no_data
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giovedì 17 ottobre 2013
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una metafora fatta di cemento e anime
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Regia di Gianfranco Rosi, curriculum di tutto rispetto e meritato successo a Venezia. Il suo è uno dei pochissimi lavori italiani di questi ultimi anni degni di misurarsi con la storia del cinema nazionale, nonché con l'attualità di quello straniero. Il film è documentaristico nella più nobile delle accezioni; De Seta, anzitutto, per il respiro umanitario.
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Regia di Gianfranco Rosi, curriculum di tutto rispetto e meritato successo a Venezia. Il suo è uno dei pochissimi lavori italiani di questi ultimi anni degni di misurarsi con la storia del cinema nazionale, nonché con l'attualità di quello straniero. Il film è documentaristico nella più nobile delle accezioni; De Seta, anzitutto, per il respiro umanitario. Ma non dimentica Ciprì e Maresco quando disegna i tratti di un grottesco sempre e comunque affettuoso. Alcuni presupposti estetici derivano dal cinema di Straub e Huillet: il rapporto con gli spazi, col suono e con la natura ("Quei loro incontri"). I riferimenti cinematografici, però, sono ancora più ampi, europei. I soggetti di "Sacro GRA" sono due: un'umanità (anche residuale) e il mostro d'asfalto sul quale notte e giorno trafficano i veicoli, onnipresenti col loro rumore di sottofondo. Il riscatto è una catastrofe (o una liberazione dell'anima) e spetta ad un solo personaggio: il palmologo che - con un gesto davvero autoriale - annuncia a metà del film "l'antipasto della vendetta" che si materializza con l'esumazione di cadaveri e coi veicoli nella neve, il suono rarefatto. È lui a prendersi cura delle palme ("hanno la forma dell'anima") ascoltandone le fibre infestate dai parassiti; prima deve attrarli per farli allontanare. E infine prepara una pozione per debellarli del tutto. Rosi, a stretto contatto con il reale, ha trovato la fonte di una verità assai più vera e poetica di quella che quest'anno abbiamo visto raccontare altrove; "La grande bellezza" di Sorrentino si tiene a timorosa distanza da tutto questo.
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marco santillani
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domenica 13 ottobre 2013
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delusione totale
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Se bastasse prendere una telecamera, un telefonino ed iniziare a riprendere amici, conoscenti che raccontano la propria storia, più o menointeressante .... se bastasse tutto ciò per vincere il Leone D'oro... io proverei a farlo. Il cinema per fortuna è tutt'altra cosa. E' idea. Si parte da un'idea, da una storia, la si arricchisce col soggetto, poi la si forma con la sceneggiatura. Da qui si comincia a cercare sponsor, a cercare gli attori giusti, i volti giusti. Poi ci sono le riprese, la troupe, la recitazione, il lavoro del regista ecc. Qui non c'è nulla di tutto questo. E' solo una telecamera che riprende amici, parenti e conoscenti. Ognuno con la sua storia, spesso noiosa, spesso poco interessante.
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Se bastasse prendere una telecamera, un telefonino ed iniziare a riprendere amici, conoscenti che raccontano la propria storia, più o menointeressante .... se bastasse tutto ciò per vincere il Leone D'oro... io proverei a farlo. Il cinema per fortuna è tutt'altra cosa. E' idea. Si parte da un'idea, da una storia, la si arricchisce col soggetto, poi la si forma con la sceneggiatura. Da qui si comincia a cercare sponsor, a cercare gli attori giusti, i volti giusti. Poi ci sono le riprese, la troupe, la recitazione, il lavoro del regista ecc. Qui non c'è nulla di tutto questo. E' solo una telecamera che riprende amici, parenti e conoscenti. Ognuno con la sua storia, spesso noiosa, spesso poco interessante. Questo basta per fare un buon film? Io non credo.
