Titolo originale | Días de gracia |
Anno | 2011 |
Genere | Thriller |
Produzione | Messico |
Durata | 133 minuti |
Regia di | Everardo Valerio Gout |
Attori | Eva Longoria, Carlos Bardem, Paulina Gaitan, Miguel Rodarte, Tenoch Huerta Kristyan Ferrer, Dolores Heredia, Mario Zaragoza, Vikram Chatwal, Dagoberto Gama, José Sefami. |
MYmonetro | 3,09 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
|
Ultimo aggiornamento venerdì 29 aprile 2011
Eva Longoria è la protagonista del film d'esordio del regista Everardo Gout, ambientato a Città del Messico.
CONSIGLIATO SÌ
|
Messico, 2002, 2006, 2010. Mentre il paese è immerso nell'isteria per le finali dei Mondiali di calcio, seguiamo, a intervalli, un poliziotto dai metodi brutali che si dovrà occupare di un sequestro di persona, e alcuni personaggi loschi che si muovono nella vicenda. Tra questi uno dei guardiani del rapito, un ragazzo di nome Doroteo, che da piccolo era stato torturato dal poliziotto.
«Lascia perdere, è Città del Messico», si potrebbe così mutuare l'epitaffio finale di Chinatown, per rendere il senso di questo film. Protagonista è un "cattivo tenente", un poliziotto che non esita a usare metodi brutali per raggiungere i suoi scopi. «Sono una iena e questa è la mia giungla», è il suo motto. E in questa giungla si mette in scena un gioco della sopravvivenza, tra guerre di racket, forze dell'ordine corrotte fino al midollo, prostituzione e traffici di droga, dove a spuntarla sono solo quelli che «hanno le palle». Il tutto contrappuntato visivamente dalle onnipresenti immaginette votive, con i ceri accesi. «Non c'è giustizia perché Dio perdona tutti i nostri peccati», dice un altro personaggio.
Nessuno sembra salvarsi da questo impietoso ritratto, a parte, e solo parzialmente, Doroteo, così come tutti i personaggi, guardie e ladri, capi della polizia e boss della malavita, sono accomunati dalla passione ipnotica per le partite della coppa del mondo, che tengono col fiato sospeso, come loro, l'intero Paese. Un modo per annullare le personalità in quel delirio collettivo che è il calcio. Emblematica la scena in cui l'uomo sequestrato viene torturato dai suoi aguzzini, che parte dall'inquadratura di un pallone da calcio. A questo sport sembra contrapporsi la boxe, esempio di pratica agonistica che nasce dal basso, in palestre improvvisate sotto ponti di cavalcavia. Proprio nel pugilato Doroteo si rifugia per uscire dai giri malavitosi in cui è stato invischiato fin da piccolo. E si presume che diventi per lui un mezzo di riscatto sociale, e forse morale.
Come nello stile del cinema messicano recente, di Iñárritu e colleghi, il regista Everardo Valerio Gout, vuole esplorare tutte le potenzialità del mezzo cinematografico per giungere a nuove frontiere del linguaggio filmico. Con la colonna sonora di una Summertime allucinata, si susseguono scene concitate di violenza e conflitto armato, girate con una macchina a mano nervosa, schizofrenica, con l'inquadratura spesso fuori fuoco. E che può anche assumere posizioni inedite: in una scena si eleva dal terreno come fosse un dolly. Ogni salto temporale è introdotto da una visione demiurgica, aerea, che scorre su quel magma urbanistico che è la megalopoli con le sue bidonville. Le soluzioni di regia appaiono comunque organiche all'assunto trattato, a parte quella, elaboratissima, della sparatoria finale, un virtuosismo inutile. Peccato, perché il film, fino a quel punto, non aveva mai sbavato.