Attraverso la forma dell'autoritratto, il film ripercorre in maniera libera la vita e la carriera della regista. Espandi ▽
Antonietta De Lillo ripercorre la propria carriera partendo dagli inizi, tra reportage, giornalismo, televisione e la voglia di fare il cinema a Roma, dove ha avuto luogo il suo apprendistato a 360 gradi, da fotografa di scena a assistente operatrice. Autoritratto anticonvenzionale a vent’anni esatti da Il resto di niente, L’occhio della gallina chiama a raccolta e fa parlare tra loro molti archivi video privati e le immagini dei numerosi film autoprodotti: da I racconti di Vittoria a La pazza della porta accanto - Conversazione con Alda Merini, da Let’s go a Il signor Rotpeter. Questi frammenti però non appaiono in forma canonica di estratti, a mo’ di classiche citazioni, ma sono direttamente proiettati sulle pareti dello studio che De Lillo sceglie come set, circondata da collaboratori e dalle figlie presenti anche in molti home movies girati lungo gli anni. Una scelta che suona come un’autocertificazione, la dichiarazione di fedeltà a un metodo di lavoro collettivo, rappresentato anche dal lancio del format del “film partecipato”, o “documentario di remix” di materiali preesistenti, come in Oggi insieme domani anche (2015). Recensione ❯
La tua recensione è stata registrata. Convalida adesso la tua preferenza.
Ti abbiamo appena inviato un messaggio al tuo indirizzo di posta elettronica. Accedi alla tua posta e fai click sul link per convalidare il tuo commento.
La tua preferenza è stata registrata. Grazie.
Un divertente (e non solo) film girato quasi a budget zero. Espandi ▽
Antonino inanella un colloquio di lavoro dopo l’altro nessuno dei quali lo porta ad un lavoro che abbia o un senso o una remunerazione accettabile. Nel frattempo sopravvive in una coabitazione con un amico che però si rifiuta di prestargli una somma ad integrazione di quella che lui ancora possiede: un euro e quaranta centesimi. Un film sincero, divertente, ricco di occasioni di riflessione su una società che ha sempre meno spazio per il futuro dei giovani. Ha diversi pregi questa opera prima di Antonino Giannotta, cinefilo con 69.000 follower. Quello che fa più notizia (e lo ha già fatto) è il sapere che è stato girato in una settimana durante il periodo pasquale con un budget dalla folle cifra di 1200 euro. La vera notizia è però quella che si tratta di un bell’esordio a cui non mancano né la professionalità della scrittura né la proprietà del linguaggio cinematografico.Giannotta e Lapo Mamoli Aprile, suo cosceneggiatore hanno centrato il bersaglio ed ora si trovano dinanzi al compito più difficile: realizzare un secondo film che sia all’altezza del primo. Recensione ❯
La tua recensione è stata registrata. Convalida adesso la tua preferenza.
Ti abbiamo appena inviato un messaggio al tuo indirizzo di posta elettronica. Accedi alla tua posta e fai click sul link per convalidare il tuo commento.
La tua preferenza è stata registrata. Grazie.
Un documentario originale sulla scalata dell'Everest. Dove vediamo l'umanità dell'impresa. Documentario, Italia2024. Durata 97 Minuti. Consigli per la visione: Ragazzi +13
Un'avventura da brivido fino alla vetta del pianeta Terra. Espandi ▽
Alex Harz dirige ed è protagonista di un documentario che non si accontenta di mostrare le varie fasi che costituiscono la preparazione e l'impresa della scalata alla vetta del mondo. Il suo percorso inizia molto prima del primo campo base e consiste nell'avvicinamento progressivo alla montagna grazie ad un'immersione nella cultura locale.
Quando per scalare una cima non si indossano solo indumenti adatti ma ci si riveste anche dell'umanità che la circonda.
