foffola40
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domenica 6 gennaio 2013
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inutile
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il tema non è banale ma molto trattato in letteratura e anche nel cinema . Questa volta però ha fatto scalpore l'analogia con Scientology ( vari attori ne fanno parte) ma non è bastato per rendere interessante il film. Di una lentezza esasperante quasi il regista volesse ipnotizzare anche lo spettatore, si parla di due persone disturbate : Freddy ( padre etilista, madre in manicomio) oltre ai geni ha subito lo stress della guerra recente , (la storia è ambientata negli anni '50) e continua a bere di tutto. Il Maestro,invece, non si capisce se crede di essere un guru oppure lo fa credere per sfruttare a vantaggio suo e della famigliola una buona vita a carico degli adepti.
La storia è antica e banale , i due attori recitano bene ma che altro? Nulla.
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il tema non è banale ma molto trattato in letteratura e anche nel cinema . Questa volta però ha fatto scalpore l'analogia con Scientology ( vari attori ne fanno parte) ma non è bastato per rendere interessante il film. Di una lentezza esasperante quasi il regista volesse ipnotizzare anche lo spettatore, si parla di due persone disturbate : Freddy ( padre etilista, madre in manicomio) oltre ai geni ha subito lo stress della guerra recente , (la storia è ambientata negli anni '50) e continua a bere di tutto. Il Maestro,invece, non si capisce se crede di essere un guru oppure lo fa credere per sfruttare a vantaggio suo e della famigliola una buona vita a carico degli adepti.
La storia è antica e banale , i due attori recitano bene ma che altro? Nulla. Non mi pare un capolavoro come la critica molto benevola vuole farci credere. foffola'40
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rubinho62
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domenica 6 gennaio 2013
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un delirio onirico allucinante
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Nulla da dire sulla bravura recitativa soprattutto di Phoenix ed anche di Hoffman ma le note positive si fermano li.
Il film è incentrato sulla vita di uno psicopatico alcolizzato, Freddie (Phoenix) che incontra un mistico, Dodd (Seymour Hoffmann) fondatore di un movimento religioso, La Causa, in cui Freddie crede di trovare i riferimenti di cui ha bisogno. Tra i due nasce un legame profondo che si snoda per tutto il film.
Le critiche parlano della genialità con la quale gli istinti primordiali, l'aggressività, e le pulsioni di Freddie sono state rappresentate in quet'opera.
In realtà quel che ho visto è una squaliida impietosa rappresentazione della vita di un povero demente con oscenità assolutamente evitabili (probabilmente sono l'espressione della compiaciuta perversione del regista.
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Nulla da dire sulla bravura recitativa soprattutto di Phoenix ed anche di Hoffman ma le note positive si fermano li.
Il film è incentrato sulla vita di uno psicopatico alcolizzato, Freddie (Phoenix) che incontra un mistico, Dodd (Seymour Hoffmann) fondatore di un movimento religioso, La Causa, in cui Freddie crede di trovare i riferimenti di cui ha bisogno. Tra i due nasce un legame profondo che si snoda per tutto il film.
Le critiche parlano della genialità con la quale gli istinti primordiali, l'aggressività, e le pulsioni di Freddie sono state rappresentate in quet'opera.
In realtà quel che ho visto è una squaliida impietosa rappresentazione della vita di un povero demente con oscenità assolutamente evitabili (probabilmente sono l'espressione della compiaciuta perversione del regista...) e di un furbo, ingannatore, trascinatore di folle, bravo ad irretire e come sono quasi sempre queste figure, per niente incline al contraddittorio (satirica...!?!? parodia del fondatore di Scientology, Ron Hubbard).
Un film brutto, pesante, per niente coinvolgente ne interessante. Concilila il sonno per disperazione o peggio, come ho visto succedere, una precipitosa fuga dalla sala.
Drammatico? No, delirante! Introspettiva psicologica? No, squallida, esagerata rappresentazione di impulività e perversione!
Un ultima nota sulle figure femminili del film: nulle! Burattine o burattinaie, meretrici o vittime ma mai degne di nota.
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xxseldonxx
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domenica 13 gennaio 2013
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rappresentazione dell'irrazionale mente umana
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Col finire della Seconda Guerra Mondiale, gli USA, dimostratisi vincitori indiscussi del conflitto, si trovano a dover affrontare il problema dei reduci, la cui psiche, stravolta da anni di conflitto, impedisce loro di rientrare con facilità nella società. Freddie Quell è un caso disperato: la sua ossessione per il sesso si rivela fin dalle prime scene sull'isola insieme agli altri militari, la sua aggressività e l'alcolismo poco più avanti. Dopo qualche test psicologico e qualche consiglio dell'ufficiale di turno, gli ex combattenti cercano di trovare un impiego e di reinserirsi nel mondo civile.
