Drammatico,
durata 125 min.
- Italia 2010.
- 20th Century Fox Italia
uscita venerdì 21gennaio 2011.
- VM 14 -
MYMONETROVallanzasca - Gli angeli del male
valutazione media:
2,73
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
E' italiano ma sembra un film indipendente americano. Crudo, essenziale, con un Kim Rossi Stuart "divo" eccentrico che impersona il protagonista di questa pellicola, volutamente "mitizzando" il personaggio (ma qui la responsabilita' e' di una trama che a volte si compiace un po' troppo sconfinando in qualche scena un po' troppo calcata ed improbabile). Nonostante cio' comunque il film risulta ben fatto e anche il montaggio si mantiene costante ed intenso x tutta la durata del film
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VALLANZASCA – GLI ANGELI DEL MALE (IT/USA/FR, 2010) diretto da MICHELE PLACIDO. Interpretato da KIM ROSSI STUART, FILIPPO TIMI, MORITZ BLEIBTREU, FRANCESCO SCIANNA, PAZ VEGA, VALERIA SOLARINO
1985, Appennino ligure: Renato Vallanzasca, nato a Milano il 4 maggio 1950, scappa da una cella d’isolamento presso uno stabilimento fluviale e ripercorre mentalmente la storia della sua carriera nel mondo del crimine, fin da quando, ragazzino, rubacchiava elettrodomestici coi fratelli per rivenderli alla gente del capoluogo lombardo (il che gli costò l’incarcerazione in una prigione minorile), per poi proseguire con le rapine che ne fecero, negli anni ’70, il più temuto bandito milanese e forse dell’intera nazione, a capo di una banda spietata e senza scrupoli che assassinò sette persone (quattro di questi omicidi sono attribuiti a Vallanzasca medesimo).
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VALLANZASCA – GLI ANGELI DEL MALE (IT/USA/FR, 2010) diretto da MICHELE PLACIDO. Interpretato da KIM ROSSI STUART, FILIPPO TIMI, MORITZ BLEIBTREU, FRANCESCO SCIANNA, PAZ VEGA, VALERIA SOLARINO
1985, Appennino ligure: Renato Vallanzasca, nato a Milano il 4 maggio 1950, scappa da una cella d’isolamento presso uno stabilimento fluviale e ripercorre mentalmente la storia della sua carriera nel mondo del crimine, fin da quando, ragazzino, rubacchiava elettrodomestici coi fratelli per rivenderli alla gente del capoluogo lombardo (il che gli costò l’incarcerazione in una prigione minorile), per poi proseguire con le rapine che ne fecero, negli anni ’70, il più temuto bandito milanese e forse dell’intera nazione, a capo di una banda spietata e senza scrupoli che assassinò sette persone (quattro di questi omicidi sono attribuiti a Vallanzasca medesimo). Detenuto in numerosissimi carceri (Rebibbia, San Vittore, ad Ariano Irpino, a Lodi), al processo che vide la sua caduta fu condannato a quattro ergastoli. Ribelle dallo sguardo gelido e dallo spirito indomabile, ladro e gentiluomo, assassino e delinquente dal fascino notevole, il personaggio contraddittorio, discusso e magnetico di Renato Vallanzasca viene analizzato a fondo nella sua contorta psicologia in questo potente noir con cadenze da thriller drammatico che rivisita la storia dell’ascesa del boss della Comasina. Le luci e le ombre delineano sul volto di questo individuo tanto rabbioso quanto bisognoso di contatti relazionali sicuri i tratti del mascalzone che terrorizzò l’Italia per un intero decennio, finendo spesso alla ribalta delle cronache giornalistiche e gettando nel panico Milano con una gang di collaboratori a lui non sempre fedeli, la quale riuscì comunque a mettere a segno tutti i colpi che si riprometteva. Cinque anni dopo Romanzo criminale, Placido e Rossi Stuart tornano a lavorare insieme sulla figura di un malvivente intelligente, razionale e irresistibile per le donne (ricevette centinaia di lettere dopo che fu sbattuto dietro le sbarre). Vallanzasca non è certo il Freddo, e il protagonista s’è dovuto allenare con molti mesi di preparazione: per lui romano, non è stato facile parlare con l’accento meneghino, ma il risultato finale sublima ogni aspettativa. Rossi Stuart imbastisce un’interpretazione straordinaria, valsagli