La documentaristica sulle scalate alla cima dell'Everest è decisamente ampia e ci ha proposto le vite e le aspettative di coloro che si accingevano all'impresa e la portavano a compimento, talvolta lasciando sulle nevi dei compagni di cordata deceduti. Harz decide di affrontare quella che definisce 'missione' a partire da sé stesso ma mettendo poi in campo tutta una serie di elementi troppo spesso trascurati da altri oppure trattati solo come sottofondo folkloristico. Recensione ❯
La tua recensione è stata registrata. Convalida adesso la tua preferenza.
Ti abbiamo appena inviato un messaggio al tuo indirizzo di posta elettronica. Accedi alla tua posta e fai click sul link per convalidare il tuo commento.
La tua preferenza è stata registrata. Grazie.
Un film che attinge a una mole di immagini enorme e stupefacente per raccontare una vita eccezionale tra negazione, propaganda e divismo. Documentario, Germania2024. Durata 115 Minuti.
Un ritratto di Leni Riefenstahl e della sua eredità artistica. Espandi ▽
La berlinese Leni Riefenstahl (1902-2003) inizia la sua carriera nel cinema a metà degli anni Venti e su commissione di Hitler, suo grande ammiratore, documenta con un dispiego di mezzi mai visto prima e con stile registico innovativo, dinamico ed estetizzante, il raduno del Partito nazista a Norimberga. Processata più volte dopo la guerra per le sue più che strette relazioni non solo con il Führer ma anche con Joseph Goebbels, Ministro della propaganda e Alfred Speer, l’architetto di Hitler e Ministro degli armamenti e della produzione bellica, e classificata dalle autorità come “simpatizzante”, Riefenstahl minimizza il proprio ruolo.
Per una specie di contrappasso della storia, novant’anni dopo il raduno nazionalsocialista di Norimberga Riefenstahl Andres Veiel affida al montaggio l’individuazione di questa ambiguità, di questa doppiezza persistente e pericolosa. “Ricordare qualcosa significa dimenticare qualcos’altro”, dice in un passaggio la discreta voce narrante del film: una frase che sintetizza il principio del documentario, che analizza il meccanismo di rimozione che la regista attuò per tutta la sua lunga vita, avventurosa, eccezionale.
Il film attinge a una mole di immagini enorme e stupefacente, quasi interamente provenienti dall’archivio, custodito in settecento scatole, che la regista ha lasciato alla Fondazione del patrimonio culturale prussiano di Berlino. Recensione ❯
La tua recensione è stata registrata. Convalida adesso la tua preferenza.
Ti abbiamo appena inviato un messaggio al tuo indirizzo di posta elettronica. Accedi alla tua posta e fai click sul link per convalidare il tuo commento.
La tua preferenza è stata registrata. Grazie.
Un'opera per tornare a riflettere sulla vicenda di Mimmo Lucano grazie alla sua stessa comunità. Documentario, Italia, Francia, Belgio2024. Durata 97 Minuti.
Dopo vent'anni di armonia, l'arresto del sindaco Lucano costringe Riace, modello per l'accoglienza dei migranti, a un doloroso dilemma: resistere o scomparire. Espandi ▽
Mimmo Lucano, accogliendo i primi 200 migranti giunti sulle vicine coste della Calabria ha fato il via ad un modello di integrazione che ha rivitalizzato strutture del paese ormai improduttive. Qualcuno però non apprezzava il modello e, denunciandolo con l’accusa di diversi reati, ha interrotto l’attività costringendo di fatto molti dei nuovi arrivati e ormai integrati ad andarsene. Il documentario segue tutta la vicenda illustrando motivazioni ed accuse.
Siamo di fronte a un reportage di una lunga, troppo lunga, vicenda di diffamazione (così è di fatto visto che in definitiva tutte le accuse tranne una minore sono state alla fine ritenute prive di fondamento) che si schiera nettamente dalla parte di Lucano.
Ci sono documentari che consentono di ripercorrere in sintesi ciò che la cronaca ci aveva proposto un po’ alla volta. Permettono così di tornare a riflettere sull’accaduto e assumere una nuova e più circostanziata lettura perché offerta, in questo caso, dall’interno di una comunità attiva e, come suggerisce il titolo, resistente. Un paese di resistenza appartiene alla categoria. Recensione ❯
La tua recensione è stata registrata. Convalida adesso la tua preferenza.