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zoom e controzoom
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martedì 8 ottobre 2013
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documentario dessé
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Il premio a questo documentario a Venezia, ha suscitato meraviglia in quanto “documentario”. C’è però da dire molto di più. In questo momento il documentario va molto di moda e tutti hanno un loro linguaggio ben definito. Perlopiù, chi conosce argomento o luoghi, si accorge quanto superficiali o didattici siano questi lavori. Le caratteristiche principali di quelli che non sono didattici e quindi classicamente intesi come precisa e spesso noiosa descrizione del soggetto, sono due: i conduttori che diventano in realtà protagonisti e la tecnica attuale che rende meravigliosamente visibili cose che altrimenti non si potrebbero gustare.
Per i primi, il conduttore ha un tale carisma che spesso ci si identifica col suo divertimento, per i secondi, macro e rallenty, portano alla conoscenza affascinanti mondi che nemmeno ci sfiorerebbe l’idea di andare a cercare.
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Il premio a questo documentario a Venezia, ha suscitato meraviglia in quanto “documentario”. C’è però da dire molto di più. In questo momento il documentario va molto di moda e tutti hanno un loro linguaggio ben definito. Perlopiù, chi conosce argomento o luoghi, si accorge quanto superficiali o didattici siano questi lavori. Le caratteristiche principali di quelli che non sono didattici e quindi classicamente intesi come precisa e spesso noiosa descrizione del soggetto, sono due: i conduttori che diventano in realtà protagonisti e la tecnica attuale che rende meravigliosamente visibili cose che altrimenti non si potrebbero gustare.
Per i primi, il conduttore ha un tale carisma che spesso ci si identifica col suo divertimento, per i secondi, macro e rallenty, portano alla conoscenza affascinanti mondi che nemmeno ci sfiorerebbe l’idea di andare a cercare.
Santo Gra, non è niente di tutto questo, anzi: è estremamente “povero”. Riprese statiche e spezzettamento di “storie dei protagonisti” alternate al paesaggio, sono l’impostazione strutturale del lavoro.
Il serpentone di macchine, il Sacro Gra, è un protagonista incombente, ma lontano, anonimo, carico dei suoi supposti – automobili=mondo benestante – ma non è indagato, è semplicemente un mondo a parte. Intorno gravita un’umanità borgatara che ricorda l’umanità pasoliniana, nel suo terrificante spessore di misera umanità che non può uscire dalla “miserabilità” nella quale è nata. Non ha possibilità. Questo è il pregio del documentario: non presentare niente di quello che non c’è. Non suscita nemmeno emozioni. Le storie non sono storie, sono pagine di un giornale aperto e consumato per/dalla strada sotto ogni intemperia, dimenticato, non importante: di ogni storia ne compare un po’, ma resta lì immutabile senza un prima che ne giustifichi l’esistenza, e un dopo che faccia pensare ad un futuro inteso come speranza. La regia non entra nel merito di ciò che mostra, se non in due situazioni con un intervento tecnico coloristico e uno sonoro, azioni queste che non sono riuscita a collocare come necessità filmico narrativa, se non quella di interrompere una continuità di scelte che poteva diventare monotona. Eppure in tutto questo piatto magma, c’è il pizzico della follia umana, quella che fa sorridere in quanto follia degli altri: alcuni personaggi sono davvero particolari in quanto inusuali nel comune dei nostri incontri, ma sono presenti in modo contenuto tanto da non concedersi come spettacolo per emozionare. Non è un documentario per ogni palato, è reso in modo troppo semplice e leggerne i contenuti, resi in modo così controllato, non è da chi si aspetta le cose abituali, cioè gratificanti almeno per l’occhio o per lo spirito d’avventura da poltrona. Un lavoro da valutare con la mente sgombra dagli orpelli fittizzi anche se qualche cosa di costruito anche in questo c’è: tutti quanti i personaggi hanno dovuto recitare se stessi, ma ci sono riusciti con una compostezza che certo non passa per spontaneità, ma che se non ci fosse – se le riprese fossero state “rubate” – questo sarebbe andato a discapito di quel distacco della regia dal contenuto, che invece crea del lavoro uniformità.
