Tales From the Loop

Film 2019 | Fantascienza

Regia di Mark Romanek, Jodie Foster, So Yong Kim, Charlie McDowell, Tim Mielants, Andrew Stanton, Dearbhla Walsh, Ti West. Una serie Da vedere 2019 con Rebecca Hall, Duncan Joiner, Daniel Zolghadri, Nicole Law, Tyler Barnhardt. Cast completo Genere Fantascienza - USA, 2019, - MYmonetro 3,72 su 6 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. STAGIONI: 1 - EPISODI: 8

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Ultimo aggiornamento venerdì 10 aprile 2020

Serie TV ispirata ai dipinti dei paesaggi futuristici dello svedese Simon Stålenhag.

Consigliato assolutamente sì!
3,72/5
MYMOVIES 4,50
CRITICA 3,60
PUBBLICO 3,07
CONSIGLIATO SÌ
Storie uniche, attori da applausi, un'atmosfera in cui rinasce la possibilità dell'umana meraviglia.
Recensione di Andrea Fornasiero
lunedì 6 aprile 2020
Recensione di Andrea Fornasiero
lunedì 6 aprile 2020

Una ragazzina cerca la madre scomparsa; due giovani amici desidererebbero ognuno la vita dell'altro; una ragazza vorrebbe che il momento dell'entusiasmo sentimentale durasse per sempre; un anziano affronta la fine della vita, rassicurato dalla profetizzata longevità del nipote; un padre investe tutto in un potente robot per proteggere la propria famiglia; un uomo scopre cosa succede quando si ottiene quello che si è sempre desiderato; un ragazzo subisce lo scherzo degli amici e incontra una sorta di doppio; un bambino ritrova il fratello che non sapeva di aver perduto.

Sono meditazioni soprattutto sul tempo e come ci cambia le storie di Tales from the Loop, serie di fantascienza filosofica ispirata alle opere del pittore svedese Simon Stålenhag.

L'idea di questo adattamento sembra sia venuta al regista del prossimo Batman, Matt Reeves, che in veste di produttore l'ha affidata allo showrunner Nathaniel Halpern, reduce dalla scrittura e dalla produzione di molti episodi di Legion. Racconta di aver guardato a libri come "I racconti dell'Ohio" di Sherwood Anderson e la "Antologia di Spoon River" di Edgar Lee Master, mentre Jonathan Pryce trova una forte affinità anche con l'opera teatrale "Piccola città" di Thornton Wilder, tutti testi che raccontano storie di persone ordinarie componendo i frammenti di un mosaico sociale e umano. La scommessa è stata sicuramente vinta, sia perché i dipinti hanno saputo ispirare Halpern a trovare una chiave umanista nelle giustapposizioni di Stålenhag tra la campagna e la sci-fi retrofuturista, sia perché allo scrittore è stato affiancato un team di registi davvero notevole. A partire da Mark Romanek che firmando il pilot ha fissato la grammatica visiva della serie, e non c'era nome americano più adatto del suo, che già aveva affrontato una fantascienza laconica e tragica in Non lasciarmi.

Oltre a Romanek hanno partecipato la sudcoreana So Yong Kim, l'irlandese Dearbhla Walsh, il belga Tim Mileants già noto per Peaky Blinders e The Terror, ma passato pure per Legion come l'americano Charlie McDowell e il regista di WALL-E Andrew Stanton. Ti West ha firmato il settimo episodio, che tecnicamente si segnala per un lavoro di sound design molto ricco, mentre il gran finale è stato affidato a Jodie Foster, che già si era cimentata come regista di sci-fi in Black Mirror. Il suo episodio è straordinariamente commovente, perché i capitoli precedenti hanno dato spessore ai vari personaggi che lo popolano e perché è quello più compiutamente tragico, arrivando a una vera e propria catarsi conclusiva, dove ancora una volta il tema è il passare del tempo. Nell'epilogo di questa puntata si presta per un cameo l'attore e regista Shane Carruth, figura di culto per gli amanti della fantascienza grazie ai suoi quasi impenetrabili film Primer e Upstream Color.

A tenere insieme il progetto non è, come spesso accade, un direttore della fotografia, perché qui sono in diversi a lavorare agli otto episodi pur seguendo la stessa tavolozza cromatica. Il fil rouge è invece la musica di Paul Leonard-Morgan e del riconoscibilissimo Philip Glass, di cui qua e là si abusa nello sforzo da toccare emotivamente il pubblico. Una concessione al sentimentalismo comunque facile da perdonare, vista non solo l'originalità del progetto, ma pure la sua difficoltà, sia per il tema complesso, sia per le storie non a lieto fine, oltre che per i tempi contemplativi e il rifiuto di concessioni pop. Ambientato nelle campagne di un Ohio che un misterioso progetto di ricerca, detto Loop, ha disseminato di esperimenti più o meno riusciti, la serie sarebbe collocata negli anni 80, ma non ci sono spalline gonfiate, capelli cotonati, brani pop, né partite di dungeons & dragons o gruppi di ragazzini in bicicletta.