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Col finire della Seconda Guerra Mondiale, gli USA, dimostratisi vincitori indiscussi del conflitto, si trovano a dover affrontare il problema dei reduci, la cui psiche, stravolta da anni di conflitto, impedisce loro di rientrare con facilità nella società. Freddie Quell è un caso disperato: la sua ossessione per il sesso si rivela fin dalle prime scene sull'isola insieme agli altri militari, la sua aggressività e l'alcolismo poco più avanti. Dopo qualche test psicologico e qualche consiglio dell'ufficiale di turno, gli ex combattenti cercano di trovare un impiego e di reinserirsi nel mondo civile. Freddie, dopo una breve occupazione come fotografo in un centro commerciale, finita a seguito di una zuffa con un cliente, si ritrova a raccogliere insalata; cacciato anche da quel mondo, finisce, ubriaco, su un battello dove incontra Dodd Lancaster, enigmatico e carismatico capo di una setta, chiamata la "Causa" (e chiaramente ispirata a Scientology), di cui il protagonista diventerà presto adepto.
A cinque anni da "Il petroliere", Paul Thomas Anderson torna al cinema con questo film che, ispirato al personaggio di L. Ron Hubbard, non si sofferma molto sulla storia e sulla struttura della setta, quanto piuttosto sulle figure del Maestro e del suo allievo pupillo e sul rapporto tra di loro. La pellicola dunque ruota unicamente attorno ai due personaggi principali; se da un lato questo la penalizza dal punto di vista narrativo, risulta molto approfondita per quanto riguarda la caratterizzazione psicologica dei due protagonisti.
Philip Seymour Hoffman interpreta con grande abilità la figura carismatica del Maestro; non conosciamo il passato di questo personaggio, che vive fortemente nel presente, nonostante la sua dottrina si basi fondamentalmente sull'ubiquità dell'anima, capace di trovarsi in più ere contemporaneamente. Possiamo unicamente seguirlo con gli occhi del protagonista principale nella sua quotidianità fatta di discorsi e di terapie psicologiche: ci rimane preclusa la sua mente e il suo pensiero che egli maschera abilmente, tanto che alla fine del film lo spettatore non è in grado di stabilire con certezza se il Maestro fosse veramente convinto di quel che predicava o se lo facesse solo per desiderio di potere. Diversi elementi, tuttavia, ci fanno tendere verso la seconda ipotesi: in primis la dichiarazione del figlio ("Si inventa tutto al momento; non te ne rendi conto?"), che tuttavia sostiene il padre fino alla fine, aiutandolo nella "Causa"; inoltre il comportamento che Dodd tiene in pubblico si rivela una montatura, tesa a nascondere il suo vero carattere, non appena qualcuno, sia egli uno sconosciuto scettico, sia ella la più fedele dei suoi affiliati, o lo stesso Freddie, pone un'obbiezione alla sua dottrina; la sua reazione spontanea distrugge quella maschera da tranquillo intellettuale che si era costruito: sbotta e riesce a difendersi dalla razionalità delle domande unicamente con una serie di insulti volgari e accuse, facendo trasparire una rabbia spietata. Nel mondo da lui creato non c'è spazio per la ragione ed egli stesso basa il suo potere di persuasione sul fascino dell'irrazionalità: molti sono infatti i "giochi", come lui stesso li chiama, che col razionale non hanno nulla a che vedere, a cui sottopone Freddie: dalla sequenza in cui l'ex marine è costretto a camminare per una stanza toccando di volta in volta il muro o la finestra, a quella della fuga in moto verso un obiettivo insensato. Grande, in ogni caso, è il suo desiderio di potere e di controllo sulle altre persone, come dimostrato nella scena del "ballo Ramingo" in cui è palese la soggezione che tutti hanno nei suoi confronti; egli inoltre si pone come un'istituzione alternativa allo stato, con cui è perennemente in conflitto. Anche il suo rapporto con Freddie è ambiguo: egli lo prende sotto la sua ala protettiva, lo usa come cavia dei suoi esperimenti ma al contempo sviluppa per lui l'affetto che un padre troppo permissivo può avere nei confronti del figlio (più volte lo apostrofa "birbantello", in seguito ai suoi violenti scoppi d'ira). In ogni caso, nonostante anch'egli abbia le sue debolezze nell'alcol e nelle donne, Dodd Lancaster è un personaggio stabile, forse perfino statico, che per tutto il film non mostra mai un segno di cedimento, di turbamento e di evoluzione psicologica: che egli sia convito o no di quello che predica, la sua figura si eleva troppo in alto per la comprensione dell'uomo medio e, di conseguenza, a volte anche dello spettatore.
