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L’orto americano, una summa dell’Avati più cupo e drammatico. Ma con la speranza sempre viva

Un film complesso girato in bianco e nero. Efficacissima la presenza di una carismatica veterana come Rita Tushingham. Dal 6 marzo al cinema.
di Rudy Salvagnini

Filippo Scotti - Capricorno. Interpreta Lui nel film di Pupi Avati L'orto americano.
martedì 4 marzo 2025 - Focus

Nel corso di una lunga carriera densa di titoli, Pupi Avati ha affrontato vari generi e varie tematiche: dalla commedia sentimentale al racconto di formazione, dall’affresco storico alla satira sociale, dal thriller all’horror cupo e magari anche demoniaco, fondando nell’occasione quello che è stato definito il gotico padano. L’orto americano sembra quasi essere una summa dell’Avati più cupo e drammatico, con elementi però che fanno leva sui sentimenti e riflettono una speranza che resta viva anche nelle situazioni più sfavorevoli. Il film riunisce infatti diverse anime tenute insieme dallo sguardo personalissimo di Avati: la prima parte è introspettiva con elementi quasi paranormali introdotti in modo diretto e inquietante (la voce che guida il protagonista a scavare nell’orto della vicina), poi subentra una parte dedicata alle indagini del giovane che cerca di squarciare il velo di mistero che attornia la donna che ha visto fuggevolmente e di cui si è perdutamente innamorato, quindi c’è una fase per così dire processuale che segue il giudizio su un uomo accusato di un triplice omicidio dalle caratteristiche brutali, infine c’è una fase che recupera le atmosfere del gotico padano e sfiora persino l’horror pur senza abbracciarlo mai del tutto.

Un film molto articolato e complesso, quindi, nel quale il giovane protagonista, un aspirante scrittore che nessuno vuole pubblicare e che ha un pregresso di malattia mentale o almeno ritenuta tale da chi l’ha preso in cura, viene folgorato dalla visione di una giovane infermiera dell’esercito americano in Emilia nell’immediato dopoguerra e, in una trasferta americana, va a vivere proprio accanto alla casa della madre di quell’infermiera, che sta morendo di crepacuore per l’improvvisa scomparsa della figlia, mentre l’altra sua figlia si sposa con l’ex fidanzato della sorella scomparsa e sembra avere con lei una rivalità che confina con l’odio. Così, in una realtà che gli è ostile ed estranea, il protagonista è guidato da un amore impossibile, nato dalla visione di un istante e destinato a durare per sempre. In questo senso, i riferimenti poetici che punteggiano la prima parte del film sono particolarmente significativi.

La scelta del bianco e nero e dell’ambientazione rétro nell’immediato dopoguerra asseconda il clima riflessivo e nostalgico che domina la vicenda e immerge il personaggio principale in un’aura di quieto pessimismo che si scontra con la sua altrettanto quieta, ma inflessibile, determinazione a non demordere nella ricerca. Delle varie parti che compongono un film episodico e a tratti incostante, a riuscire meglio sono quelle in cui Avati può liberare il suo estro creando atmosfere inquietanti e misteriose nelle quali la normalità della realtà sembra spezzarsi mostrando delle crepe che potrebbero dipendere dalla condizione mentale del protagonista, ma potrebbero anche essere invece l’effetto di subitanee irruzioni di qualcosa che va oltre il reale. In questo senso, è mirabile la parte ambientata negli Stati Uniti, con il giovane aspirante scrittore che scopre l’importanza delle coincidenze che sembrano guidarlo nella ricerca della donna che lo aveva colpito con la sua sola presenza quando era ancora in Italia.
 


In foto una scena del film.

Efficacissima è la presenza di una carismatica veterana come Rita Tushingham - un vero e proprio colpo di genio di casting, come capita di frequente nei film di Avati - che dà corpo e spessore al ruolo della madre disperata che attende invano il ritorno della figlia prediletta. L’orto americano del titolo, secco e abbandonato, è un luogo metaforico cruciale per togliere uno dei veli che circondano un mistero che però resta stratificato e coperto da ulteriori veli che ne rendono sempre più difficile la piena scoperta. Allo stesso modo, se la parte processuale risulta un po’ più ordinaria e meno intensa dal punto di vista drammatico, le sequenze che seguono e si occupano del rapporto tra il protagonista e il fratello dell’uomo accusato dei delitti sono magistrali nell’inserire elementi di sinistro mistero e nel dare corpo all’orrore in modo suggestivo ed efficace. Ma è anche magistrale il lungo sottofinale nel quale viene enfatizzata la pazienza del giovane scrittore nel perseguire il suo scopo anche al di là di ogni ragionevole possibilità di riuscire nel suo intento, sino a un finale ineffabile e misterioso, ma al tempo stesso di comprensione se non di accettazione, pur con una sottile ambiguità di fondo.

Filippo Scotti regge con buona efficacia la parte principale di attonito e determinato ricercatore di se stesso oltre che della persona che immagina di amare, ma tutto il cast offre prove convincenti, con attori avatiani come Massimo Bonetti nel ruolo di un giudice e Chiara Caselli, in diretta da Il signor Diavolo (guarda la video recensione), nella parte di un’affittacamere che sa molte cose. In evidenza anche, in una piccola ma significativa parte, Nicola Nocella.


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