Tales from the Loop è avvolta in una sorta di bolla atemporale, in una campagna che ripete eternamente il ciclo delle stagioni, tanto che i personaggi possono slittare avanti di decenni senza notare immediate differenze. Si guarda naturalmente alla tradizione del cinema per ragazzi scandinavo, con i suoi colori e le sue fiabe anche crudeli, e del resto era quella la matrice anche dei dipinti. Rispetto a questi però Halpern ha preferito limitare i momenti più tenebrosi o più pop per una uniformità visiva e tonale quasi malickiana, attraversata dalla malinconia per un'infanzia pregna non tanto di felicità quanto di senso. Prima che il tempo diluisca il tutto nella routine della vita adulta, anche in quella degli scienziati che studiano le cose più incredibili.

Un grande plauso va anche agli attori, da una Rebecca Hall materna in modo mai sdolcinato a un Jonathan Pryce saggio e curioso, mentre Paul Schneider interpreta un padre d'altri tempi, affettuoso ma a suo modo anche severo. Bravissimi i giovani e in particolare Duncan Joiner nei panni di Cole, che è al cuore della storia, e Daniel Zolghadri in quelli di Jakob, teenager dalle emozioni a fior di pelle che non ha nulla delle figure che popolano i soliti teen drama. E si potrebbe andare avanti, perché tutti gli interpreti infondono umanità a personaggi difficili, per certi versi banali, ma posti di fronte a situazioni impossibili. In questo sta il principale miracolo di Tales from the Loop, dove la cura compositiva dell'immagine non è fine a se stessa, ma precipua di un'atmosfera in cui rinasce la possibilità dell'umana meraviglia.

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FOCUS
INCONTRI
lunedì 30 marzo 2020
Andrea Fornasiero

I dipinti digitali di Simon Stålenhag probabilmente non vi sono sconosciuti, è facile infatti che li abbiate visti su qualche social network, condivisi da qualche amico di amici per via dell’immediatezza del loro fascino.

Il primo volume dell’opera dell’artista, "Tales from the Loop", è stato pubblicato anche in Italia da Mondadori (rititolato semplicemente "Loop"), dove i dipinti sono accompagnati da testi che raccontano una Svezia anni 80 in cui la tecnologia ha prodotto meraviglie. Ma già in quegli anni 80 la sperimentazione è al proprio crepuscolo, qualcosa del passato, arrugginita e misteriosa, che i narratori del libro ricordano con affetto come cimeli delle memorie dell’infanzia.

Da questo materiale è stato tratto un gioco di ruolo da tavolo omonimo e il 3 aprile arriva su Amazon Prime Video la serie Tv Tales from the Loop che alla campagna svedese sostituisce quella dell’Ohio e ai dichiarati anni 80 preferisce una sorta di temporalità, dove i vestiti sono più classici, i computer sono ingombranti e non ci sono social network e cellulari, ma neppure videoclip ed elementi pop da Stranger Things.


La sobrietà caratterizza la serie firmata dallo showrunner Nathaniel Halpern, reduce dalla lisergica e vulcanica Legion, che a sua volta giocava con una temporalità indefinibile.

Qui la messa in scena è meticolosamente curata da vari importati registi e prodotta tra gli altri anche da Matt Reeves e Mark Romanek, con la collaborazione dello stesso Stålenhag. Ci sono poi le musiche di Philip Glass e Paul Leonard-Morgan, che immergono il tutto in un’atmosfera sospesa, come guardassimo un acquario magico. A differenza del libro, i protagonisti non sono solo bambini e gli adulti sono interpretati da Ato Essandoh, Jonathan Pryce, Paul Schneider e Rebecca Hall, che abbiamo avuto il piacere di intervistare.

Innanzitutto, visti i tempi che viviamo, non posso non chiederle come sta.
Lo capisco perfettamente. Sono a casa con la famiglia, stiamo in casa nell’Hudson Valley, nello stato di New York, stiamo tutti bene e speriamo continui così.

Cosa l’ha convinta a partecipare a questo progetto?
È stata un’immagine particolarmente suggestiva, perché lo script mi è stato inviato insieme all’artwork di Stålenhag. Fin dall’inizio l’idea che una serie Tv potesse essere ispirata dall’opera di un artista mi è sembrata elettrizzante, perché sapevo che sarebbe stata per lo meno una serie visivamente molto bella, con una sensibilità e uno stile visivo forti. È importante per me essere coinvolta in progetti che hanno un respiro autoriale come questo. E poi quando ho letto il copione ho trovato che nella narrazione, attraverso i personaggi, ci fosse un forte senso di umanità nonostante sia ambientata in un mondo molto misterioso. Ho anche amato il modo in cui il lavoro che fa il mio personaggio, la sua ricerca sulla fisica delle particelle, fosse presentato nella serie con un alone mistico eppure comprensibile. Ora non vorrei sembrare riduttiva ma, anche se di solito non ci pensiamo, esiste una dimensione esistenziale nella fisica: c’è un elemento umano nella ricerca di questi scienziati, anche se sembrano occuparsi di cose molto astratte e impenetrabili come l’utilizzo di un collettore di particelle. Credo che la serie riesca a illustrare l’umanità di questo lavoro.