Freddie Quell, nonostante condivida con il suo maestro la passione per l'alcol e per il sesso, può essere visto come l'opposto di Dodd. Ritornato in patria, si ritrova a fotografare un'America da cartolina, finta, fatta di volti perfetti di famiglie sorridenti, a cui sente di non appartenere. Nella sua perenne fuga egli cerca proprio una famiglia, dopo essere stato abbandonato dallo stato e dalle istituzioni: questa famiglia la trova nella setta di Lancaster, e nel Maestro vede un amico, un padre, un'istituzione da difendere e da servire. Rimane completamente ammaliato da questo personaggio, tanto da credere ciecamente a lui, più che alla sua dottrina, che non segue con una poi così grande convinzione; la sua fedeltà incondizionata, unita al carattere iracondo, lo porta spesso ad agire violentemente nei confronti di chi critica il suo mentore, di chi critica l'unico punto fermo attorno a cui ruota la vita di questo reduce: la sua è, prima di tutto, una reazione di autodifesa. E d'altronde Dodd non lo critica così fermamente, trattandolo come una padre che vizia il figlio. Tuttavia la sua fede viene messa a dura prova: la dichiarazione del figlio del predicatore lo scuote profondamente e lo porta, nella scena successiva, rinchiuso in cella, a sfogare tutta la sua rabbia; il dubbioso fedele alla festa per la pubblicazione del secondo libro gli apre gli occhi e lui, dopo un attimo di rabbia, comprende l'assurdità del culto; nella scena della motocicletta infine decide di recidere completamente i legami con quel mondo che riconosce come sbagliato: ed eccolo allora raggiungere l'obiettivo che si era fissato, come richiesto dalla consegna del Maestro. In questo momento appare chiara l'impossibilità di relazionarsi con la società esterna alla setta: la fidanzata lasciata anni addietro non c'è più ad attenderlo e egli riesce a malapena a parlare con la madre, sulla soglia della porta. L'inquadratura finale sancisce infine il fallimento della sua relazione con Dodd e la fine della momentanea stabilità mentale.
Dal punto di vista tecnico, il film presenta una fotografia e una regia egregia, fatta tutta di stretti primi piani, pochissime scene all'aperto, che costituiscono i pochi attimi di "respiro" del film, rispetto al senso di claustrofobia creato dal regista nei luoghi chiusi e stretti, dalla cella alla cabina della nave: l'opera di Anderson procede in maniera sconnessa, riflettendo in questo modo l'instabilità mentale di Freddie, attraverso i cui occhi viene narrata la storia, e la sua tendenza ad accettare incondizionatamente gli eventi che gli capita di vivere. L'interpretazione degli attori inoltre è certamente lodevole: Hoffman recita un personaggio decisamente convincente e talmente carismatico da ammaliare perfino il pubblico, Joaquin Phoenix poi interpreta perfettamente il reduce psicopatico a cui fornisce uno spessore psicologico espresso anche attraverso la camminata ingobbita e le smorfie facciali.
"The Master" è dunque un film profondo e dotato di una grande fisicità, resa attraverso l'interpretazione di Phoenix e le molteplici inquadrature di volti e corpi. La pellicola procede piuttosto lentamente, gravata da una trama a tratti assente, ma prontamente supplita dalle magnifiche interpretazioni attoriali (su tutte la virtuosa scena del "test" dopo il primo incontro tra i due). L'interpretazione non risulta per niente facile e forse al film si può imputare un eccesso di ambiguità, tuttavia appropriata a un opera che si propone di rappresentare, più che analizzare, l'enigmatica irrazionalità della mente umana.
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vapor
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lunedì 7 gennaio 2013
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la "cinema-terapia"
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Il regista di "Magnolia" è bravo e gira un film che sembra avere l'effetto di un farmaco a base di impressioni appena un po' fuori dall'ordinario, quel tanto che basta per portare lo spettatore in una dimensione indefinita e trasmettergli le stesse sensazioni affascinanti e seducenti di cui sono capaci i personaggi carismatici a cui Anderson si ispira nei suoi film, come l'eccentrico telepredicatore in Magnolia e stavolta il controverso L. Ron Hubbard fondatore di Scientology. Il film ha un passo lento e deciso e procede inesorabile e silenzioso come la nave che spesso appare, interrotto solo da istanti di brusca tensione costruiti abilmente attorno alle vicende dei due bravi protagonisti-Phoenix è totalmente nella parte, fa impressione- capaci di animare il film come i due poli di una batteria.
