtà o un’illusione consente a quelle vite di essere vissute… ed è lì che il sacro emerge, in quello scintillio di poesia che riconquista la dignità, nella cantilena della madre demente al figlio innamorato, negli alambicchi usati per debellare il punteruolo rosso che divora la palma nostrana metafora dell’anima, in una melanzana andata a male annusata in una casa occupata o in una fetta di melone mangiata credendo che l’Italia è ancora un luogo che dona bontà. E mentre i fari delle macchine sfilano la tenerezza, marea benigna, ti sommerge.
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astrolabio63
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giovedì 28 agosto 2014
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proletariume allo stato solido
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Questa la filmografia contemporanea, che fa ampia eco ad altri film di estrazione intellettual-operaia..... A partire proprio dalla 'grande bellezza'.....
Ma tutti questi artisti perchè non se ne vanno a ripulire - gratuitamente - le fogne della suburra di Roma sud? Il cialtrone sudamericano potrebbe ringraziarli commosso.... Similia similibus......
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howlingfantod
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domenica 27 luglio 2014
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innovativo e stupendo
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La controparte di una “Grande bellezza”, la grande bellezza della periferia, ancor più vera perché veri i personaggi così’ lontani dai salotti, dalle feste, dalle terrazze e da tutte le chiacchiere che si svolgono qualche chilometro più verso il centro, centro di che cosa poi? L’opera rompe gli schemi realtà-finzione abbattendo il muro fra fiction e documentario, abbatte il muro del girovagare romano quasi unidirezionale o comunque destinato a un fine come nell’episodio di “Aprile” di Nanni Moretti”, in quanto in Sacro GRA il girovagare è circolare come il GRA stesso che ritorna sempre al punto di partenza, abbattendo tempi e spazi. I personaggi tutti indimenticabili, difficile fare una classifica tra il figlio con la madre anziana e malata, il palmologo, il transessuale o il principe o cavaliere di Malta, loro si agitano su questo limitare non si sa se appena fuori o all’interno del GRA, si intuisce quasi appena che la loro vita e i loro sogni si svolgano intorno a questo anello, ma in fondo l’anello è solo un pretesto, un immagine sfuocata, un anello di saturno come nella didascalia iniziale che tutto contiene o tutto esclude, il GRA ricorda certi porosi confini che delimitano un dentro e fuori che non esiste.
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La controparte di una “Grande bellezza”, la grande bellezza della periferia, ancor più vera perché veri i personaggi così’ lontani dai salotti, dalle feste, dalle terrazze e da tutte le chiacchiere che si svolgono qualche chilometro più verso il centro, centro di che cosa poi? L’opera rompe gli schemi realtà-finzione abbattendo il muro fra fiction e documentario, abbatte il muro del girovagare romano quasi unidirezionale o comunque destinato a un fine come nell’episodio di “Aprile” di Nanni Moretti”, in quanto in Sacro GRA il girovagare è circolare come il GRA stesso che ritorna sempre al punto di partenza, abbattendo tempi e spazi. I personaggi tutti indimenticabili, difficile fare una classifica tra il figlio con la madre anziana e malata, il palmologo, il transessuale o il principe o cavaliere di Malta, loro si agitano su questo limitare non si sa se appena fuori o all’interno del GRA, si intuisce quasi appena che la loro vita e i loro sogni si svolgano intorno a questo anello, ma in fondo l’anello è solo un pretesto, un immagine sfuocata, un anello di saturno come nella didascalia iniziale che tutto contiene o tutto esclude, il GRA ricorda certi porosi confini che delimitano un dentro e fuori che non esiste.
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max.antignano
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domenica 9 marzo 2014
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quando la realtà supera la finzione
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In molti hanno detto e scritto di Sacro Gra come di un eccelso documentario, ma a vederlo si rimane veramente in dubbio se si stia assistendo a un documentario ben girato o a un film degno della migliore tradizione neorealista. La trama è complessa, un collage di storie di varia umanità suburbana legate dalla soffocante presenza (sic!) dell'autostrada urbana più famosa d'Italia.
C'è davvero di tutto, dall'infermiere sull'ambulanza del 118 al professore che studia le palme invase dal malefico punteruolo rosso (che campeggia nel manifesto del film), dal pescatore di anguille sotto il ponte del raccordo alle prostitute ageè (trans?) che lavorano sul camper all'uscita dello stesso; dall'affittacamere con villa in (dis)gusto hollywoodiano agli abitanti della palazzina popolare.
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In molti hanno detto e scritto di Sacro Gra come di un eccelso documentario, ma a vederlo si rimane veramente in dubbio se si stia assistendo a un documentario ben girato o a un film degno della migliore tradizione neorealista. La trama è complessa, un collage di storie di varia umanità suburbana legate dalla soffocante presenza (sic!) dell'autostrada urbana più famosa d'Italia.
C'è davvero di tutto, dall'infermiere sull'ambulanza del 118 al professore che studia le palme invase dal malefico punteruolo rosso (che campeggia nel manifesto del film), dal pescatore di anguille sotto il ponte del raccordo alle prostitute ageè (trans?) che lavorano sul camper all'uscita dello stesso; dall'affittacamere con villa in (dis)gusto hollywoodiano agli abitanti della palazzina popolare...
Vedute del Gra, grandi pascoli, il fiume, il raccordo sotto la neve... ottima fotografia, storie appassionanti. Ogni personaggio combatte la sua personale battaglia, sopravvivendo alla realtà e alla novità. La romanità soprattutto sopravvive imperterrita, con le unghie e con i denti, ed è uno spettacolo vedere un pescatore di anguille leggere una rivista specializzata e parlare ( monologare sarebbe più appropriato) con una donna che annuisce distratta mentre lavora ai ferri, con sullo sfondo un extracomunitario che riavvolge la rete da pesca... ed è come rivedere l'Albertone nazionale e Annarella....scomparsi e presenti.
Roma torna alla ribalta, curioso che dopo averla vista svuotata e ridotta a simulacro di se stessa ne La Grande Bellezza , Sacro Gra ce la restituisca poi tumefatta ma viva all'estrema periferia, quasi quest'autostrada sia il monumento della modernità, e il famoso insetto simbolo dell'umanità sofferente e devastante che siamo diventati.
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no_data
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lunedì 24 febbraio 2014
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noia mortale
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Film lento e privo di significato.
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