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Takashi Miike

Takashi Miike è un attore giapponese, regista, sceneggiatore, fotografo, è nato il 24 agosto 1960 ad Osaka (Giappone). Takashi Miike ha oggi 63 anni ed è del segno zodiacale Vergine.

I tre tempi di Takashi Miike

A cura di Fabio Secchi Frau

Tre approcci diversi alla macchina da presa. Tre modi differenti di narrare in relazione al pubblico al quale il film è dedicato. Tre tempi distinti con linee che però si accavallano continuamente nella sua carriera: una per il V-Cinema, la seconda per i film iperviolenti del grande schermo e la terza per le pellicole dedicate all'infanzia. Così nasce il cinema di Takashi Miike, che non è solo costituito da atmosfere rarefatte e violenza che prende corpo e fascino in raffinatissime scene di efferato splatter, ma è molto di più! È il più prolifico e controverso filmmaker giapponese. Regista di opere teatrali, home video e telefilm, fa il suo debutto nel mondo degli audiovisivi solo nel 1991. E deve recuperare il tempo perduto. In pochi anni, fra il 2001 e il 2002, arriva a dirigere ben 14 film che hanno come filo conduttore: una forte e bizzarra aggressività visiva, l'amore per il dramma e l'esaltazione di valori comuni come la famiglia e l'amicizia. Provocatorio, estremamente brutale e propenso a violare tutti i tabù sessuali che conosce, è uno dei più ambigui autori che il grande schermo ci ha donato. Quando lo spettatore guarda una sua pellicola, non ha la più vaga idea di come finisca un suo film. Non sa se il protagonista morirà o tirerà fuori dal nulla un bazooka, salvandosi. È questo il suo bello: è imprevedibile. Affezionato ad attori come Renji Ishibashi, Shô Aikawa, Riki Takeuchi, Ren Ohsugi e Susumu Terajima, li muove come fossero delle action figures, cullando quel forte senso di nostalgia infantile che inserisce solo in piccolissime dosi nella sua filmografia. Glorioso, perverso, ma amatissimo dal Festival di Venezia, è un regista da scoprire e difficilissimo da valutare. Come ha scritto Davide Morena, i suoi film possono andare "da zero a cinque stelle, a vostra scelta". Insomma, o si ama o si odia... Una terza opzione, con Takashi Miike, non esiste.

Il lavoro come aiuto regista
Nato a Yao, nella prefettura di Osaka, Takashi Miike è il figlio di un saldatore e di una sarta originari dell'isola di Kysh. I suoi nonni, infatti, scapparono in Cina e in Corea, con l'arrivo della Seconda Guerra Mondiale e ritornarono nell'arcipelago nipponico solo al termine del conflitto. Da bambino passa i suoi pomeriggi al cinema, diventando un fan sfegatato di Bruce Lee, di film catastrofici e di western spaghetti. Da adolescente, è un eccellente giocatore di pachinko (una fusione fra flipper e slot machine) e un appassionato di motociclismo. Dopo essersi diplomato, decide di frequentare la scuola di cinema e televisione Yokohama Eiga Semmon, ma dopo una settimana smette di frequentare le lezioni e ottiene un lavoro in un pub frequentato da soldati statunitensi. Assunto poi come collaboratore per una serie tv intitolata Black Jack, lavora nel piccolo schermo per ben dieci anni, fino a quando non viene promosso ad aiuto regista di Shôhei Imamura nel film Zegen (1987). Da lì in poi coopererà anche con altri autori come: Toshio Masuda, Kazuo Kuroki, Ngai Kai Lam, Biao Yuen, Shuji Goto e Hideo Onchi. Alla fine degli Anni Ottanta, tenterà persino la strada dell'attore, sempre in un film del mentore Imamura: Pioggia nera (1989). Ma sente che non è la sua via e preferisce dedicarsi solo ed esclusivamente all'arte della messa in scena. Sporadicamente, torna davanti all'obiettivo della cinepresa, esclusivamente per esaudire i desideri di quei colleghi che lo stimano, come nel caso di Eli Roth che lo ha voluto in un piccolissimo ruolo del suo Hostel (2005) con Jay Hernandez e Derek Richardson.

Il V-Cinema
Per quanto indisciplinato, Imamura promuove il suo pupillo Miike perché gli si dia l'opportunità di mostrare di che stoffa è fatto. I produttori, amici di Imamura, vogliono credere al vecchio regista e amico, e propongono a Miike di girare alcune pellicole per il V-Cinema, ovvero per il mercato home video. Comincia con Toppuu! Minipato tai - Aikyacchi Jankushon (1991), un film d'azione e, dopo solo due mesi, è di nuovo a lavoro con Redi hantaa - Koroshi no pureryuudo (1991), dove ha sostituito Toshihiko Yahagi. Per i finanziatori, Takashi Miike sa quello che fa e gli consegnano altri soggetti del sottogenere Yakuza film. Freneticamente ne dirige in media cinque o sei all'anno, facendoli interpretare soprattutto da Megumi Kudô e Hiroyuki Watanabe. Di fatto, si impone come l'erede di Kinji Fukasaku e Seijun Suzuki, veri e propri pilastri del genere, ma ci aggiunge quel pizzico di violenza in più che sarà il centro del suo stile. Del resto, raramente la censura si abbatte sugli home video e i produttori tendono a lasciare più libertà creativa al regista di turno. E poi le trame consentono l'uso della veemenza fisica!

