Anno | 2011 |
Genere | Documentario |
Produzione | USA |
Durata | 70 minuti |
Regia di | Susan Ray |
Attori | Jim Jarmusch, Víctor Erice, Tom Farrell, Nicholas Ray . |
MYmonetro | 2,92 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 30 agosto 2011
Il dietro le quinte della realizzazione del film sperimentale We can't Go Home Again.
CONSIGLIATO SÌ
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Abbandonato da Hollywood, dopo dieci anni in Europa, Nick Ray torna negli Stati Uniti e accetta per la prima volta di condurre un corso di cinema all'università. Presso l'Harpur College, tra il 1971 e il 1973, realizza con gli studenti un leggendario film sperimentale, in largo anticipo sui tempi e sui mezzi tecnologici a disposizione: We can't go home again , il suo ultimo lavoro, prima del terminale Nick's movie. Attraverso il materiale di repertorio di quell'esperienza e i ricordi di quelli che allora furono i suoi studenti, la vedova del grande regista, Susan, propone un ritratto profondo e contraddittorio del suo uomo e maestro.
Allergico all'autorità, intenzionato a non tenere nemmeno una lezione frontale, Ray decide di far apprendere il cinema ai suoi ragazzi attraverso la pratica. Tutti faranno tutto: dall'attrezzista al direttore della fotografia, dall'attore al regista. Spendendosi senza sosta, dormendo quando andava bene quattro ore per notte, il regista si fa per loro maestro di vita prima che di cinema e personificazione autentica e ambulante di una cultura dell'accoglienza e della condivisione che, dopo i proclami del '68, si avviava in realtà velocemente verso la strada del riflusso.
Direttore di attori senza pari, (perché) manipolatore senza scrupoli delle psicologie in divenire dei suoi adepti, uomo di estrema generosità (la sua casa era sempre aperta, perennemente "squattata") e di vertiginosa solitudine, Ray si trasforma per i suoi ragazzi in un padre, in un dio e in un demonio allo stesso tempo. Cento giovani insieme non hanno la forza e la passione di quell'unico uomo, per il quale il cinema è una magnifica ossessione, un essere prima ancora che un fare, a cui non ci si può sottrarre.
Ai colleghi famosi di Hollywood il regista chiede solo denaro, aprendo il suo incredibile indirizzario ogni volta che al film studentesco manca la pellicola o altro. È evidente che per un uomo talmente dentro al proprio tempo, se non anticipo, quel mondo dorato negli anni Settanta doveva apparire roba da museo, priva di alcuna utilità.
Con affetto ma anche grande lucidità, la moglie di Nicholas Ray tributa al marito un ricordo onestissimo, che ne illumina la statura ribelle ineguagliabile e la profonda intelligenza emotiva, ma anche le ombre lunghe e spietate. Ad un certo punto diventa chiaro che il treno di We can't go home again è lanciato verso il forfait: l'inconcludenza, il rilancio continuo e insensato sono modi di restare in vita, reazioni ancora una volta allergiche al dovere di mettere un punto. Eppure, più si scende, seguendo il documentario, lungo la china e più s'invidia chi il cinema l'ha studiato così, con il più grande dei classici e il più cocciuto dei pirati a disposizione senza limiti. In Italia è difficile trovare un maestro, figurarsi un gigante.