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Il regista di "Magnolia" è bravo e gira un film che sembra avere l'effetto di un farmaco a base di impressioni appena un po' fuori dall'ordinario, quel tanto che basta per portare lo spettatore in una dimensione indefinita e trasmettergli le stesse sensazioni affascinanti e seducenti di cui sono capaci i personaggi carismatici a cui Anderson si ispira nei suoi film, come l'eccentrico telepredicatore in Magnolia e stavolta il controverso L. Ron Hubbard fondatore di Scientology. Il film ha un passo lento e deciso e procede inesorabile e silenzioso come la nave che spesso appare, interrotto solo da istanti di brusca tensione costruiti abilmente attorno alle vicende dei due bravi protagonisti-Phoenix è totalmente nella parte, fa impressione- capaci di animare il film come i due poli di una batteria. Con questo non si può dire che sia un film semplice o semplicemente godibile; la pellicola scorre in maniera imprevista, non si sa dove il regista voglia condurre la sua analisi e lascia allo spettatore il compito di auto-suggestionarsi oppure di osservare con distacco. La colonna sonora (molto piacevole) spinge nella prima direzione e al tempo stesso si resta distanti. Giunti al termine si scende dalla nave e si soffre di mal di terra, ma ci ricorda l'importanza di un cinema che cerca di essere diverso, oppure che ci riesce e basta. Leggere attentamente il foglietto illustrativo può avere effetti collaterali. MAT
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ennas
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lunedì 7 gennaio 2013
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maestri e seguaci
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La guerra, eterna e spietata maestra di orrori è doppiamente feroce nel restituirci individui
nevrotici e disadattati e nel rendere più psico-fragile chi già lo era di suo, è il caso di Freddie Quell ( il superbo Joachin Phoenix) nel film di Anderson, reduce dalla guerra che cerca di riprendere il controllo della propria vita abusando dei classici ingredienti distruttivi : alcool – potenziato da intrugli- , sesso compulsivo e aggressività a fior di pelle.
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La guerra, eterna e spietata maestra di orrori è doppiamente feroce nel restituirci individui
nevrotici e disadattati e nel rendere più psico-fragile chi già lo era di suo, è il caso di Freddie Quell ( il superbo Joachin Phoenix) nel film di Anderson, reduce dalla guerra che cerca di riprendere il controllo della propria vita abusando dei classici ingredienti distruttivi : alcool – potenziato da intrugli- , sesso compulsivo e aggressività a fior di pelle.
E’ quindi un’incontro fulminante quello di Freddie con Lancaster Dobb ( un magistrale Hoffmann) capo di una setta che teorizza il controllo dei propri istinti e della propria vita a chi si sottopone alla “disciplina” della “Causa” (nome della setta).
Le attese di questo film da parte del pubblico, dopo il Festival di Venezia 2012 e i relativi premi – Leone d’argento alla regia, Coppa Volpi doppia ai due attori- erano molto forti: molti fra questi, ed io fra loro, si attendevano un film incentrato sulla crescita di una setta pseudo-religiosa, con messa a fuoco dei meccanismi di proselitismo e irretimento di individui drammaticamente bisognosi di sicurezze.
Il film, nel personaggio di Lancaster, dei suoi adepti e famigliari, sembra all’inizio imboccare questa strada, mostrandoci le tecniche parapsicologiche d’accatto, i luoghi comuni sull’autocontrollo, lle immersioni in altre vite prenatali ed altre amenità che rendono palese un senso di inconsistenza dietro la facciata rutilante della setta. Il tutto sovrastato dalla carismatica figura del “capo” .
Poi però il film si concentra sul rapporto tra i due protagonisti : sul loro bisogno reciproco, sullo specchio di odio e amore, seduzione e ricatto che si dispiega dal loro legame sempre più forte. Di questa schermaglia passionale la regia scandaglia ogni piega con meticolosa cura.
Sulla bravura dei due attori protagonisti niente da eccepire : due giganti del cinema, sono fantastici, straordinari. Ma proprio qui, a mio parere, si innesca una delle contraddizioni di questo film. E’ come se fra i due prendesse corpo una gara di bravura e a questa gara il regista assista rapito, dimenticando il resto del film e girando a vuoto sui contenuti.
La regia sembra girare alla moviola tanto i tempi sono lunghissimi e il risultato rende il film un mattone fortemente indigesto per lo spettatore.
I cinefili più esperti e raffinati apprezzeranno la perfezione tecnica di questo film, la splendida fotografia, l’accuratezza dell’ambientazione.
Ma il pubblico comune, al quale appartengo, esce dal cinema stremato da una pesantezza soporifera, come avesse ingerito chili di cibi mal cotti. E perciò non ha nè la voce nè lo spirito per gridare al capolavoro ma può sommessamente sussurrare “ flop “.
Siamo noi pubblico comune un po’ “beoti”, incapaci di vedere la qualità perciò inadatti a giudicarla? O il regista in questo film ha mancato il bersaglio? O lo ha modificato in corso d’opera? In ogni caso un risultato piuttosto controverso.
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ilaria appetecchia
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martedì 22 gennaio 2013
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e se fosse un bluff...
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Film pluripremiato, plurinominato, plurirecensito; eppure The Master è quasi un bluff.
Un reduce della seconda guerra mondiale, disadattato, mezzo alcolizzato e sessuomane, Freddie Sutton (Joaquin Phoenix), in una circostanza casuale quanto confusa s’imbatte nel maestro-filosofo-scienziato Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman). Questo è a capo di una comunità quasi interamente composta dalla sua numerosa e pallida famiglia, ed è convinto che potrà prendersi cura di Freddie grazie alle sue innovative tecniche di riabilitazione a metà strada fra l’iponosi, la metempsicosi, la magia, la sua prepotente personalità.
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Film pluripremiato, plurinominato, plurirecensito; eppure The Master è quasi un bluff.