Ti abbiamo appena inviato un messaggio al tuo indirizzo di posta elettronica. Accedi alla tua posta e fai click sul link per convalidare il tuo commento.
La tua preferenza è stata registrata. Grazie.
La storia del "Re di Napoli" Mario Merola attraverso le testimonianze, gli archivi e i racconti di chi gli era più vicino di chi lo ricorda. Espandi ▽
La storia del "Re di Napoli" Mario Merola attraverso le testimonianze, gli archivi e i racconti di chi gli era più vicino di chi lo ricorda. Icona di un genere tradizionale reso popolare grazie ai numerosi film interpretati negli anni '70 e '80, Mario Merola è un figlio del popolo che, grazie al suo talento e la sua peculiare personalità, è diventato simbolo della città di Napoli portando la canzone e la cultura napoletana in tutto il mondo. Recensione ❯
La tua recensione è stata registrata. Convalida adesso la tua preferenza.
Ti abbiamo appena inviato un messaggio al tuo indirizzo di posta elettronica. Accedi alla tua posta e fai click sul link per convalidare il tuo commento.
La tua preferenza è stata registrata. Grazie.
Un doc che mescola testimonianze e filmati d'archivio per parlare di un'energia anticonformista che sembra non esistere più. Documentario, Italia2024. Durata 93 Minuti.
Il regista racconta gli anni '70 ripercorrendo la sua biografia e quella della sua famiglia. Espandi ▽
Hanno nomi bizzarri, dal punto di vista dell'anagrafe italiana: Ram, Tdzaddi, Yesan, Icaro, Hiram, Amaranta. Hanno viaggiato molto da bambini, soprattutto in India e Nepal, ma anche in Brasile, Perù, Egitto, Cipro, Africa subsahariana. Sono i figli dei figli dei fiori, quelli che negli anni Settanta venivano definiti hippie, capelloni o fricchettoni. Sperimentavano droghe (e per molti l'eroina è stata fatale), hanno rifiutato la "vita ordinata dell'uomo medio", sono vissuti in comuni adottando un concetto di famiglia assai diverso da quello tradizionale.
I loro figli hanno usufruito di una libertà incontrollata e spesso si sono ritrovati sballottati e confusi, da adolescenti hanno cercato di superare i genitori in eccesso dei limiti. E oggi, diventati a loro volta genitori, si chiedono come allevare i propri figli: se trasmettendo loro gli ideali dei nonni o scegliendo la via di una (almeno parziale) normalizzazione.
Nel documentario I nipoti dei fiori Aureliano Amadei racconta la sua personale esperienza da figlio di due genitori membri della generazione "più anticonformista della Storia", e intervista i suoi coetanei, oggi fra i quaranta e i cinquant'anni, con alle spalle una storia simile alla sua. Recensione ❯
La tua recensione è stata registrata. Convalida adesso la tua preferenza.
Ti abbiamo appena inviato un messaggio al tuo indirizzo di posta elettronica. Accedi alla tua posta e fai click sul link per convalidare il tuo commento.
La tua preferenza è stata registrata. Grazie.
Ritratto della grande artista novantenne che racconta se stessa e la sua carriera. Espandi ▽
Quando a cinquantacinque anni Isabella Ducrot, al secolo Antonia Mosca, ha iniziato a dedicarsi all'arte, nessuno, tantomeno lei, poteva immaginare che oggi, novantenne, sarebbe diventata un'artista contesa dalle maggiori gallerie di tutto il mondo. Il film la segue per due anni, tra successi internazionali e rivelazioni private, offrendo in controluce, dietro al racconto dell'artista quotata, autodidatta e lontana dall'accademia, anche il ritratto di una donna che ha attraversato il Novecento per rivelarci infine che «la vita felice comincia a sessant'anni!». E noi, meravigliati da ciò che dice e che fa, le crediamo. Recensione ❯
La tua recensione è stata registrata. Convalida adesso la tua preferenza.
Ti abbiamo appena inviato un messaggio al tuo indirizzo di posta elettronica. Accedi alla tua posta e fai click sul link per convalidare il tuo commento.
