L’ultimo ruolo nel quale lo ricordiamo è quello dell’impettito, compunto maggiordomo dl casa McCordle in Gosford Park di Robert Altman: corpo dilagante, collo taurino, volto rubizzo, su! quale si accendevano con ironia gli occhi, quegli occhi verdi che, insieme alle labbra bellissime e alla corporatura massiccia, gli hanno fatto conquistare (e spesso perdere) tante donne (e talvolta uomini) nel corso della sua carriera cinematografica. Non era il tipico inglese, Alan Bates, non era esangue, non era ambiguo, non era languido né longilineo; pareva più scozzese, o gallese, corpulento, torvo o ridente e, sessualmente, decisamente aggressivo. Invece, veniva dal cuore dell’Inghilterra, il Derbyshire, aveva studiato alla maggiore accademia d’arte drammatica d’Europa, il Rada, e servito nella leggendaria Raf Inglese purosangue, ma della generazione dei proletari arrabbiati, dove lui e Albert Finney fecero esplodere i sensi, le tensioni, le insoddisfazioni di un mondo sull’orlo del baratro e della ribellione. In teatro, a metà degli anni ‘50, debuttò con Osborne, in Ricorda con rabbia, brillò con Pinter, e continuò con Shepard, Bernhard e con tutto Shakespeare, da Amleto (in teatro, in gioventù, mentre nella versione cinematografica di Zeffirelli fu un intenso Claudio) a Riccardo III ad Antonio e Cleopatra. Al cinema approdò ne! 1960, con una parte in Gli sfasati di Tony Rìchardson, di fianco all’istrione Laurence Olivier che ritroverà nel 1982 nel televisivo Viaggio intorno a mio padre. Ma fu John Schiesinger, nel 1962, a dargli il primo grande ruolo: il giovane disegnatore inquieto e tormentato della provincia del nord che finisce per rassegnarsi al grigiore, come accadeva sempre ai protagonisti del Free Cinema, in Una maniera d’amare. E con Schlesinger tornerà, celebre dopo Zorba il greco, nella parte del marito paziente di Julie Christie in Via dalla pazza folla e, nel 1985, nella parte di Guy Burgess, spia inglese passata ai sovietici, nel bellissimo An Englishman Abroad, film di radici e ideali, di malinconia e tramonto, una delle sue parti più belle e più fini, insieme a quella dell’omosessuale che, lasciato dal giovane sposato che ama, finirà per affezionarsi alla sua cagna, in Il più gran bene del mondo di Colin Gregg, e a quella del fattore innamorato dell’aristocratica Julie Christie, che paga con l’abbandono il gelo delle differenze di classe, in Messaggero d’amore dj Joseph Losey. Sapeva soffrire per amore sullo schermo, Alan Bates, con una tenerezza schiva e un dolore sordo; come sapeva conquistare cori virile dominanza e con una punta di follia: se ne accorsero Ken Russeil, che lo immerse nel passionale quadrilatero di Donne in amore; e Jerzy Skolimowski, che gli diede il ruolo più misterioso e carnale della sua carriera, quello dell’Australiano, il pazzo fascinoso che ha imparato dagli aborigeni a uccidere con un urlo. Con la sensualità, era l’ironia l’altro polo della sua recitazione; infatti non disdegnò mai la commedia, da quelle molto british come Un cadavere in cantina o Britannia Hospital alle americane The Rose di Mark Rydell e Una donna tutta sola di Paul Mazursky, il film che gli diede la celebrità hollywoodiana. Una recitazione che pareva tutta istintiva e invece era raffinatissima, studiata, di testa, capace di trasmettere la sofferenza sottile che corre sotto l’eccesso.
Da Film Tv, 2, 2004