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millotta
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martedì 8 ottobre 2013
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gra sta per grande fratello?
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Sembra un Grande Fratello d'autore.
Ma spiare la vita degli altri è poi così divertente?
Bastava la peggior televisione, ora con questo film il Sacro GRAnde Fratello è arrivato anche al cinema.
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kartiko
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lunedì 7 ottobre 2013
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documentario...non film
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Non capisco di arte cinematografica ma i personaggi appaiono scarni, sovrastati dalle problematiche di uno status sociale! Molto noioso e lento..ma i romani solari con la battuta pronta dove li ha lasciati il regista...troppo negativo e stimola la catatonia!!!!meglio un big mac!!!! Il peggior film/documentario mai visto prima
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giovanni_gianello
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lunedì 7 ottobre 2013
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capolavoro
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Una umanità autentica e tutta da gustare quella racchiusa entro il grande raccordo anulare di Roma, raccontata in questo straordinario documento cinematografico; una umanità immune dalla ferocia omologatrice dei media e invisibile all'occhio ottuso dei cronisti. Storie di persone eccezionalmente comuni e singolari, umili e laboriose, riprese da una videocamera al cui sguardo amorevole esse si offrono incuranti della sua curiosità, sempre composta e rispettosa: un pescatore di anguille, profondo conoscitore del proprio mestiere, che liquida con una critica caustica un pomposo articolo di quotidiano sulle anguille infarcito di banalità. Lo ascoltano in divertito silenzio la moglie che sferruzza, e il garzone bangladese; un arcigno e compassato aristocratico, abile imprenditore, che ha fatto della sontuosa dimora una pensione, un luogo per ricevimenti e un set di fotoromanzi; una coppia di prostitute che stazionano a bordo strada in un camper dove condividono le loro storie, con pane e prosciutto, aspettando la notte; una figlia permanentemente al portatile che ascolta e commenta gli aneddoti e le perle di filosofia del papà dalla lunga barba bianca, che si affaccia a osservare il mondo come un dio dall'ultimo piano di una palazzina isolata che potrebbe essere una Torre di Babele; un anziano studioso e nemico di grossi artropodi che parassitano le palme del parco di casa, voraci come avventori al ristorante; un operatore di ambulanza, angelo ed eroe della strada officina di morte.
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Una umanità autentica e tutta da gustare quella racchiusa entro il grande raccordo anulare di Roma, raccontata in questo straordinario documento cinematografico; una umanità immune dalla ferocia omologatrice dei media e invisibile all'occhio ottuso dei cronisti. Storie di persone eccezionalmente comuni e singolari, umili e laboriose, riprese da una videocamera al cui sguardo amorevole esse si offrono incuranti della sua curiosità, sempre composta e rispettosa: un pescatore di anguille, profondo conoscitore del proprio mestiere, che liquida con una critica caustica un pomposo articolo di quotidiano sulle anguille infarcito di banalità. Lo ascoltano in divertito silenzio la moglie che sferruzza, e il garzone bangladese; un arcigno e compassato aristocratico, abile imprenditore, che ha fatto della sontuosa dimora una pensione, un luogo per ricevimenti e un set di fotoromanzi; una coppia di prostitute che stazionano a bordo strada in un camper dove condividono le loro storie, con pane e prosciutto, aspettando la notte; una figlia permanentemente al portatile che ascolta e commenta gli aneddoti e le perle di filosofia del papà dalla lunga barba bianca, che si affaccia a osservare il mondo come un dio dall'ultimo piano di una palazzina isolata che potrebbe essere una Torre di Babele; un anziano studioso e nemico di grossi artropodi che parassitano le palme del parco di casa, voraci come avventori al ristorante; un operatore di ambulanza, angelo ed eroe della strada officina di morte.