La tua preferenza è stata registrata. Grazie.
Con la forza e la solidità del grande cinema, il documentario immortala un modo non comune di vivere tra la natura. Documentario, Italia, Germania2024. Durata 83 Minuti.
Sulle montagne del Lazio, tra pascoli, lupi, bovini e cavalli selvaggi, una famiglia di allevatori cerca di condurre una vita etica e responsabile. Espandi ▽
Sui monti della Tolfa, nel Lazio, una famiglia di allevatori di bovini e cavalli ha deciso di avviare la propria attività seguendo la modalità del pascolo rigenerativo. Per farlo deve combattere contro diverse insidie. Inevitabilmente, il regista Michele Cinque coglie nei paesaggi aridi e selvaggi delle montagne laziali un’ambientazione da film western, sottolineata anche dalle musiche evocative di immaginari riconoscibili e al tempo stesso lontani. Tra cavalcate, campi lunghi, cieli luminosi, colline giallastre, cavalli allo stato brado che pascolano, Cose che accadono sulla terra porta il documentario in una dimensione mitica. È il racconto di un tentativo, di una resistenza, di un altro modo di vivere, in cui la relazione fra uomo e paesaggio, così affascinante in lontananza e iscritta in immaginari da cinema classico, si frantuma in mille pezzi se vista da una prospettiva ravvicinata. E si entra così nella dimensione del quotidiano, nelle questioni pratiche, nelle discussioni, negli incidenti, talvolta nelle liti. Recensione ❯
La tua recensione è stata registrata. Convalida adesso la tua preferenza.
Ti abbiamo appena inviato un messaggio al tuo indirizzo di posta elettronica. Accedi alla tua posta e fai click sul link per convalidare il tuo commento.
La tua preferenza è stata registrata. Grazie.
Una storia di indagine interiore, che scava nell'incubo personale e in quello collettivo delle vittime di un genocidio. Espandi ▽
Sul tavolo del suo studio, la psicoterapeuta Eva Pattis Zoja tiene un contenitore di sabbia. La sabbia registra le immagini che le dita tracciano sulla sua superficie, ma non le parole: il trauma psichico è una frattura che impedisce ai sentimenti di emergere e al racconto di fluire. I traumi di pazienti vittime di guerre e di calamità naturali ma anche, forse, il trauma della stessa Eva. Le immagini delle sabbie si mescolano così a quelle della Storia e a quelle della sua vita.
Un'indagine interiore, che scava nell'incubo personale e in quello collettivo delle vittime di un genocidio. Perché un trauma non è mai solo una questione individuale: si trasmette fra le generazioni, si riflette nella Storia. Recensione ❯
La tua recensione è stata registrata. Convalida adesso la tua preferenza.
Ti abbiamo appena inviato un messaggio al tuo indirizzo di posta elettronica. Accedi alla tua posta e fai click sul link per convalidare il tuo commento.
La tua preferenza è stata registrata. Grazie.
Ricostruzione efficace del sequestro dell'imam di Milano del 2003: quando il bisogno di sicurezza spegne le democrazie. Documentario, Italia2024. Durata 90 Minuti. Consigli per la visione: Ragazzi +13
La vicenda giudiziaria relativa al rapimento nel 2003 dell'imam milanese Abu Omar. Espandi ▽
Il 17 febbraio 2003, uscendo dalla sua abitazione, scompare a Milano l'imam egiziano Abu Omar, fervente attivista della moschea di Via Quaranta, oppositore del presidente Mubarak e perciò rifugiato per motivi politici in Italia. È la moglie Nabila Ghali a denunciarne subito la scomparsa alle forze dell'ordine, ma dalle ricerche sulle celle telefoniche locali non risulta niente, pare che l'uomo sia stato inghiottito dal nulla. Finché, dopo un anno e due mesi, finalmente Abu Omar contatta i familiari e rivela dov'è stato trattenuto fino ad allora, con che metodi e perché.
