di Marco Chiani
Mentre Ti amo presidente, nelle sale italiane neanche un mese fa, raccontava essenzialmente l'incontro d'amore tra Barack e Michelle, Barry si concentra sui vent'anni dell'ex numero uno d'America, intercettando tensioni razziali, conflitti famigliari e voglia di trovare un posto nel mondo.
Lontano dall'agiografia di Richard Tanne, quasi una cartolina ricordo della coppia presidenziale alla fine del mandato, la versione di casa Netflix (disponibile da oggi) ingrana la strada, sempre buona, del vecchio, caro romanzo di formazione.
Di matrice anche piuttosto vincente c'è da dire: dopotutto, lo spettatore sa che quel protagonista sempre un po' in bilico troverà, alla fine, il miglior posto del mondo.
Passato con successo al Festival di Toronto, Barry fornisce un ritratto del Presidente da giovane insomma, calandolo in un'America - siamo nel 1981 quando Obama sta per iniziare il terzo anno di università alla Columbia - per niente quieta, divisa com'è dal razzismo e ferita dalla criminalità organizzata.
La scelta di Netflix di produrre un film sul Presidente uscente, messo in cantiere proprio nell'ultimo anno del mandato del nostro, è vincente per più motivi. Perché il cinema americano, e ancora prima l'America stessa, ama raccontare gli inquilini della Casa bianca, che siano alle prese con alieni verdastri o con dolci storie d'amore. Ancora perché l'effetto nostalgia, dopo la vittoria di Donald Trump, è sempre un buon traino, e non ultimo perché il racconto dell'uomo comune che arriva al vertice è il più americano che si possa immaginare.
Quasi impensabile, infatti, che il cinema americano non celebrasse l'inizio dell'incredibile epopea di un suo figlio, nato poverissimo nelle Hawaii, e diventato il primo presidente afro-americano della storia.
Diretto da Vikram Gandhi, che ha all'attivo il singolare Kumaré (2011), il film Netflix si concentra sugli sforzi del protagonista di trovare un centro ai rapporti con la madre, originaria del Kansas, con il padre keniano, con i compagni di corso alla Columbia.
In parte biopic, in parte fotografia di un'America che fu non tanto diversa dall'America che è, Barry si aggiunge alla lista di pellicole, in maggioranza documentarie, già dedicate a Barack Hussein Obama II. Dal corto (17 minuti) The Road We've Traveled, diretto da un regista d'eccezione come Davis Guggenheim e usato anche come strumento propagandistico, a Barack Obama - L'uomo, il Presidente, forse il più completo, si arriva ad una marea di titoli, molti dei quali anche piuttosto contrari all'uomo e all'opera (si pensi a L'inganno di Barack Obama), che sarebbe superfluo elencare.
Che poi Obama abbia a che fare con lo spettacolo più di ogni altro presidente americano è nelle cose: durante una festa del Partito Democratico non fu lui stesso a dire "ho scelto di fare il presidente solo perché non potevo essere Bruce Springsteen"?