Un reduce della seconda guerra mondiale, disadattato, mezzo alcolizzato e sessuomane, Freddie Sutton (Joaquin Phoenix), in una circostanza casuale quanto confusa s’imbatte nel maestro-filosofo-scienziato Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman). Questo è a capo di una comunità quasi interamente composta dalla sua numerosa e pallida famiglia, ed è convinto che potrà prendersi cura di Freddie grazie alle sue innovative tecniche di riabilitazione a metà strada fra l’iponosi, la metempsicosi, la magia, la sua prepotente personalità. Il riferimento culturale sembra rimandare a L. Ron Hubbard fondatore di Scientology. La setta para-esoterica assai diffusa in America e molto frequentata dai vip di Hollywood.
Il percorso di vicinanza e di riabilitazione fra questi due uomini molto diversi (ma forse simili?) comincia. Come va a finire? Non si capisce bene. Questa la sostanza della trama, sciorinata dal regista Paul Thomas Anderson in una sceneggiatura (firmata da lui stesso) sconclusionata, pretenziosa, confusa. Moltissimi gli esercizi critici sulla ricerca del significato recondito di The Master: un’allegoria della storia americana, un film sulla solitudine umana, una rappresentazione della dialettica servo-padrone-vittima-carnefice. Nessuna interpretazione sarà mai defintiva. La sensazione prevalente consegnata allo spettatore è tuttavia la noia mortale. Una narrazione inutilmente frammentata, lenta, incoerente. Ma ciò che più disturba è il deficit clamoroso dell’idea da raccontare; più banalmente è la mancanza della storia. Tale inconsistenza emerge in modo quasi plastico proprio perché affidata ad un impianto tecnico e attoriale di livello eccelso. In questa dissociazione fra forma e sostanza sta l’effetto bluff di The Master. Le gigantesche interpretazioni di Phoenix e Hoffman, enfatizzate da primi piani quasi invadenti, appaiono perfino leziose, sprecate, proprio perché rimangono sospese nel vuoto, non potendo agganciarsi ad un convincente profilo psicologico ed umano dei personaggi.
Nei fotogrammi finali quasi stufano. Il film non merita davvero la fama che lo ammanta.
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antonio canzoniere
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mercoledì 20 febbraio 2013
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alla ricerca del padre
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Negli anni 40, Freddie, marine con disturbi psichici, incontra Lancaster Dodd, mistico che crea una comunità religiosa reclutando "spaesati" da far aderire al gruppo, basato su teorie stile "giro di vite". Tra i due scatta così una simbiosi malvista dalla moglie del medium. Finale elegiaco. Dopo "Il petroliere", Paul Thomas Anderson ha trovato un'autentica epoca d'oro del suo cinema che trova le sue radici filologiche in Rousseau e Freud, ma qui le sue tematiche preferite sono al massimo della raffinatezza. La storia di Freddie è il riassunto di un sistema sociologico, quello americano, puro e immacolato alla Henry James ma storpiato dagli effetti della WWII, in cui, un po' come narrato ne "Da qui all'eternità", trova nuove pulsioni da espiare e da tarpare con una nuova identità creata dalle ceneri di un antico puritanesimo che sta alla base di una mentalità dei padri.
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Negli anni 40, Freddie, marine con disturbi psichici, incontra Lancaster Dodd, mistico che crea una comunità religiosa reclutando "spaesati" da far aderire al gruppo, basato su teorie stile "giro di vite". Tra i due scatta così una simbiosi malvista dalla moglie del medium. Finale elegiaco. Dopo "Il petroliere", Paul Thomas Anderson ha trovato un'autentica epoca d'oro del suo cinema che trova le sue radici filologiche in Rousseau e Freud, ma qui le sue tematiche preferite sono al massimo della raffinatezza. La storia di Freddie è il riassunto di un sistema sociologico, quello americano, puro e immacolato alla Henry James ma storpiato dagli effetti della WWII, in cui, un po' come narrato ne "Da qui all'eternità", trova nuove pulsioni da espiare e da tarpare con una nuova identità creata dalle ceneri di un antico puritanesimo che sta alla base di una mentalità dei padri. Perché un fondo, di questo si tratta: trovare un "Padre", un ideale che possa porre fine ad uno smarrimento interiore, magari Dio, lo stato o un santone incantatore. In questo il regista sfoga i lati più torbidi del suo cinema dallo sguardo obliquo, (uno dei pochi insieme a quello di Jane Campion che riesca a mettere in immagini nitide e delicate sentimenti torbidi e confusi) dando importanza vitale alla forza cerebrale delle menti dei personaggi e i corpi di un Trio divino di attori: un Phoenix che va dal corpo all'anima in un metodo anti Actors' Studio, Seymour Hoffmann irraggiungibile e una Adams indimenticabilmente puntuta. Un film metafisico che sconfina poi nel melodramma alla Fassbinder, soprattutto quando va in scena il rapporto servo-padrone dei protagonisti, che ricorderà ai più attenti "Il diritto del più forte". E come non rimembrare Hanna Schygulla e co con una trama così? Indimenticabile. Premio per la regia e Coppa Volpi ex aequo a Venezia 2012
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pepito1948
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martedì 15 gennaio 2013
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una perversa alleanza
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Lancaster e Freddie si incontrano casualmente. Lancaster, plurititolato capo indiscusso di un movimento filosofico-religioso, pontifica circondato da una corte che ne asseconda entusiasticamente le esternazioni , espone come illuminato da luce divina le sue ardite teorie speculative, si avvale della collaborazione della sua migliore discepola (in verità co-maestra), la fedele moglie che è anche la custode del verbo della Causa, ma necessita di continuo di sperimentazioni umane che verifichino la validità delle teorie del Master e ne soddisfino il narcisismo e la ricerca di conferme personali. Freddie è un reduce i cui pensieri vagano in ordine sparso, ha una rabbia talvolta incontrollata , ha problemi nel gestire la propria sessualità, si perde nei labirintici meandri del rapporto con la donna amata; in sostanza cerca qualcosa o qualcuno che dia un senso alla sua squilibrata realtà mentale.