Il magistrato milanese Armando Spataro scopre un errore procedurale nelle prime indagini, individua delle prove e scoperchia così un caso che avrà implicazioni politiche, diplomatiche e processuali gravissime e imbarazzanti.
Il film è un'inchiesta avvincente, ben documentata e montata, che arriva nelle sale a vent'anni dai fatti che riassume. Cioè con la giusta distanza critica per contestualizzarli (la minaccia di al-Quaeda, il reclutamento degli estremisti in Europa, il peso delle invasioni occidentali in Afghanistan e Iraq, la reazione statunitense al trauma degli attacchi terroristici) e i contributi di molti testimoni diretti. Recensione ❯
La tua recensione è stata registrata. Convalida adesso la tua preferenza.
Ti abbiamo appena inviato un messaggio al tuo indirizzo di posta elettronica. Accedi alla tua posta e fai click sul link per convalidare il tuo commento.
La tua preferenza è stata registrata. Grazie.
La voce di Luca Bizzarri ci accompagna nel mondo dell'artista Paolo Villaggio. Espandi ▽
Intelligente, colto, generoso, a volte antipatico, Villaggio fu scrittore e polemista, rivoluzionario conduttore tv, attore di talento. Luca Bizzarri guida gli spettatori in un viaggio che, alternando repertorio cinematografico e televisivo, foto e home video, interviste a famigliari, amici e colleghi, rivela una figura ben più complessa di quella mostrata dal personaggio di Ugo Fantozzi, maschera universale nata da un genio comico. Recensione ❯
La tua recensione è stata registrata. Convalida adesso la tua preferenza.
Ti abbiamo appena inviato un messaggio al tuo indirizzo di posta elettronica. Accedi alla tua posta e fai click sul link per convalidare il tuo commento.
La tua preferenza è stata registrata. Grazie.
Un documentario che non ha il senso della misura e della sintesi, senza ritmo e con uno scarsissimo repertorio. Documentario, Italia2024. Durata 153 Minuti.
Un potente tributo a una delle figure antimafia più importanti d'Italia. Espandi ▽
Sono passati oltre trent’anni dalla strage di Via d’Amelio del 19 luglio del 1992 quando il giudice Paolo Borsellino è stato ucciso e dove hanno perso la vita anche cinque persone della sua scorta. L’eredità della sua figura e il resoconto dettagliato dei tragici momenti del giorno dell’attentato vengono ricordati da Luciano Traina (ispettore di polizia e fratello di Claudio, che faceva parte della sua scorta), Giovanni La Perna (Dirigente Sindacale SIULP Ragusa), Grazia Lizzio (figlia di Giovanni, poliziotto vittima di Cosa Nostra assassinato a Catania il 27 luglio 1992), Pierangela Giuffrida (imprenditrice e chef, titolare del ristorante Cascia a Catania), dalla figlia Fiammetta nel corso di un incontro con i ragazzi delle scuole milanesi presso il Teatro degli Arcimboldi, Roberta Gatani (nipote del giudice, responsabile e vice-presidente di “La casa di Paolo” nata nel 2015 su iniziativa di Salvatore Borsellino), Antonio Vullo (l’unico sopravvissuto della scorta) oltre che da Bruno Torrisi, che qui interpreta proprio il ruolo di Paolo Sorrentino nella ricostruzione fiction. Il documentario ricorda l’importanza della ricerca di giustizia di Paolo Borsellino ma anche delle persone della sua scorta che hanno perso la vita nel giorno dell’attentato, oltre tutte quelle figure che sono state ucciseper combattere la mafia. In più, guarda anche alle giovani generazioni per fare un modo che possano abbracciare i valori di integrità e coraggio. Le indubbie lodevoli intuizioni si scontrano però con un documentario che non ha il senso della misura e della sintesi, verboso nell’eccessiva durata (oltre due ore e mezza), con interviste lunghissime e girate spesso con piani fissi, quasi senza montaggio che gli avrebbe dato quel minimo di ritmo di cui un lavoro del genere avrebbe avuto bisogno. Recensione ❯
La tua recensione è stata registrata. Convalida adesso la tua preferenza.
