Anno | 1981 |
Genere | Commedia |
Produzione | Italia |
Durata | 97 minuti |
Regia di | Nanni Moretti |
Attori | Laura Morante, Alessandro Haber, Nanni Moretti, Nicola Di Pinto, Mario Colli, Miranda Campa Mario Cipriani, Remo Remotti, Mario Garriba, Livio Galassi, Gigio Morra, Chiara Moretti, Claudio Spadaro, Dario Cantarelli, Claudio Ciocca, Sabina Vannucchi, Vincenzo Salemme, Tatti Sanguineti, Piera Degli Esposti, Alberto Abruzzese, Giovanna De Luca, Giampiero Mughini, Luigi Moretti, Oreste Rotundo, Sara Di Nepi, Cinzia Lais, Maria Cristina Nanni, Maurizio Mattioli, Mauro Fabretti, Adriana Pecorelli, Fabrizio Beggiato, Massimo Garzia, Cartnelo Lombardo, Amedeo Fago, Mario Monaci Toschi, Conchita Airoldi, Tommaso Vittorini. |
Tag | Da vedere 1981 |
MYmonetro | 3,36 su 3 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 6 febbraio 2014
Michele è un giovane regista dal carattere intrattabile, vittima di preoccupanti nevrosi sulle quali aleggiano principalmente la figura della madre. Il film è stato premiato al Festival di Venezia,
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CONSIGLIATO SÌ
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Giovane regista alle prese con l'opera terza, Michele Apicella è assalito da sogni e incubi di varia natura. Non lo aiutano la petulante madre con cui vive, due coetanei di provincia che vogliono seguirne il lavoro sul set né, tanto meno, un volgare e invadente collega impegnato nella realizzazione di un musical sul Sessantotto. Mentre la produzione del suo La mamma di Freud va avanti, si acuiscono le idiosincrasie verso la smania del dibattito, il chiacchiericcio pseudo-intellettuale, la volgarità.
Premiato con il Leone d'argento - Gran premio della giuria (ex aequo con Non portano lo smoking di Leon Hirszman) al Festival di Venezia del 1981, il terzo lungometraggio di Nanni Moretti appartiene di diritto alla categoria dei cosiddetti film-bilancio. Forse un po' presto per un autore di neanche trent'anni, sebbene il risultato, certamente autoreferenziale, frammentario, anche irritante, giustifica il tiro alto. In questa quasi autobiografia dall'andamento schizofrenico, a distanza di anni, si trova molto di più di quanto si percepì all'epoca, quando il titolo fu inserito all'interno dell'improvvisata congerie dei "nuovi comici" eppure ugualmente guardato con sospetto per la mancanza di una sua omogeneità alla categoria. In effetti, Sogni d'oro è un lavoro di difficile classificazione: non è soltanto il fuoco di fila di trovate spesso esilaranti e di personaggi di culto immediato (il Freud di Remo Remotti, il campione dei dibattiti Dario Cantarelli con il tormentone del "bracciante lucano, del pastore abruzzese e della casalinga di Treviso"), ma anche una seria analisi sul disagio e sulle nevrosi condotta attraverso una parodia di quella metà oscura - il finale alla Dottor Jekyll - insita in ognuno. Capace di far coesistere umorismo e angoscia, satira e scoramento, si tratta del tassello che meglio definisce il personaggio-Moretti prima maniera, paradosso di un uomo di cinema in grado di far ridere senza rientrare in nessuna categoria critica preconfezionata quanto in un sarcasmo spesso davvero feroce e frutto di un insieme di stimoli diversi. Narcisista e indisponente, è automaticamente il lavoro più odiato dai detrattori del regista-personaggio, che qui possono trovare un compendio di tutte le sue fisime più note, Sachertorte e passione per un certo tipo di calzature comprese.
Dopo Io sono un autarchico (1976) e Ecce Bombo (1978), Sogni d'oro è il terzo film in cui compare il personaggio-camaleonte di Michele Apicella, presente anche nei successivi Bianca (1983) e Palombella rossa (1989), singolare alter ego di Moretti che in ogni storia ha una vita e una professione diversa.
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Michele Apicella è un giovane regista di successo che però attira su di se tanto critiche da parte di chi lo accusa di eccessivo intellettualismo. Deve fare i conti con i suoi avversari nelle numerose trasmissioni e conferenza a cui partecipa, mentre deve tenere a bada chi si propone di aiutarlo per imparare il mestiere e storie d’amore che rimangono irrealizzate.
"Sogni d'oro" è un film d'arte cervellotica, arte stramba come la pittura astratta, come la poesia ermetica, come la scultura fatta di rifiuti... Non ci si capisce (quasi) niente, ma interessa, intriga, coinvolge. L'avevo perso a suo tempo. L''ho visto adesso (novembre 2019) in TV, con un piacere aspro ma autentico.
Nanni Moretti ha fatto centro. Per la seconda volta, dopo Ecce Bombo, come regista professionista, per la terza, se si conta anche quel suo felicissimo film in superotto, Io sono un autarchico, cui invano nel ‘77 ad Ischia io cercai di far dare il Premio Rizzoli per il Giovane Cinema scontrandomi con una giuria che dai giovani voleva solo l’accademia.
Nanni Moretti, giovanissimo, è carico come un eroe romantico delle delusioni intraviste e delle illusioni rifiutate, del proprio orgoglio e della disperazione di sé. Ha il cinema come arma per affermarsi e per difendersi. Sogni d'oro, è quasi perfetto nella sua fragile scombinatezza, nella sua calcolata, ma anche inevitabile costruzione per frasi, pensieri, scene, scherzi, morsicature.