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Lancaster e Freddie si incontrano casualmente. Lancaster, plurititolato capo indiscusso di un movimento filosofico-religioso, pontifica circondato da una corte che ne asseconda entusiasticamente le esternazioni , espone come illuminato da luce divina le sue ardite teorie speculative, si avvale della collaborazione della sua migliore discepola (in verità co-maestra), la fedele moglie che è anche la custode del verbo della Causa, ma necessita di continuo di sperimentazioni umane che verifichino la validità delle teorie del Master e ne soddisfino il narcisismo e la ricerca di conferme personali. Freddie è un reduce i cui pensieri vagano in ordine sparso, ha una rabbia talvolta incontrollata , ha problemi nel gestire la propria sessualità, si perde nei labirintici meandri del rapporto con la donna amata; in sostanza cerca qualcosa o qualcuno che dia un senso alla sua squilibrata realtà mentale. L’incontro mette in moto un processo relazionale che realizza le attese di entrambi: Lancaster ha la sua cavia, Freddie il suo psico-restauratore. Inizia un percorso di affiliazione, che in realtà è di formazione coatta sotto le false spoglie di una cura dell'anima e della mente; le metodiche sono basate sulla ripetitività di frasi e movimenti, sulla estenuante durata delle "sedute", sull'obbedienza. Freddie si fa plasmare e diviene la guardia dell'ortodossia della Causa, tanto da mettere a mal partito chi osi contestarla. Sembra riacquisire l'identità perduta, ma qualcosa nel suo profondo intimo si ribella. Una luce inconscia lo avverte del pericolo fino a spingerlo alla scelta traumatica ma inevitabile del distacco, nel momento in cui il rapporto di forza tra i due tende ad invertirsi: l'avido bisogno di gratificazione prevale sull'inseguimento di un modello che comincia a scricchiolare. E quando i due si ritrovano per riprendere il filo, Freddie ha la forza di reciderlo, riappropriandosi della libertà di pensare ed agire, potenzialmente ben più efficace di qualsiasi indottrinamento etero-guidato. Nella ritrovata sessualità con una donna ora si sente lui il maestro, vuole condurre il gioco da tanto tempo subito. Ma è davvero così?
L'abilità di Anderson sta nel proporre una vicenda chiaramente ispirata a Ron Hubbard, in cui tutto questo è descritto con estrema sottigliezza, velando e tratteggiando senza mai debordare da un’apparente plausibilità. La figura del Predicatore non è quella di un cialtrone da 4 soldi, ma un intellettuale dotto e sicuro di sè che, seppure smodatamente narcisista, sembra volersi prendere cura di un ex soldato sbandato nell'America post-bellica pruriginosa, appesantita e moralista. Il rapporto è in continuo movimento, ed è proprio la reattività tumultuosa dell'ex soldato che infervora, attrae ed affascina il suo maestro. Ma i segnali di "warning" affiorano ben presto, sia pure sotto le righe. Le donne nude, la masturbazione della moglie al leader della Causa sono segnali di una sottomissione settaria imposta ed inderogabile; la scelta dell'adepto psicolabile (sempre un po’ piegato in avanti, come se dovesse inciampare da un momento all’altro) fa pensare alla generale fragilità o labilità di coloro che si affidano totalmente ai demiurghi di cervelli, e così via. Naturalmente Anderson è un degno rappresentante del cinema moderno, quello che richiede la partecipazione attiva dello spettatore nello scavare sotto la superficie, quello che suscita riflessioni o la ricerca di significati cifrati. Il film non indica soluzioni, ma offre elementi di ponderazione, e sventaglia diverse opzioni interpretative, come quella di un attacco, attraverso una storia di guru e di plagio, alla pratica psicanalitica, così diffusa in USA (e non solo) da far ipotizzare una sorta di dipendenza generalizzata. Inutile sottolineare che un film del genere almeno per il 50% è basato sulla resa attoriale dei protagonisti, qui al massimo della bravura, sulla cui dinamica espressiva è incentra la sapiente regia. Qualche pausa di troppo, un taglio forse elitario che richiede un approccio intellettivo notevole, ma un prodotto d’autore pregevole.