il Nastro d’Argento 2011 come miglior attore, probabilmente irrobustita dal fatto che occupò un posto d’onore fra gli otto sceneggiatori della pellicola. Con uno script onestamente stringato, le lacune sono state colmate a dovere con fitte scene d’azione, fiumi di sangue che scorrono dopo ogni sequela di violenze, dialoghi densi di rapacità verbale, una costruzione generale accurata e una recitazione degli interpreti principali che rivela un fondo di impegno meritevole (spicca, fra tutti, Scianna nel ruolo di Francis Turatello, boss mafioso dapprima rivale e poi amico di Vallanzasca, con estrema vigliaccheria freddato a coltellate mentre si trovava in un’altra galera rispetto a quella del capobanda milanese). Placido mette sempre più a fuoco, film dopo film, il suo passato di poliziotto, e la sua regia dà prova di saper commisurare benissimo i contributi artistici (fra gli altri attori, da sottolineare pure: un Timi che, con l’abituale mistura di furia e irragionevolezza, è ormai infallibile; una Solarino moglie del carattere principale che lo implora, soprattutto dopo la nascita del loro unico figlio, di interrompere questa scia di reati; una Vega parrucchiera che funge da sorella per Vallanzasca, da lui conosciuta nel 1972 – parliamo solo della finzione scenica – al Largo Giambellino e poi mai abbandonata neanche durante gli anni brutali della detenzione) con quelli tecnici (il montaggio di Consuelo Catucci, la fotografia di Arnaldo Catinari e le funzionali musiche hard rock dei Negramaro), riuscendo pure ad inserire quella che, insieme a Romanzo criminale, costituisce la sua creatura partorita col minor travaglio e il maggior successo, in un contesto socio-politico che invece, alla presentazione del film al Festival di Venezia 2010, molti critici gli negarono. Ebbero torto: questo gangster movie è ambientato in un’epoca di cui dimostra di conoscere appieno le dinamiche, e mette immediatamente sul tavolo le carte per far intendere che non prende posizioni, né a favore della malavita organizzata né delle forze dell’ordine, anch’esse dopotutto criticate in maniera velata ma evidente per il loro agire spesso titubante ed incespicante. L’inghippo di cadere nel rischio di fare la versione milanese del film romano tratto dall’eccezionale capolavoro letterario dell’ex magistrato Giancarlo Di Cataldo è stato abilmente scongiurato proprio grazie alla definizione, semmai un po’ meticolosa ma pur sempre efficiente, di un habitat culturale nel quale questi uomini e queste donne, i primi assetati di potere e le seconde succube delle loro megalomanie, si muovono. Una morale che raccolga un significato capace di riassumere la personalità dell’attuale ergastolano che in questi centodiciotto minuti rivive il proprio iter criminoso la si può rintracciare nell’intervista che egli rilascia, verso il finale, a Radio Popolare, quando asserisce: «Io non sono cattivo. Ho soltanto il lato oscuro un po’ pronunciato». [-]
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Molto romanzato e non rispecchia la realtà dei fatti. Si rischia comunque di dipingere un criminale come una sorta di dio in terra e si descrive anche come vittima (e non tutti i suoi omicidi vengono menzionati nel film).
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Dopo Romanzo Criminale, Michele Placido ha sfornato un altro bellissimo film che narra con un realismo ed una spettacolare cura dei particolari un'altra storia "nera" del nostro recente passato: quella del bel Renè che ha fatto impazzire per anni polizia e donne di tutta Italia. Il film, tuttavia, finirebbe per essere solo un racconto didascalico se non fosse per l'interpretazione straordinaria di Kim Rossi Stuart e di Filippo Timi. Il primo, che già avevo apprezzato tantissimo in Romanzo Criminale (oltre che nel film tv La Uno Bianca), è riuscito a passare dal romano Freddo della banda della Magliana allo sbruffone milanese Vallanzasca, dipingendo due criminali nostrani completamente opposti.