Tales from the Loop vanta diversi registi e un taglio quasi antologico, con puntate piuttosto autonome dove non sempre sono presenti tutti i protagonisti. Lei con chi ha lavorato principalmente?
Gli episodi a cui partecipo maggiormente sono stati diretti da Mark Romanek, Andrew Stanton e Jodie Foster e il loro coinvolgimento era già stato deciso quando mi è stato proposto il progetto. Anche questo è stato un elemento che mi ha entusiasmato perché sapevo che ogni episodio sarebbe stato come un piccolo film, con un proprio stile, e in effetti lavorando alla serie è stato proprio così. Mi è sembrata da subito una serie che avrei voluto vedere.

Nella serie hanno una grande importanza i bambini, che sono raccontati in modo molto più serio di quanto non siamo abituati a vedere…

È così ed è stato fantastico, mi piace molto recitare con i ragazzi e i due con cui ho lavorato io, Duncan Joiner e Abby Ryder Fortson, sono attori già formati e molto concentrati.

Lei non lavora spesso in Tv, il suo precedente progetto televisivo era stato Parade’s End, una splendida miniserie BBC/HBO [con Benedict Cumberbatch e tratta dalla importante quadrilogia di romanzi di Ford Madox Ford, adattati dal grande drammaturgo Tom Stoppard]. Da allora sono passati otto anni, come sono cambiate le cose in Tv?
Era davvero una splendida parte quella di Parade’s End. Credo che rispetto ad allora ci siano ancora più risorse e soldi in Tv, certo c’è più disponibilità rispetto ai film che faccio di solito, ossia quelli indipendenti. Qui è stato come lavorare al film di un grande studio e credo che ormai l’ambizione della Tv sia la stessa del cinema: siamo entrati in un mondo nuovo e stimolante.

Quali sono i suoi prossimi progetti?
Ho recitato in Godzilla vs Kong che doveva uscire a novembre ma chissà se manterrà quella data… Inoltre sono in un piccolo film intitolato The Night House e ho esordito alla regia con The Parting, che ho anche sceneggiato e spero esca entro la fine dell’anno.

STAMPA
RECENSIONI DELLA CRITICA
mercoledì 22 aprile 2020
Mario Turco
Sentieri Selvaggi

Il futuro dell'uomo sta nel suo passato, non nella mirabolante tecnologia di là da venire. E la dimensione soggettiva della realtà è così marcata che non è così difficile supporre che anche in altre dimensioni le nostre idiosincrasie ci porterebbero agli stessi identici sbagli. In Tales from the Loop, serie antologica in 8 puntate disponibile dal 3 Aprile sul catalogo Amazon Prime Video, la fantascienza [...] Vai alla recensione »

martedì 14 aprile 2020
Rocco Moccagatta
Film TV

C'è in molta della più recente produzione seriale, tra tv e OTT, l'ambizione di lambire la forma cinematografica (che ancora resta pietra di paragone, checché se ne dica), sfidandola, e magari superandola, nella possibilità più ampia di approfondire caratteri, di esplorare mondi, di sperimentare ritmi e formati, di azzardare declinazioni impreviste.

giovedì 9 aprile 2020
Matteo Sacchi
Il Giornale

Si intitola Tales from the Loop ed è la nuova serie di fantascienza di Amazon Prime Video. Molti la paragoneranno al prodotto della concorrenza Netflix, ovvero Stranger Things che ha fatto in qualche modo rivivere i classici del genere degli anni Ottanta. Il paragone calza sino a un certo punto. Tales from the Loop è una serie dove di cose strane ne accadono davvero tante, ma tutto si muove su un piano [...] Vai alla recensione »

martedì 7 aprile 2020
Francesco Alò
Il Messaggero

Siamo a Mercer, Ohio, qualche anno fa, anche se c' è un robot gigantesco che gironzola accanto a cavi mastodontici, botole e capsule in disuso. Al cinema danno alternativamente Monica e il desiderio (1953) di Ingmar Bergman o Missing (1982) di Costa-Gavras. Qualcuno sente al giradischi At the dark end of the street versione James Carr, incisa nel 1967.

sabato 4 aprile 2020
Serena Nannelli
Il Giornale

E' appena uscita una serie, "Tales from the Loop", su Amazon Video, di cui era stata resa disponibile un'anteprima parziale a critici e giornalisti: tre episodi non consecutivi. Mai come questa volta ha avuto senso evitare di recensire un prodotto prima di averlo potuto guardare dall'inizio alla fine. Se, infatti, l'allure d'incomprensibilità poteva giovare distribuita su tre piccoli racconti legati [...] Vai alla recensione »

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