La Black Society Trilogy
Dopo aver diretto il televisivo Rasuto ran - Ai to uragiri no hyaku-oku en - shissô Feraari 250 GTO (1992) e l'home video Daisan No Gokud (1995), si dedica alla creazione di una trilogia conosciuta con il nome di Black Society che sarà però trasposta per il grande schermo in tempi diversi. Della trilogia faranno parte: Shinjuku Triad Society (1995), Gokudô kuroshakai (1997) e Ley Lines (1999). Tre film che narrano le vicende della mafia cinese contrapposta a quella giapponese. La storia comincia con il boss taiwanese omosessuale Wang Zhiming che, arrivato a Tokyo, cerca subito di prendere contatti con gli yazuka locali per gestire un traffico di organi, ma le cose non vanno per il verso giusto. Da lì in poi, la storia prosegue fino a Yuji, uno yakuza locale che è costretto a fare il killer per la mafia giapponese, ma morto il suo capo e desideroso di fare vendetta, dovrà conciliare il suo "lavoro" con la scoperta di essere padre di un bambino, lasciatogli da una sua amante. Già qui, si cominciano a delineare i primi temi della sua filmografia: i vecchi e stanchi criminali che sono soppiantati da una nuova generazione; la difficoltà a integrarsi con un'identità di origini non giapponesi; l'omosessualità; la violenza splatter; e la forte ironia. Tecnicamente, si rintracciano i primi semi del suo stile costituito da un montaggio veloce, da una musica incalzante, da inquadrature che indugiano sulla violenza brutale e una sceneggiatura arguta e umoristica. La prima pellicola della trilogia viene proiettata per pochissimi giorni in un solo cinema di Tokyo, ma visto l'afflusso del pubblico man mano che si aggiungevano film, si decise per quadruplicare la proiezione dei film nelle sale. Quentin Tarantino amerà a tal punto la trilogia da omaggiarla facendo ripetere a Uma Thurman, nel film Kill Bill vol. 1 la stessa frase che Ku dice nel finale a Chen («Un giorno, se la cosa ti brucerà ancora e vorrai vendicarti, io ti aspetterò»).

Altri yakuza films
Il mondo scopre Takashii Miike nel 1996, quando arriva Gokudô sengokushi: Fudô, trasposizione dell'omonimo manga di Hitoshi Tanimura, che ha generato un sequel diretto nel 1997 da Yoshiho Fukuoda. Proiettato in vari festival, vince due premi al Fantasporto. Ancora una volta si parla di yakuza, con la storia del giovane figlio di un boss attaccato dal fratello maggiore per detenere il potere ereditato dal padre. Cominciano i primi germi di una sperimentazione che lo spingerà a mischiare vari formati, generi e a giocare con la drammaturgia. Lo si vede benissimo in Full Metal gokudô (1997), altro yakuza film contaminato dalla fantascienza. Inizialmente realizzato per il V-Cinema, è stato distribuito sul grande schermo, diventando un cult movie. Le avventure del timido e maldestro ragazzo che vorrebbe diventare un boss mafioso e del suo eroe uno spietato yakuza armato di katana che vengono fusi in un solo corpo da uno scienziato pazzo, sono una goduria per gli spettatori. Dopo alcuni anni di pausa dal genere, tornerà alle pellicole mafiose con il grottesco Gozu (2003), prodotto da Harumi Sone, realizzato in solo 15 giorni e presentato con successo alla Quinzaine des Réalizateurs del Festival di Cannes. Stavolta l'uomo impelagato con le questioni malavitose è uno squilibrato mentale.

La trilogia Dead or Alive
A seguire arrivano, fra il 1999 e il 2000, ben 10 film, fra cui spicca il successo della trilogia Dead or Alive (1999-2000-2002) interpretata da Sh Aikawa e Riki Takeuchi. Violentissima, ma con momenti di grande sentimentalismo, è l'espressione della versatilità di questo regista e dell'eccesso come chiave di lettura del suo cinema. Fra sequenze montate rapidamente come in un videoclip, immagini di omicidi, sodomizzazioni, droga, doveva essere la versione giapponese di Heat - La sfida (1995) di Michael Mann, ma è ovviamente andato in tutt'altra direzione! Molto più adrenalinico, anticonvenzionale, apocalittico, splatter, onirico e surreale, è un tripudio di sorprese che non furono gradite dai produttori, al quale il finale del film fu nascosto e rivelato soltanto il giorno delle riprese.