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Dopo Romanzo Criminale, Michele Placido ha sfornato un altro bellissimo film che narra con un realismo ed una spettacolare cura dei particolari un'altra storia "nera" del nostro recente passato: quella del bel Renè che ha fatto impazzire per anni polizia e donne di tutta Italia. Il film, tuttavia, finirebbe per essere solo un racconto didascalico se non fosse per l'interpretazione straordinaria di Kim Rossi Stuart e di Filippo Timi. Il primo, che già avevo apprezzato tantissimo in Romanzo Criminale (oltre che nel film tv La Uno Bianca), è riuscito a passare dal romano Freddo della banda della Magliana allo sbruffone milanese Vallanzasca, dipingendo due criminali nostrani completamente opposti. Se, come lo stesso attore ha dichiarato in una intervista, il personaggio del Freddo era forse più semplice, in quanto romano come lui e in quanto parzialmente inventato (peraltro, il personaggio del Freddo emerge come vero protagonista del film solo dopo l'uscita di scena dell'altrettanto ottimo Libanese di Favino), il personaggio del bel Renè era molto più rischioso, milanese sbruffone, sopra le righe, e soprattutto ancora impresso nella mente di tutti gli italiani che hanno vissuto quegli anni (anche nella mia, che all'epoca ero ancora un bambino). Davvero straordinario, come il suo corrispondente francese Vincent Cassel nella parte del Vallanzasca francese Jacques Merine, interpretato due anni prima nel Nemico Pubblico n.1. E come dimenticare Filippo Timi (che non conoscevo prima di questo film), che con la sua voce roca e rotta da fumatore incallito dipinge a suo volta meravigliosamente l'amico tossico che nel film fu più una spina nel fianco, che un vero aiuto, per Vallanzasca (non ho idea se sia un personaggio di fantasia, o ispirato a un membro vero della Banda della Comasina). Ultima nota di merito a Valeria Solarino, a sua volta perfetta nei panni della donna della vita del simpatico mascalzone (ovviamente la indubbia simpatia da guascone non può cancellare i suoi crimini, nè il film deve essere letto come una sua apologia), mentre Francesco Scianna, nei panni dell'amico/nemico Francis Turatello, ha un ruolo marginale che interpreta comunque con fascino e classe (chissà com'era il vero Turatello, di cui non ho quasi nessun ricordo). Voto reale al film: 4 stelle e mezza. Voto a KRS: 5 stelle con lode, se fosse americano difficilmente gli avrebbero negato un oscar
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Renato Vallanzasca, criminale per scelta, per vocazione e non per necessità! Sangue freddo, donnaiolo, e non si fa scrupoli ad uccidere, salvo che per un suo compagno, che poi lascia in vita e per un poliziotto di vent'anni che lascia in vita per la sua età e si lascia arrestare, tanto ormai non aveva più nulla da perdere! Michele Placido fa un bel film soprattutto sulla personalità di questo personaggio oscuro, tuttora vivente!
Nonostante le scene violente descrive soprattutto l'essere umano! Ottima l'interpretazione di Kim Rossi Stuart!
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Ottime le interpretazioni di K.R.Stuart e Filippo Timi! Credibili e affascinanti le ambientazioni anni 70.
E' evidente che la figura di Vallanzasca ne esca sullo stile dei romanzeschi ladri-gentiluomini che hanno dovuto scontrarsi con soci inaffidabili e uno stato brutale ed è evidente che questo oltre ad essere improbabile risulti irrispettoso per le sue vittime dirette o indirette... ciò nonostante il film è avvincente e lineare con quello che presumibilmente sono stati i fatti e le atmosfere del tempo
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Renato Vallanzasca, il bel Renè, come lo chiamavano, non diventa un bandito a causa delle sue origini sociali, ma a causa di un impulso insopprimibile alla ribellione che fin da bambino si manifesta in lui e trova le prime forme di espressione proprio nell'infrangere la legge. Questa precocità, non incanaglita dal morso della condizione sociale, gli permette anche di emergere presto come capo naturale, dotato di un carisma e di un fascino anche erotico personale. In qualità di capo esprime una sua etica dell'onore e del valore umano che si mette in gioco nell'azione illegale.
