Se ti impegni abbastanza, puoi far funzionare ogni situazione: una volta ho convinto una donna che ero Kevin Costner! Ed ha funzionato, perché ero io che ci credevo!". Parola di Saul Goodman, nato James "Jimmy" Morgan McGill, truffatore provetto prima e avvocato che non si ferma davanti a nulla dopo.

Nel tribunale di Albuquerque, città in cui vive sebbene non saprebbe scriverne correttamente il nome, lo conoscono tutti, sanno del suo "andiamo in scena" prima delle arringhe e in pochi lo sopportano, inizialmente neanche quel Mike addetto alla cabina del parcheggio che sembra aver vissuto dieci vite.

Che abbia ottenuto il titolo mediante l'università per corrispondenza delle isole Samoa poco importa alla fine: non è certo la parlantina a mancargli né la faccia tosta necessaria per raggirare la giuria. Basta volerlo.

Da Breaking Bad, in cui sventolava la bandiera di una comicità al vetriolo in grado di stemperare la tensione costante, l'attore Bob Odenkirk è diventato protagonista assoluto in Better Call Saul, in parte spin-off e in parte prequel, una serie baciata dalla fortuna che con la messa in onda del primo episodio ha ottenuto il più alto indice d'ascolto di sempre per le TV via cavo.

Dopo la rivoluzione della metanfetamina più pura che ci sia in giro, raccontata nelle cinque stagioni che hanno reso Walter White e Jesse Pinkman due icone assolute, all'inizio di Better Call Saul troviamo il nostro, sotto falsa identità, impiegato in un centro commerciale del Nebraska.

Fa il panettiere Saul, vive un'esistenza in bianco e nero, si consola guardando i vecchi e irresistibili spot televisivi realizzati per la sua attività forense. Ma è soltanto un flash, un momento su cui non si ritornerà più. La domanda è un'altra: com'è arrivato lì? I primi dieci episodi "sul prima di ogni cosa" sono bastati a Vince Gilligan e Peter Gould per dare il via ad una mitologia che la nuova stagione rischia di trasformare in un evento.

Better Call Saul 2, infatti, comincia a raccontare proprio da quando Jimmy sceglie di diventare Saul: alla guida di un catorcio di macchina, nell'epilogo della prima stagione, si fa una domanda semplice e sceglie di stare da una parte piuttosto che da un'altra, canticchiando il riff di Smoke on the Water, sicuro come non lo è stato mai.

Più dark, complessa e ricca, anche produttivamente, della precedente, la seconda stagione dà la risposta alla domanda chiave sul perché sarebbe sempre meglio chiamare Saul. E non solo nel caso in cui aveste perso una persona cara in un disastro aereo o aveste riportato traumi psicologici o danni alla vostra proprietà a causa dei rottami di un velivolo.

Jimmy McGill sta per scomparire e nemmeno il fratello Chuck, avvocato brillante quanto terrorizzato dalla possibilità di entrare in contatto con campi elettromagnetici, questa volta potrà "salvarlo". Del resto, proprio l'allontanamento tra i due, il tradimento di una fiducia che Jimmy credeva di avere, passa per una delle motivazioni dello switch - così come si chiama in originale il primo episodio della seconda stagione - verso l'anima traffichina di Saul.

Anche il rapporto con la bella Kim Wexler avrà sviluppi inaspettati così come sarà inedita la piega che prenderà la vita del quieto e letale Mike Erhmantraut, ormai ben lontano dalla cabina del parcheggio in cui è stato relegato per quasi tutta la prima serie.

Dipende dai punti di vista: Better Call Saul 2 può rappresentare la discesa nel baratro di un uomo che, non fosse stato troppo deluso dalle circostanze, avrebbe potuto stare dalla parte giusta. Oppure la scoperta di un grandissimo potere conseguente alla scelta di non porsi complicazioni di carattere morale, prendendo il meglio che si può avere, sempre e comunque. Un supereroe al contrario insomma.

Che lo vediate verso una direzione o verso l'altra, l'universo che ha reso Breaking Bad l'evento televisivo degli ultimi anni torna grazie a Saul, uno tanto ironico da inventarsi un cognome che è l'antifrasi esatta di quello che sceglie di essere.