Anno | 2008 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Filippine |
Durata | 96 minuti |
Regia di | Francis Xavier Pasion |
Attori | Baron Geisler, Coco Martin, Flor Salanga, Angelica Rivera, Jericho Espiritu J.C. Santos. |
Tag | Da vedere 2008 |
MYmonetro | Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Jay è il nome di entrambi i protagonisti del film: il primo, produttore televisivo, sta girando un documentario che ha come soggetto principale dal vita del secondo Jay, defunto.
CONSIGLIATO SÌ
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Il sanguinoso omicidio di uno stimato professore di letteratura e religione, Jay Mercado, diviene oggetto di una ricostruzione a effetto da parte del programma di Tv-Verità "I cari estinti". Il produttore e regista del progetto, Jay Santiago, si stabilisce a Bacolon, città natale dell'assassinato, per documentare da vicino il dramma dei familiari e ricostruire le loro testimonianze esclusive secondo le esigenze del sistema televisivo.
Nello stesso momento in cui assistiamo a una crescita esponenziale del numero di pellicole dedite alla frantumazione di ogni residuo confine fra finzione e realtà, ecco che un'opera prima di origine filippina testimonia come questa caratteristica omogeneizzazione abbia ormai valicato anche ogni barriera geografica o culturale. Con un procedimento che può ricordare l'intuizione del film belga Il cameraman & l'assassino (ma con un decennio di nuove tecnologie e di immaginari ricostruiti a marcare il passo) oppure il più recente Diary of the Dead, il film di Francis Xavier Pasion attacca frontalmente e con cognizione di causa (ha lavorato per anni nei network locali, prima di passare al cinema) la spettacolarizzazione e la falsa etica del "reale" televisivo, attraverso procedimenti retorici più complessi e raffinati della semplice caricatura ad effetto o del pamphlet satirico. E la differenza fondamentale la si misura nel linguaggio.
L'apporto fondamentale di un film come Jay alla discussione ancora in corso sul rapporto immagini-realtà, sta nella differenza fra linguaggio televisivo e documentario classico (montaggio frenetico vs. piani-sequenza; macchina a mano vs. camera fissa) che viene qui fatta progressivamente scivolare fino a diventare una prassi unica e indistinta, dove l'allestimento della messa in scena non è poi tanto diverso dalla messa in scena stessa. Garante di questa perpetua ambiguità (che si sviluppa in parallelo al sovrapporsi delle identità dei due omonimi protagonisti del film) è l'alta definizione delle camere digitali, le cui immagini sgranate e frammentate sono particolarmente efficaci a motivare questa continuità fra dentro e fuori la cornice del piccolo schermo, e a difendere l'effetto di realtà tipico del reportage televisivo, anche nei momenti più apertamente grotteschi. In questo modo, in quelle situazioni in cui predominano iperboli e paradossi, l'eccesso non fa sparire il disagio che proviamo nell'assistere "in diretta" al formarsi della complicità fra vittima e carnefice del sistema televisivo (la famiglia Mercado che si presta a recitare enfaticamente in un riallestimento delle esequie), e nell'avvertire un'infinitesima distanza fra i nostri media e quelli che il film racconta. E forse la domanda più interessante che il film ci pone è proprio questa: in che modo siamo e dobbiamo sentirci coinvolti, noi e le nostre sensazioni, quando ciò che fruiamo non è altro che uno spettacolo della spettacolarizzazione del dolore?