Le storie si dipanano con commovente naturalezza, con respiro umano che rassicura e riabilita lo spettatore, restituendo un volto e una dignità all'umanità violentata dalle cronache e dai sondaggi, che persiste nella sua proteiforme ricchezza e diversità, a dispetto di ogni coercizione globalizzante. Un'umanità avviluppata ma non prigioniera in questa mostruosa serpe di asfalto, dove le auto scorrono, vanno e vengono in una stolida corsa sempre identica a se stessa, mentre la vita fiorisce e muore nel succedersi delle stagioni, sottolineate dal fulgore della luce solare, la stessa luce che ammalia la comitiva delle mistiche danarose sovraesposte alla febbre dell'estasi, o dalle tinte lugubri del cimitero, dove i becchini sfasciano i feretri, per ritornare alla luce del giorno di un cielo d'inverno, sulle fosse promiscue e sul campo di croci, dove la neve, in una sequenza di alta poesia, casca greve e avvolge il mondo in una coltre d'ovatta che neutralizza ogni innaturale rumore.
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m.romita
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domenica 6 ottobre 2013
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elogio della lentezza
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Film straordinario suscettibile di piani di lettura diversi e forse anche contrastanti . Andate a vederlo ma sappiate che è un film per pochi . Se non vi piacerà non fatevene un cruccio : quanti oggi apprezzano e ascoltano la musica colta contemporanea ?
Non disperatevi.
Tuttavia questo film affascina e commuove ; non è un documentario in senso proprio , ma è cinema che di più non si può .
Sul Grande Raccordo Anulare la vita corre ininterrottamente giorno e notte sotto forma di mezzi motorizzati diversi ma tutti anonimi, che corrono, corrono e spesso sono costretti a bloccarsi in ingorghi incomprensibili .
Le luci sono quelle dell'alba , del crepuscolo e della notte . In una dimensione totalmente altra , ma vicina nello spazio, scorrono vite diverse , uomini e non macchine.
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Film straordinario suscettibile di piani di lettura diversi e forse anche contrastanti . Andate a vederlo ma sappiate che è un film per pochi . Se non vi piacerà non fatevene un cruccio : quanti oggi apprezzano e ascoltano la musica colta contemporanea ?
Non disperatevi.
Tuttavia questo film affascina e commuove ; non è un documentario in senso proprio , ma è cinema che di più non si può .
Sul Grande Raccordo Anulare la vita corre ininterrottamente giorno e notte sotto forma di mezzi motorizzati diversi ma tutti anonimi, che corrono, corrono e spesso sono costretti a bloccarsi in ingorghi incomprensibili .
Le luci sono quelle dell'alba , del crepuscolo e della notte . In una dimensione totalmente altra , ma vicina nello spazio, scorrono vite diverse , uomini e non macchine.
Andatelo a vedere ; anche se non vi piacerà sarà bello lo stesso.
Massimo Romita
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salvatore venuleo
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domenica 6 ottobre 2013
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sacro gra, l'inferno che abbiamo costruito
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Sacro GRA di Gianfranco Rosi è un documentario “recitato”: storie parallele attorno al Grande Raccordo Anulare di Roma. Storie di solitudini disegnate dall'architettura che abbiamo inventato. Avendo visto prima La grande bellezza, mi è spontaneo pensare che questo film ne è la replica come una sorta di La grande bruttezza. La bellezza scioccante di Roma e la bruttezza scioccante di ciò che la alimenta. Il territorio inciso da un grande progetto viario che ha lasciato ai suoi margini l'antico, insieme a nuove orride escrescenze. L'antico sono le pecore pascolanti sulla collina sovrastante il raccordo, indifferenti alla sua vita metallica. L'antico è l'anguillaro espertissimo che non sa a chi trasferire la sua sapienza.