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jaylee
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domenica 3 febbraio 2013
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il culto del business
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È sempre stato un mistero come mai il culto di Scientology non fosse mai stato preso in considerazione per una pellicola, anche se la presenza all’interno di essa di figure molto potenti ad Hollywood (come ad esempio Tom Cruise e, fino a poco tempo fa, John Travolta) è probabilmente stato un forte deterrente. Non a caso, ci ha pensato un vero e proprio cane sciolto come Paul Thomas Anderson (che peraltro aveva dato allo stesso Cruise una delle sue migliori interpretazioni di sempre in Magnolia) a darne una versione –anche se con nomi diversi- con The Master, ripercorrendone i primi passi dal 1950 in poi, dallo status di movimento elitario-intellettuale fino al passaggio a movimento di massa.
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È sempre stato un mistero come mai il culto di Scientology non fosse mai stato preso in considerazione per una pellicola, anche se la presenza all’interno di essa di figure molto potenti ad Hollywood (come ad esempio Tom Cruise e, fino a poco tempo fa, John Travolta) è probabilmente stato un forte deterrente. Non a caso, ci ha pensato un vero e proprio cane sciolto come Paul Thomas Anderson (che peraltro aveva dato allo stesso Cruise una delle sue migliori interpretazioni di sempre in Magnolia) a darne una versione –anche se con nomi diversi- con The Master, ripercorrendone i primi passi dal 1950 in poi, dallo status di movimento elitario-intellettuale fino al passaggio a movimento di massa.
In realtà lo scopo di Anderson non è tanto quello di narrare un trattato su cosa sia Scientology, sulle effettive basi su cui poggia il Culto (come viene chiamato all’interno del film), quanto di capire le motivazioni che hanno spinto molti individui verso le idee di uno scrittore di fantascienza (L. Ron Hubbard, nel film il personaggio di Lancaster Dodd, interpretato da Philip Seymour Hoffman), evolutosi in psicoterapeuta autodidatta, poi in patriarca di una setta inizialmente diffusa localmente, poi a livello mondiale.
Lo fa attraverso gli occhi di Freddy Quell (Joaquin Phoenix), veterano traumatizzato della Seconda Guerra Mondiale: alcolizzato, ossessionato dal sesso, passa di lavoro in lavoro, finché incontra Lancaster Dodd, che lo prenderà sotto la sua ala protettrice fino a farne un seguace. I due sviluppano un rapporto quasi padre-figlio, con la moglie di Dodd (una superba Amy Adams, glaciale e pragmatica first lady) a completare il trio familiare. Quello che in realtà colpisce della visione di Anderson, è che il Culto si sviluppa consapevolmente (con forse l’eccezione dello stesso Dodd) nella piena consapevolezza di quanto siano vuote e incoerenti le idee del fondatore, ma siano di fatto sostenute dai seguaci né più né meno come fossero un business, un’azienda intenta a reclutare e fidelizzare clienti sui propri prodotti (libri, sedute “terapeutiche”, eventi…). Allo stesso modo, Freddy non si comporta come un fedele, ma piuttosto come un figliol prodigo che vive in un lungo sogno, intervallato da momenti di lucidità (dove, di fatto, tende a scappare) e sostanzialmente plagiato, ma consapevole allo stesso modo in cui lo sono i suoi Maestri. Crede ciecamente senza capire veramente. In un certo senso, rappresenta quell’America (non a caso il primo post-Conflitto Mondiale, periodo di sbandamento collettivo dopo un unità di intenti naturale come quello di vincere una Guerra), disposta a credere a tutto, pur di appartenere a qualcosa. Non che la storia non sia ciclica, o si tratti di situazioni limitate agli Stati Uniti: in periodi di crisi, emergono i Leader del Domani. Positivi o negativi che siano, Leader; e moltitudini che desiderano essere guidate fuori dall’incertezza.
The Master può vantare recitazioni di livello straordinario, con un Phoenix emaciato e in bilico tra l’oblio e la rabbia, ed un Hoffman magnetico, bugiardo e dal sorriso accogliente come una tagliola. Quello che invece non convince è la trama: il film rimane sempre a metà tra il raccontare la storia di uno sbandato e le origini di un Movimento, ma senza approfondire nessuno dei due in modo soddisfacente. Lo sviluppo della narrazione appare casuale, più una sequenza di scene che effettivamente qualcosa di organico. Ce ne sono di alcune molto interessanti (la scena finale tra Dodd e Quell, o quelle di esperimenti nelle case di alcuni seguaci), con dialoghi altrettanto significativi, ma complessivamente anche molte che lasciano perplessi (le domande che suscitano: e questo cosa significa? Perché mi viene detto questo?). Per tanti versi, The Master ricorda il Petroliere (ultima fatica di P.T. Anderson), con una terra dove religione e business hanno confini labili, personaggi carismatici, epopee legate a momenti storici passati; ma a differenza dell’altro, fallisce nel creare una narrazione coerente. Con una domanda spontanea che sorge alla fine: e quindi? (www.versionekowalski.it)
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fedson
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domenica 24 febbraio 2013
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il maestro di tutti noi.
