Anno | 2023 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 75 minuti |
Regia di | Giulio Mastromauro |
Tag | Da vedere 2023 |
MYmonetro | Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 2 recensioni. |
|
Ultimo aggiornamento lunedì 27 maggio 2024
Osservando i gesti e ascoltando le emozioni dei bambini di Taranto, entriamo nel mondo dell'infanzia e allo stesso tempo ci immergiamo nel presente di questo territorio.
CONSIGLIATO SÌ
|
Dei cavalli, delle pecore, delle lumache - in una masseria che sembra così lontana ma in realtà così vicina. Dei bambini, delle bambine - Kikka, Checco e Checca, Gianni, Matilde, Silvia, Aldo e Cataldo. Dei quartieri, delle piazze - Tramontone, Tamburi, Paolo VI, Taranto Vecchia, piazza Fontana. È estate, gli animali pascolano, i ragazzi giocano e le vie sono vuote. Ogni elemento di questa equazione deve qualcosa all'altro, e dalla loro sommatoria se ne ricava Taranto, la città dei due mari, scuola pitagorica e principato di fede rossoblu. Eppure c'è qualcosa che rimane sempre fuori come è sempre dentro, abbarbicata sull'orizzonte e allignata nel respiro - il IV Centro Siderurgico italiano, l'acciaieria più grande d'Europa, l'ex-Italsider, l'ex-ILVA. Sempre e comunque, "fabbrica di malattia e di morte".
Prodotto dalla Zen Movies dello stesso regista e di Virginia Gherardini, Bangarang ha vinto il premio speciale della giuria ad Alice nella città 2023.
Quando parti dal pizzo più estremo della 106, laggiù sullo stretto a Reggio Calabria, e ti intigni a risalire quel calvario che è la strada statale jonica, fremi per arrivare alla sua naturale fine, lassù tra Mar Grande e Mar Piccolo, a Taranto. Ma una volta scavallati i viadotti di Trebisacce e planati negli slarghi di Metaponto, mentre ti avvicini sempre più, la città fondata dagli spartani sembra allontanarsi di chilometro in chilometro, i moli, le ciminiere, la raffineria, il porto, senti quasi di non arrivare mai - e se imbocchi la statale per Massafra e vai a prendere l'autostrada manco la vedi, Taranto. Poi, quando finalmente sei nei vicoli della città vecchia o stai aspettando che finisca di tornare al suo posto il "ponte girevole", ti volti, guardi lontano e allora capisci: da quel lato c'è l'ILVA, e l'ILVA è grande il doppio di Taranto. È la prima cosa che ha notato di sicuro anche Giulio Mastromauro, produttore/sceneggiatore/regista di Bangarang. Mastromauro è uno che sa parlare e far parlare allo stesso modo l'infanzia e la perdita (i premi e i festival dei corti Carlo e Clara, Nuvola e soprattutto Inverno), molfettese che si è messo in ascolto del dialetto tarantino e ha subito decodificato l'unica cosa che lì conta - la Fabbrica. Attacca la cinepresa sui tetti e sulle banchine per farsi vedere dai ragazzi, li lascia sobillare e buffoneggiare nel tempo vuoto ed eterno dell'estate, poi pian piano scivoliamo sempre e solo su quello, ci si tuffa nei canali accanto al porto, si passa sotto il murales di Giorgio Di Ponzio, e anche i cartelli del film sono costretti a prenderne atto (dagli iniziali "Bambino" e "Natura arriviamo a "Polvere rossa" e "Wind Days").
Mastromauro voleva acconciare un affresco etnografico dell'infanzia tarantina, e quello ha raggiunto - perché come si può fare etnografia in quella città senza sputare fuori la posa dell'ILVA? Quello che però fa strizzare gli occhi è il modo con il quale Bangarang è tenuto insieme: ad una prima riflessione sembrerebbe che la macchina da presa si sia limitata a scontornare la presenza dei bambini all'interno del profilo ferroso della Fabbrica - così, con la maiuscola -, e invece pian piano emerge quanto l'operazione sia di segno inverso, cioè sono i più giovani a cercare una rappresentazione diversa che li stacchi da quel fondale. Kikka, Matilde, Cataldo e tutti gli altri è da tempo che si mettono in scena da soli, sia nella virtualità dei social tramite dirette e balletti, che nella materialità della città, in chiesa, in piazza, al campo, al mare. Ognuno di loro recita una parte, i maschi giocano a pallone, le femmine vogliono fare le estetiste, per quella che una ragazzina con paurosa lucidità chiama "la malavita dei bambini". Mastromauro recepisce tutto questo e lo rilancia in una mise en abyme che chiede ai ragazzi di ripetere il racconto di sé stessi inserendo in modo esplicito l'ILVA, una cosa che già sanno ma che non hanno (forse) ancora realizzato. Così i più piccoli divengono la misura di tutto, la loro storia è la storia di tutto, non c'è nessun adulto, i più piccoli vagano per vicoli deserti piene di scritte ("Oggi bistecca alla diossina"), e come in Mondocane di Alessandro Celli il presente e il futuro appartengono solo a loro - tutti gli altri sono già compromessi. Taranto è la città necessaria della lotta in Italia, ma Taranto dovrebbe essere solo quello dice il piccolo Gianni: "Il mare. Il pesce. Le cozze".
Bambini, natura, polveri rosse, autoconservazione, wind days...Sono alcune definizioni dietro cui Taranto si nasconde, anzi, si rivela.E' "la città dei tuffi" per i bambini perché ha un mare abbastanza profondo a livello di costa e tanti sono i posti che ispirano in tal senso. Pensiamo a ponte Porta Napoli a Città Vecchia, solo per fare un esempio!Gli animali non parlano, si sa, ma si sente forte la [...] Vai alla recensione »
Prodotto dalla Zen Movies dello stesso regista e di Virginia Gherardini, Bangarang ha vinto il premio speciale della giuria ad Alice nella città 2023. Mastromauro voleva acconciare un affresco etnografico dell’infanzia tarantina, e quello ha raggiunto – perché come si può fare etnografia in quella città senza sputare fuori la posa dell’ILVA?
Quello che però fa strizzare gli occhi è il modo con il quale Bangarang è tenuto insieme: ad una prima riflessione sembrerebbe che la macchina da presa si sia limitata a scontornare la presenza dei bambini all’interno del profilo ferroso della Fabbrica – così, con la maiuscola –, e invece pian piano emerge quanto l’operazione sia di segno inverso, cioè sono i più giovani a cercare una rappresentazione diversa che li stacchi da quel fondale.
Così i più piccoli divengono la misura di tutto, la loro storia è la storia di tutto, non c’è nessun adulto. Taranto è la città necessaria della lotta in Italia, ma Taranto dovrebbe essere solo quello dice il piccolo Gianni: “Il mare. Il pesce. Le cozze”.
I bambini ci guardano e quando a farlo sono quelli di una delle città del sud Italia con una delle storie più disastrate di un Paese endemicamente in crisi, lo sguardo che ci rivolgono racconta meglio di qualsiasi indagine Istat l'indice del nostro fallimento in materia ambientale e sociale. Come se partisse da questo assunto, Mastromauro in Bangarang fa un'operazione concettualmente non dissimile [...] Vai alla recensione »