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Sacro GRA di Gianfranco Rosi è un documentario “recitato”: storie parallele attorno al Grande Raccordo Anulare di Roma. Storie di solitudini disegnate dall'architettura che abbiamo inventato. Avendo visto prima La grande bellezza, mi è spontaneo pensare che questo film ne è la replica come una sorta di La grande bruttezza. La bellezza scioccante di Roma e la bruttezza scioccante di ciò che la alimenta. Il territorio inciso da un grande progetto viario che ha lasciato ai suoi margini l'antico, insieme a nuove orride escrescenze. L'antico sono le pecore pascolanti sulla collina sovrastante il raccordo, indifferenti alla sua vita metallica. L'antico è l'anguillaro espertissimo che non sa a chi trasferire la sua sapienza. Alle pseudo verità e ai disastri del sapere globale impavido oppone la sconfitta sapienza antica che racconta alla donna silente. Silente perché non c'è nulla di cui valga la pena parlare. Antiche sono le palme divorate dai parassiti e inutilmente moderno è lo scienziato hobbista che le studia non si sa bene perchè. Antico il nobilastro dell'ignoto ordine nobiliare che intreccia rapporti con altrettanti ignoti notabili dell'est europeo. Il nuovo è sempre orrido e triste. I palazzoni quasi disabitati da cui ci si affaccia per scrutare indizi di vita o intravvedere Roma lontana. Le ragazze immagine nel localino così così, l'immigrato che negozia con la paziente prostituta prestazioni low cost. E poi il pezzo più cupo e meno recitato. I necrofori al lavoro, dettagliatamente seguiti mentre liberano le bare dal cemento, le aprono e portano via i resti in un mondo che appare immane produzione di cadaveri, oltre che di merci. La professionalità, la routine di un lavoro inventato perché decidemmo che nessuno dovesse più occuparsi dei propri morti. E infine l'operatore del 118 che soccorre le vittime del GRA, con vite che si rincorrono, ignote e indifferenti ognuna alle altre. Lì anche l'eccezione di vera umanità. La tenerezza senza riserve dell'operatore accanto alla madre demente. L'amore, insomma, quello vero e gratuito. Non quella cosa che gli uomini chiamano amore per sentirsi autorizzati a far male. Infine i monitor che a decine seguono la normalità del Grande Raccordo Anulare. Ignorando lo scempio circostante.
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vns1985
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sabato 5 ottobre 2013
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terribile
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Sono al cinema e non aspetto l'ora che finisca
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no_data
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sabato 5 ottobre 2013
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porta con te il pigiama
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Non con poca curiosità sono andato a vedere il film, speranzoso di poter godere delle atmosfere suburbane della città eterna e dei loro abitanti. Che dire? Raramente ho atteso con sittanta ansia la fine di un film al cinema ... Certamente non si può pretendere un action movie a fronte di una pellicola girata a mò di documentario ma, le pause nei dialoghi, le scene silenziose e la complessiva lentezza ne fanno un capolavoro di noia mortale, di tanto in tanto interrotta da qualche pallida venatura poetica laddove l'insignificante succedersi delle vicende dei personaggi affonda nella solitudine dei loro piccoli gesti quotidiani. Non credo che, per quanto in stile doc., il film renda invece ragione della vitalità ed energia delle periferie metropolitane.
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Non con poca curiosità sono andato a vedere il film, speranzoso di poter godere delle atmosfere suburbane della città eterna e dei loro abitanti. Che dire? Raramente ho atteso con sittanta ansia la fine di un film al cinema ... Certamente non si può pretendere un action movie a fronte di una pellicola girata a mò di documentario ma, le pause nei dialoghi, le scene silenziose e la complessiva lentezza ne fanno un capolavoro di noia mortale, di tanto in tanto interrotta da qualche pallida venatura poetica laddove l'insignificante succedersi delle vicende dei personaggi affonda nella solitudine dei loro piccoli gesti quotidiani. Non credo che, per quanto in stile doc., il film renda invece ragione della vitalità ed energia delle periferie metropolitane...Solitudine sì, va bene, ma inquietudine no grazie!
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