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L'affresco proposto da Anderson, a cinque anni di distanza dal suo capolavoro "Il Petroliere", tende a rappresentare nuove ed emblematiche caratteristiche e numerosi sinistri aspetti che albergano nella mente dell'uomo, stavolta a sfondo di rapporto, di una congiunzione, di una sorta di legame padre-figlio. Padre, rappresentato dall'enigmatica figura del "Maestro". Chi è il Maestro? Qual è il suo obiettivo? Che rapporto ha con noi? Perché ci desidera? Perché ci governa? Cosa ci insegna? Domande alle quali Anderson dona una risposta esemplare tramite figure, visioni ed eventi simbolici. Il Maestro dice di essere un filosofo, un fisico nucleare, un medico, uno scrittore e, più importante, un uomo afflitto da una profonda curiosità che lo spinge a conoscere lo sconosciuto e l'ignoto, quest'ultimi raffigurati dalla figura di Freddie (Phoenix), allegorica immagine del "figlio" indisciplinato e governato dall'istinto (proprio come un animale).
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L'affresco proposto da Anderson, a cinque anni di distanza dal suo capolavoro "Il Petroliere", tende a rappresentare nuove ed emblematiche caratteristiche e numerosi sinistri aspetti che albergano nella mente dell'uomo, stavolta a sfondo di rapporto, di una congiunzione, di una sorta di legame padre-figlio. Padre, rappresentato dall'enigmatica figura del "Maestro". Chi è il Maestro? Qual è il suo obiettivo? Che rapporto ha con noi? Perché ci desidera? Perché ci governa? Cosa ci insegna? Domande alle quali Anderson dona una risposta esemplare tramite figure, visioni ed eventi simbolici. Il Maestro dice di essere un filosofo, un fisico nucleare, un medico, uno scrittore e, più importante, un uomo afflitto da una profonda curiosità che lo spinge a conoscere lo sconosciuto e l'ignoto, quest'ultimi raffigurati dalla figura di Freddie (Phoenix), allegorica immagine del "figlio" indisciplinato e governato dall'istinto (proprio come un animale). Sarà proprio questo Maestro (Hoffman), a renderlo parte della sua setta, innescandogli in testa idee e teorie che porteranno Freddie ad una conoscenza di se stesso e del mondo mai vista e mai avuta. Ma chi è in realtà questo Maestro? Egli è simbolo dell'infinita conoscenza, della saggezza, della soluzione a tutti i problemi, del potere assoluto; ma, cosa più rilevante, è simbolo della figura paterna che ogni figlio ha e che vede indistruttibile, razionale, forte, sincera e amorevole, proprio come il protagonista Freddie vede Lancaster Dodd (il Maestro). Essendo Padre, il Maestro ha quindi una sua compagna, una donna, una moglie, la signora Peggy Dodd (Amy Adams), figura dell'indiscutibile potere femminile che risiede in ogni famiglia e sui suoi componenti (padre/marito in primis). Il vero Maestro, infatti, non è Lancaster, ma la moglie Peggy, che incarna l'immancabile presenza femminile in un rapporto concreto, umano o amorevole che sia, una figura materna che Freddie brama sin dall'inizio (e nel finale, se si pensa alle due scene in cui il protagonista si costruisce una donna di sabbia per abbracciarla e coccolarla, proprio come fa un figlio con la legittima madre) e di cui lo stesso Padre ne è succube, soggetto e vittima (ciò viene indicato tramite la breve scena in cui il Maestro si fa masturbare dalla moglie, segno della sua impotenza e schiavitù nei confronti della stessa). Tutto questo viene rappresentato dal regista in chiave leggermente psichedelica, che tende verso una rappresentazione cruda e diretta di quelle che sono i fatti, le teorie e le visioni dei personaggi secondo un'accuratissima fotografia di puro impatto e un riflessivo montaggio in stile "andersoniano". Un quadro di pure visioni ed immagini struggenti, che più di una volta potrebbe lasciare un po' l'amaro in bocca (specie per la mancanza di una concreta narrazione, se non figurativa), ma che fa riflettere intensamente durante il film; il che può essere considerato da una parte una sorta di "passo falso" per la carriera cinematografica dello stesso Anderson, ma dall'altra un modo per conoscere più a fondo lo stile e le idee del regista. Immagini e simbologie emotivamente amare, ma niente male nel complesso.
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