How To Die in Oregon

Nel 1994 l'Oregon è diventato il primo stato degli Usa a consentire per legge che i dottori potessero prescrivere a pazienti terminali e gravemente sofferenti una dose di medicinale letale. Da allora circa 500 persone si sono avvalse del diritto di procedere al suicidio assistito. Il documentario di Peter Richardson si apre, senza falsi pudori, con un filmato amatoriale (girato da uno dei parenti) che riprende l'assunzione del farmaco da parte del 343esimo paziente, Roger Sagner. La procedura è precisa. La volontaria dell'associazione Compassion and Choices gli pone due domande: "Sa di avere il diritto di cambiare idea?" e, ricevuta risposta affermativa, prosegue: "Cosa le farà questa bevanda?". La risposta è ferma e conturbante: "Mi ucciderà e mi renderà felice".
Sin dall'apertura quindi questo documentario ci pone di fronte a riflessioni sulle nostre scelte in materia e sui nostri principi etici. La tesi del regista (che è chiaramente favorevole alla procedura) non si basa su un tentativo di proselitismo acritico quanto piuttosto sulla problematica relativa al diritto di pensarla diversamente senza però privare chi lo chiede di poter accedere alla prestazione. Richardson non ci mostra solo persone che soffrono terribilmente. Si preoccupa anzi di mostrarci il caso opposto. Si tratta di un paziente cinquantatreenne affetto da cancro alla prostata che si vede comunicare dalla propria assicurazione che le spese per la chemioterapia non possono essere coperte. La stessa compagnia è però disposta ad accollarsi i costi di un suicidio assistito che l'interessato non desidera per nulla. Le storie che fanno da filo conduttore sono due. Una è quella di Nancy Niedzielski, che ha visto morire il marito tra atroci dolori per un tumore al cervello senza che gli fosse consentito porre fine alle sofferenze in quanto residente nello Stato di Washington. Da quel momento la donna ha lottato per l'approvazione della legge Death With Dignity anche in quello Stato. Ma la vicenda che seguiamo più da vicino e che maggiormente tocca nel profondo le coscienze è quella di Cody Curtis, una donna di 54 anni affetta da un cancro al fegato recidivo e inoperabile. Cody è vitale, attaccata all'esistenza e ai suoi familiari ma ha con sé, legalmente, ciò che può porre fine ai suoi giorni. Non la vediamo gridare il proprio dolore, non è un caso eclatante ma, forse proprio per questo, il suo percorso diviene ancor più significativo. La camera la segue da vicino salvo poi restare in attesa, vicina e lontana al contempo, quando il momento verrà. Documentari come questo, non a caso prodotto dall'HBO, restano nella memoria di chi li ha visti e continuano a porre quesiti anche dopo la fine dei titoli di coda. 