Anno | 2022 |
Genere | Documentario |
Produzione | Danimarca |
Durata | 90 minuti |
Regia di | Andreas Koefoed, Jørgen Leth |
Tag | Da vedere 2022 |
MYmonetro | 3,88 su 3 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 8 settembre 2022
Un documentario musicale che ritrae la musica jazz a partire dai suoi stessi protagonisti.
ASSOLUTAMENTE SÌ
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Nell'arco di 14 anni Jørgen Leth e Andreas Koefoed, registi rispettivamente di Le cinque variazioni (insieme a Lars Von Trier) e di Il da Vinci scomparso, seguono Jakob Bro, compositore danese, durante le sue collaborazioni con artisti jazz di estrazione eterogenea. Domande su cosa significhi per loro la musica si alternano a improvvisazioni ed esibizioni degli stessi e a spicchi di vita privata, in cui gli artisti rivelano lati nascosti, fragilità e curiosità. Tra loro nomi consolidati del jazz contemporaneo, quali Bill Frisell, Mark Turner, Midori Takada, Lee Konitz, sassofonista ottuagenario con lo spirito di un ragazzino, scomparso prima del termine delle riprese.
Il lungo arco temporale di Music for Black Pigeons attiva un "effetto Boyhood" sui protagonisti della storia: vediamo invecchiare sotto i nostri occhi i musicisti, mentre muta il loro modo di relazionarsi con un mondo sempre più sfuggente e ostile (in tralice fa capolino anche la pandemia del 2020).
Ma a salvare loro e noi rimane la musica e il suo mistero, impossibile da svelare o da ricondurre a un concetto universale, come confermano le variegate testimonianze rilasciate dai jazzisti di fronte alla macchina da presa. Quando le voci tacciono e parlare sono la chitarra di Frisell, il sax di Konitz o lo xilofono di Takada ecco che la magia ha luogo e tutto il non detto della timidezza si scatena nella poesia delle sette note. L'interazione tra i musicisti denuda le fragilità umane degli artisti e insieme ne rivela la forza di uomini soli, magari problematici, accomunati dalla capacità di trascendere per mezzo di uno strumento ed entrare a far parte di un invisibile tutt'uno. Un'esperienza spirituale, dice qualcuno, o la possibilità di avvicinarsi a maestri del passato, aggiunge qualcun altro, magari suonando con chi ha avuto l'onore di condividere un palcoscenico con quei guru. Jazz come improvvisazione, jazz come comunità, jazz come scelta esistenziale. Suonare jazz implica in ogni caso una dedizione totale alla materia e una privazione, in termini di tempo e di concessioni alla frivolezza. Questo si riflette nelle testimonianze degli artisti interpellati, consapevoli di aver intrapreso un percorso guidato dalla ricerca artistica e non dal prosaico desiderio di raggranellare del denaro - che latita quasi sempre per i professionisti jazz, come conferma Lee Konitz con la battuta "Fin qui non ho mai compreso come si facciano i soldi, magari a 100 anni ce l'avrò fatta". Ma Music for Black Pigeons - che prende il titolo da un altro curioso aneddoto di Kunitz - è soprattutto un'esperienza universale, che unisce e accomuna persone di nazionalità, età e idiomi differenti, ugualmente rapiti dal jazz.
Le interviste hanno incomprensibilmente dei toni drammatici, in definitiva tante pause e tanti discorsi vaghi pieni di luoghi comuni. Forse un po' piu' di buona musica avrebbe compensato la pessima recita nelle interviste.
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