Le pellicole horror
E dopo la miniserie Tennen shôjo Man (1999), arriva l'horror Ôdishon (1999), trasposizione dell'omonimo romanzo di Ryu Murakami e che descrive la storia di un dirigente di una compagnia che entra in contatto con una strana e affascinante attrice che nasconde qualcosa di molto macabro nella sua vita. Il film, proiettato al Festival di Rotterdam provocò uno scandalo inaudito. Si dice che durante la proiezione del film una donna si avvicinò a Miike gridandogli «Lei è il diavolo», a lui l'etichetta piacque, anche se molti spettatori svennero per la crudezza della scene di tortura e altri erano in visibile stato di shock. Del resto, è un film molto amato da Marilyn Manson che ha pregato il regista giapponese perché ne girasse un remake americano nel quale recitare un ruolo. E sempre seguendo la scia dell'orrore, Takashi Miike firma in digitale l'anomala serie televisiva splatter Mpd Psycho (2000), composta da soli sei episodi e tratta dall'omonimo manga di Eiji Ootsuka e Shu Tajima. Trasmessa dall'emittente WOWOW, narra (con inserti di anime e l'uso di scenografie surreali) la storia di un giovane poliziotto che soffre di personalità multiple. Lodata dal pubblico giapponese, rappresenta la risposta giapponese a I segreti di Twin Peaks e X-Files. Tornato al cinema, nel 2001, gli viene affidato il remake del film sudcoreano The Quiet Family che trasformerà in una contaminazione di generi horror, commedia e musical con bizzarre sequenze in claymotion dal titolo Katakuri-ke no kôfuku (2001). Poi arriva la ghost story The Call - Non rispondere (2003), tratto dal romanzo "Chakushin ari" di Yasushi Akimoto. Firma anche Izo (2004), vera storia del samurai del XIX secolo trucidato e crocifisso Izo Okada, costretto a viaggiare nello spazio e nel tempo sterminando chiunque abbia la sfortuna di incontrarlo con l'aspirazione di diventare un demone. L'Occidente cerca di trascinarlo dalla sua parte, ma Takashi Miike è come i suoi personaggi. Troppo ribelle per chinarsi di fronte a Hollywood. Il massimo che riuscirono a ottenere da lui è l'episodio Imprint della serie Masters of Horror (2006) che, visto il tema della pedofilia di cui tratta, fu l'unico a essere censurato e a essere inserito direttamente in DVD. Segnaliamo anche l'episodio Box - Scatola del film corale (Chan-wook Park e Fruit Chan) Three... Extremes (Cut - Box - Ravioli) (2004), nel quale Miike mette in scena il tormento di una scrittrice ossessionata dal ricordo di un delitto infantile.

I film di violenza sociale
C'è poi un altro filone interessante da scoprire, quello della violenza sociale. Miike gioca con i temi del bullismo e dello sfacelo familiare (ma anche della necrofilia) con l'home video Visitor Q (2001), commedia drammatica considerata una delle sue creazioni più controverse.

Ichi the Killer, il capolavoro
Il film migliore della sua carriera, il capolavoro, è invece considerato Ichi the Killer (2001) con Shinya Tsukamoto e Hiroyuki Tanaka, uno splatter tratto da un noto manga che gioca con il registro linguistico dei cartoni animati. Anche in questo caso si parla di yakuza, di vendetta, ma anche di come gli uomini (anche quelli più timidi e gentili) possano essere trasformati in brutali macchine di morte, rappresentando di fatto la summa artistica ed estetica della sottocultura nipponica post-atomica.

Sukiyaki Western Django, l'omaggio agli spaghetti western
Follemente stregato da Django di Sergio Corbucci, realizza il suo primo e unico western, Sukiyaki Western Django (2007), interpretato tra gli altri da Quentin Tarantino. Presentato alla 64° edizione del Festival di Venezia, è uno strano incrocio fra Akira Kurosawa e Sergio Leone, ma con i confini di un b-movie all'italiana.

I film per l'infanzia
A dispetto della sua reputazione, Miike è anche un regista di film per l'infanzia e ne sono un esempio: Zebraman (2004); l'omaggio ai personaggi dei fumetti di Shigeru Muzuki La guerra dei fantasmi (2005); e Yattaman - Il film (2009), ispirato all'omonima serie animata degli anni Settanta. Con questi tre titoli, sciacqua via dalle sue mani e dall'obiettivo della sua cinepresa tutto il sangue che solitamente lo macchia. Libero dallo splatter e dalle strampalate depravazioni sessuali, trova un modo ironico per parlare ai più piccoli del tema dell'amicizia e dell'importanza della famiglia, di come sia importante colmare la mancanza di radici nella propria identità con l'affiliazione a un gruppo. Nasce il lieto fine. La speranza. Ed è solo per i più piccoli che considerano il cinema l'unica fuga possibile alla realtà e a una società sempre più crudele. Ovviamente, non mette da parte tutte quelle che sono le sue caratteristiche principali: il montaggio pieno di tagli veloci, i piani sequenza, lo stile da videoclip, un'accurata scelta musicale e un numero esagerato di cromature. A loro, offre la cosa più pura che ha: la sua fantasia.
Nel 2011 sceglie di ripercorrere il cinema che lo ha reso celebre dirigendo un altro remake sui moderni samurai: 13 Assassini. L'anno successivo presenta al Festival di Roma Il canone del male.

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