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Renato Vallanzasca, il bel Renè, come lo chiamavano, non diventa un bandito a causa delle sue origini sociali, ma a causa di un impulso insopprimibile alla ribellione che fin da bambino si manifesta in lui e trova le prime forme di espressione proprio nell'infrangere la legge. Questa precocità, non incanaglita dal morso della condizione sociale, gli permette anche di emergere presto come capo naturale, dotato di un carisma e di un fascino anche erotico personale. In qualità di capo esprime una sua etica dell'onore e del valore umano che si mette in gioco nell'azione illegale. Questo lo distacca dallo sfondo meramente criminale del suo ambiente. Insomma, Vallanzasca è di per sé un personaggio perfetto per il cinema, dove il cattivo, con un che di positivo in sé, prende lo spettatore molto più del buono senza macchia e senza colpa. Vallanzasca, inoltre, ha rappresentato nel male certe caratteristiche di un periodo della nostra storia che il cinema ha il dovere etico ed estetico di raccontare. Per queste due precise ragioni, le proteste sollevate contro il film, che avrebbe fatto di un efferato assassino un eroe, seppur comprensibili, non riescono a cogliere nel segno. Pensiamo negli anni '70, proprio quelli di Vallanzasca, alla copiosa produzione del cinema italiano di quel genere che ha preso il nome di poliziottesco, dove erano i mitra e gli inseguimenti sanguinosi a farla da padrone. Ed è proprio questo genere, le sue sequenze adrenaliniche che il regista riesce a elevare a riuscita cifra stilistica per raccontare quel particolare spaccato criminale, carcerario che la banda Vallanzasca ha rappresentato sullo sfondo politico e sociale, altrettanto inquieto, del nostro paese in quegli anni. Semmai è proprio sulla figura del “capo”, che attraverso Vallanzasca viene qui messa in scena, che riemerge una vecchia ideologia, mai sopita e, anzi, sempre riaffiorante, sopratutto in Italia. Freud aveva già messo in risalto, negli anni '20, la complessa psicologia che si innesca tra la massa e la figura del capo, riscoprendone alcune componenti arcaiche, risalenti alla formazione dell'orda primordiale, ma pienamente in atto nella psiche contemporanea, sia individuale che collettiva: Da una particolare specie di identificazione-fascinazione scaturisce che il capo non sbaglia mai, non può sbagliare. Sono semmai quelli intorno a lui, quelli che lo consigliano, che gli riferiscono, che agiscono nascostamente contro i suoi dettami a sbagliare, a indurlo nell'errore. La caduta del fascismo nel nostro paese si alimenta ancora oggi di questa triviale vulgata, tesa a salvare la figura di Mussolini. Così Vallanzasca in questo film: sono sempre gli altri a indurlo nell'errore. La figura netta, pulita, etica a modo suo del bel Renè, nelle sembianze di un attore valoroso e fascinoso come Kim Rossi Stuart, si contrappone a quella buia, viscida nel suo tradimento dell'Enzino, l'amico del cuore fin dall'infanzia, perfettamente intonata in questo senso dalla particolare prova attoriale di Filippo Timi. C'è poi nel film un altro elemento che rafforza ed eleva quella del capo a figura quasi cristologica. La pulsione di Vallanzasca all'autopunizione fisica, alla feroce auto flgellazione corporale scatta sempre nella forma esteriore della ribellione al sistema giudiziario e carcerario, per assumere, però, il valore di una redenzione non solo personale ma universale.
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Storia di Renato Vallanzasca, criminale che tra gli anni '70 e '80 mise a soqquadro la ricca Milano. Irrise inoltre la giustizia italiana, con varie fughe dal carcere.
Questo film di Michele Placido, più che mitizzare Vallanzasca, sottolinea soprattutto come quest'ultimo si sia preso gioco del sistema giudiziario italiano. Troppo lasco e approssimativo nei suoi riguardi. Bravo Kim Rossi Stuart nella parte del Bel Renè. Un attore che si è ritrovato dopo anni di ombre.
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Michele Placido negli anni è diventato un buon artigiano del cinema italiano, sa essere un ottimo direttore di attori, un discreto regista e tratta argomenti dell’Italia del Secolo Scorso cercando di capire misteri e tragedie spesso senza un finale chiaro nella realtà di quei tempi.