Ti abbiamo appena inviato un messaggio al tuo indirizzo di posta elettronica. Accedi alla tua posta e fai click sul link per convalidare il tuo commento.
La tua preferenza è stata registrata. Grazie.
Il documentario immortala in maniera intima Federer negli ultimi 12 giorni della sua illustre carriera. Espandi ▽
Nel settembre del 2022 Roger Federer annuncia l'addio al tennis. Prima di appendere la racchetta al chiodo, giocherà a Londra un'ultima partita di doppio in tandem con l'amico e rivale di sempre Rafael Nadal durante la Laver Cup, il torneo a squadre (Europa vs Resto del mondo) ideato dallo stesso Federer in omaggio alla leggenda australiana del tennis Rod Laver. I giorni dell'evento sono l'occasione di trascorrere gli ultimi momenti della carriera assieme alla famiglia (i genitori, la moglie, i figli), ai colleghi e avversari di tante battaglie, ai campioni di ieri e di oggi. E al pubblico del tennis, che ha amato Roger come nessun'altro.
Un dietro le quinte prezioso - soprattutto per gli appassionati del gioco - che libera le emozioni nel finale mettendoci di fronte al tempo che passa.
Roger Federer è uno splendido quarantenne, provato solo nel fisico a causa dell'infortunio al ginocchio. Ha risolto le sue turbolenze adolescenziali presto, quando è diventato un campione; non ha demoni interiori da combattere. Ma ciò nulla toglie all'aura carismatica in cui è avvolto, a quel fascino gentile da Cary Grant della racchetta. Il documentario di Kapadia si adegua alla compostezza e allo stile del suo protagonista, trattenendo le emozioni per poi farle esplodere solo nel finale. Recensione ❯
La tua recensione è stata registrata. Convalida adesso la tua preferenza.
Ti abbiamo appena inviato un messaggio al tuo indirizzo di posta elettronica. Accedi alla tua posta e fai click sul link per convalidare il tuo commento.
La tua preferenza è stata registrata. Grazie.
Un film-saggio che si interroga sulle radici del conflitto israelo-palestinese e che aiuta a leggere il presente. Documentario, Israele, Francia, Svizzera, Italia2024. Durata 90 Minuti.
Il regista parte da un dialogo tra Einstein e Freud per indagare il senso della guerra. Espandi ▽
Nel 1931 la Società delle Nazioni, fondata all'indomani della Prima guerra mondiale per scongiurare lo scoppio di nuovi conflitti, chiese ad alcuni intellettuali di corrispondere con altri colleghi. Albert Einstein scelse Sigmund Freud e gli pose la domanda delle domande: "esiste un modo per liberare gli uomini dalla minaccia della guerra?".
Nel quesito era ovviamente già insita la consapevolezza del fatto che nella Storia un ristretto numero di individui, dietro la spinta dei propri interessi personali, riesce inevitabilmente e ciclicamente a trascinare le masse verso la distruzione. Con conseguenze nefaste, che compromettono ogni futuro di pace. Nella risposta, la conoscenza degli istinti irreprimibili umani, già esplorata in "Il disagio della civiltà". Di un'incapacità di rinunciare alle pulsioni.
Amos Gitai, architetto di Haifa e prolifico documentarista autodidatta che dai primi anni Ottanta si interroga coi suoi film sulle radici del conflitto israelo-palestinese, riparte da quel testo ("Perché la guerra?", pubblicato all'inizio degli anni Trenta, da noi da Bollati Boringhieri) per rimetterlo in scena e rilanciare il senso di quel confronto tra eccelse menti del Novecento. Se l'effetto di accumulazione degli spunti è palese e grava sulla bontà dell'intento, resta la preziosa riscoperta di un testo che interroga e aiuta a leggere con esattezza il contemporaneo. Recensione ❯
La tua recensione è stata registrata. Convalida adesso la tua preferenza.
Ti abbiamo appena inviato un messaggio al tuo indirizzo di posta elettronica. Accedi alla tua posta e fai click sul link per convalidare il tuo commento.
La tua preferenza è stata registrata. Grazie.