Devono essere stati anche anni fondamentali per Placido, perché in genere un regista fa al massimo un paio di film ‘ storici ‘ sugli stessi anni ( eccezione Luigi Magni che ha fatto quasi solo film sul Risorgimento e sulla Roma papalina ), invece lui prima di questo non riuscitissimo “ Vallanzasca “ ha realizzato “ Il grande sogno “ ( 2009 ), “ Romanzo criminale “ ( 2005 ) e andando rapidamente all’indietro “ Del perduto amore “ ( 1998 ) e “ Un eroe borghese “ ( 1995 ).
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Michele Placido negli anni è diventato un buon artigiano del cinema italiano, sa essere un ottimo direttore di attori, un discreto regista e tratta argomenti dell’Italia del Secolo Scorso cercando di capire misteri e tragedie spesso senza un finale chiaro nella realtà di quei tempi.
Devono essere stati anche anni fondamentali per Placido, perché in genere un regista fa al massimo un paio di film ‘ storici ‘ sugli stessi anni ( eccezione Luigi Magni che ha fatto quasi solo film sul Risorgimento e sulla Roma papalina ), invece lui prima di questo non riuscitissimo “ Vallanzasca “ ha realizzato “ Il grande sogno “ ( 2009 ), “ Romanzo criminale “ ( 2005 ) e andando rapidamente all’indietro “ Del perduto amore “ ( 1998 ) e “ Un eroe borghese “ ( 1995 ).
Placido si è ritagliato uno spazio nel panorama del cinema italiano, inserendosi in parte in quello “ civile “, e questo è un suo indiscutibile merito non essendoci più un filone del genere in Italia e i solitari tentativi spesso sono risultati afasici, satolli e inconcludenti.
Ma Placido come persona e come sceneggiatore ci sembra molto istintivo, con un carattere fiammiferino che condiziona quel lato delle storie che richiederebbero più freddezza ideologica e razionalità espressiva. Errore che non capitava a maestri del cinema italiano come. in primis, Francesco Rosi, ma anche Elio Petri o Giuliano Montaldo.
E anche in quest’ultimo film c’è un istinto a indugiare sui protagonisti, sinceramente troppo simpatici e piacioni come Vallanzasca e soprattutto Turatello ( che probabilmente saranno stati anche quello ma soprattutto “ degli angeli del male “ che hanno provocato morte e non solo si sono trovati in mezzo alla morte casualmente ).
E poi, per noi, “ l’idea “ del film collima spesso con un’analisi, se non ideologica, politica dei personaggi e del tempo in cui vivono, non si può raccontare un’epoca solo cronologicamente; perché chi l’ha vissuto ne sente la mancanza e chi non ha vissuto quegli anni vede solo dei banditi che sparano e ammazzano per una vita migliore.
Se vogliamo fare un paragone, citiamo un non eccelso ma efficace “ Banditi a Milano “ di Carlo Lizzani.
Il film inizia quando Renato Vallanzasca ha otto anni, fa parte ( siamo alla fine degli Anni Cinquanta ) di quel mondo ancora primordiale e quasi preindustriale che cantava Celentano con “ Il ragazzo della via Gluck “, lui però è di zona Lambrate dove la madre aveva un negozio d'abbigliamento. il padre invece era sposato con un'altra donna ( ma nel film tutto questo non c’è,
anzi appare una gentile coppia di genitori silente e affezionata ).
E’ già un bimbetto carismatico ed ha una piccola banda, con loro prova a liberare una tigre dalla gabbia di un circo e viene in contatto per la prima volta con la polizia.
C’è un salto temporale e ritroviamo Renato adulto e già con il soprannome di “ Bel Renè “, è un bulletto di periferia, protervo, carismatico, pronto a tutto e con una facile presa sulle belle ragazze di night. Prima rapina a un portavalori cercando di non far male a nessuno. Tutto fila liscio, ma la polizia lo incastra e subisce una condanna a sei anni di carcere.
Ma oltre a non fare “ la spia “ a non piegarsi ai soprusi in carcere, a essere un capo, è anche autolesionista, si taglia con una lametta sul corpo, sanguina copiosamente, trangugia chiodi per protestare.
Evade, accetta che la sua donna con cui ha un figlio ha deciso di non aspettarlo, ritorna “ alla grande “ nella malavita milanese, con il solito armamentario di rapine, bella vita notturna, giocate a poker e bische clandestine; poi inizia lo scontro con il ras delle bische Francesco Turatello.
Un blocco del film corposo e “ troppo simpatico “ in cui i due si scontrano e si incontrano dalla strada al carcere inizialmente con morti reciproci e poi diventando amici per la pelle. Altre rapine, carcere ed evasione da una nave durante un trasferimento. Assistiamo a un processo dall’atmosfera da spettacolo leggero e poi con la condanna a vita tutti diventano seri.
Renato Vallanzasca sarà condannato complessivamente a quattro ergastoli e a 262 anni di prigione.
La scena finale e la conferma dell’idea centrale del film di Placido, Vallanzasca viene fermato ad un autogrill da un giovane poliziotto inesperto di vent’anni, Renato ha la pistola, potrebbe reagire, ma non vuole uccidere un ragazzino, sorride e si fa arrestare. Sappiamo bene che il cinema non è la realtà, che ci sono tante licenze narrative ( ed è anche giusto ) ma in questo film onestamente non si comprende chi sia stato Vallanzasca.
Facendo un bilancio sembra che sia stato un ribelle, simpatico, amato dai suoi compari, rispettato anche dalla camorra di Cutolo, desiderato da migliaia di donne e in fondo un malavitoso che non voleva arrecare morte e danni ma solo vivere sulle spalle della società. In realtà anche un fatto veramente grave come far insorgere un carcere intero, sequestrare dei poliziotti, bruciare e distruggere suppellettili e celle soltanto per poter ammazzare un suo amico pentito sembra un fatto come un altro e non che lui sia veramente un criminale pericoloso; risulta quasi un personaggio romantico shakespeariano.
Un film che si vede con facilità e leggerezza, con una buona regia, un ottimo montaggio, uno splendido cast d’attori e da segnalare l’ottimo Filippo Timi.
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Meraviglioso film su un grande uomo, un bandito con etica, un uomo che non speculava sulle sue imprese ma che affrontava l'ignoto armi in pugno.
Un uomo che, forse unico, ha scontato una vita. Un eroe su una strada sbagliata, assolutamente da evitare, ma che seppe contemperare umanità/bontà/consapevolezza con un percorso troppo
dignitoso e auto distruttivo. In pochi mesi creò un baratro intorno a lui. credette nella vitaa da gangster e ne fu ingoiato, vedendosi ristretta quella realtà di lusso ed efficienza criminale tanto agognata.
Renato fu ed è un uomo di spessore, stile, simpatia, rispetto, leggerezza, eleganza. Questo gli costò la libertà, l'eterno guascone, oggi un giovane 62, che visse dietro le sbarre.
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Meraviglioso film su un grande uomo, un bandito con etica, un uomo che non speculava sulle sue imprese ma che affrontava l'ignoto armi in pugno.
Un uomo che, forse unico, ha scontato una vita. Un eroe su una strada sbagliata, assolutamente da evitare, ma che seppe contemperare umanità/bontà/consapevolezza con un percorso troppo
dignitoso e auto distruttivo. In pochi mesi creò un baratro intorno a lui. credette nella vitaa da gangster e ne fu ingoiato, vedendosi ristretta quella realtà di lusso ed efficienza criminale tanto agognata.
Renato fu ed è un uomo di spessore, stile, simpatia, rispetto, leggerezza, eleganza. Questo gli costò la libertà, l'eterno guascone, oggi un giovane 62, che visse dietro le sbarre.
Un uomo di grande carisma, un mito per i giovani che, guardando le sue gesta ed il vissuto, potranno capire quanto sia importante la vita, la libertà, il rigar dritto
e quanto, nella nostra breve vita, sia importante convogliare la propria creatività, al limite, verso una fuga da una nazione che non ti soddisfa, seppur in mezzo a difficoltà,
piuttosto che cercar di evadewre dal carcere, impresa dolorosa e non risolutiva.
Bravo Placido, eccezionali gli attori. Good. [-]
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