maramaldo
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domenica 9 agosto 2020
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e se il sogno si avverasse...
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Cara Giorgia, imbattutomi nella tua escursione onirica (allucinazioni ed incubi), ti ringrazio di avermi aggiustato la giornata col buonumore. Di una cosa puoi star certa, ora che ti ho scoperto, ti terrò ben stretta. Non so se è il caso di presentarti un ventaglio più ampio di eventuali casi di fuga da... paventare
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la nera
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sabato 8 agosto 2020
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a tommaso
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Caro Tommaso 1... Allora la scena di Saló o le 120 Giornate di Pasolini, con la scena della mangiata della merda, dovrebbe essere un film altrettanto inguardabile. E invece no: è un capolavoro. Se per te questi sono termini di giudizio (e non semplifici infamità per infangare un'opera) ti consiglio di vedere le pubblicità di moda in cui tutti i volti sono belli e sicuramente non ci saranno strizzate di tette. Sono veramente basita da certi commenti che ho letto qui sotto... Andate a farvi una vita (e quindi una cultura)...
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la nera
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sabato 8 agosto 2020
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note a margine di un’estate
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Non sono d'accordo con Maramaldo. Si difendono utenti e non si difendono gli autori? Siamo proprio sicuri che sia questa la nostra valenza di spettatori moderni? Se si deve anche fare da supporto emotivo al pubblico stesso, qualcosa stona. Vedete gli extra nel dvd, quelle note a margine di un'estate come sono state brillantemente definite. C'è tutto il processo di preparazione al film, capillare, originale, meticoloso. Definire i D'innocenzo due guaglioni da periferia è alquanto perfido e ignorante, anzi diciamolo: razzista. Come è sospetta l'antipatia che generano in chi non è mai stato così giovane e così lucido. Letture consigliate post visione Favolacce? il giardino di cemento e una bella rinfrescata di Carmelo Bene.
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Non sono d'accordo con Maramaldo. Si difendono utenti e non si difendono gli autori? Siamo proprio sicuri che sia questa la nostra valenza di spettatori moderni? Se si deve anche fare da supporto emotivo al pubblico stesso, qualcosa stona. Vedete gli extra nel dvd, quelle note a margine di un'estate come sono state brillantemente definite. C'è tutto il processo di preparazione al film, capillare, originale, meticoloso. Definire i D'innocenzo due guaglioni da periferia è alquanto perfido e ignorante, anzi diciamolo: razzista. Come è sospetta l'antipatia che generano in chi non è mai stato così giovane e così lucido. Letture consigliate post visione Favolacce? il giardino di cemento e una bella rinfrescata di Carmelo Bene. Peace
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maramaldo
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sabato 8 agosto 2020
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spinaceto, luogo dell''anima
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"...dell'animaccia de li mejo...". Caro Marione, anche la tua visione pasoliniana è sconfortante, hai avuto, però, il coraggio di spiattellarla senza contorsioni e con quella "pietà" che a Fabio e Damiano manca, "so' ragazzi". Una sofferenza anche per me il film. Figurati, tornavo da Parigi, per l'esattezza Montfermeil. La "banlieue", lo sai, vuol dire afflusso di etnie prestigiose, confronto di civiltà, dialogo tra culture. Certo, lì pure, menano e son menati i poliziotti ma non montano bagarre che servono solo alle elezioni lasciando immutate le cose. Le sommosse, poi, non si risolvono come da noi in chiassate e tafferugli bensì in bagni di sangue con cui la Storia fa i conti.
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"...dell'animaccia de li mejo...". Caro Marione, anche la tua visione pasoliniana è sconfortante, hai avuto, però, il coraggio di spiattellarla senza contorsioni e con quella "pietà" che a Fabio e Damiano manca, "so' ragazzi". Una sofferenza anche per me il film. Figurati, tornavo da Parigi, per l'esattezza Montfermeil. La "banlieue", lo sai, vuol dire afflusso di etnie prestigiose, confronto di civiltà, dialogo tra culture. Certo, lì pure, menano e son menati i poliziotti ma non montano bagarre che servono solo alle elezioni lasciando immutate le cose. Le sommosse, poi, non si risolvono come da noi in chiassate e tafferugli bensì in bagni di sangue con cui la Storia fa i conti. Niente di tutto ciò troverai ad un'uscita del Raccordo Anulare e men che meno nel lavoro dei D'Innocenzo. Eppure, nel rilevare l'affinità dei due film che si occupano di periferie, qualcuno ha parlato di "identità di sostrato". Io mi sarei contentato di scambiare i titoli: Contes Vilains per il festante popolo degli Champs Elisées, I Miserabili per i derelitti di Spinaceto.
Spinaceto, il più bel quartiere di Roma creato negli ultimi decenni, piacque perfino a Nanni Moretti che vi scorazzò in scooter nei viali lindi ed eleganti, allora sgombri di cassonetti traboccanti. Oggi si trova nella giurisdizione di una dinastia di nomadi che vi assicura una "pax rom...ana", ossia spaccio fuori dei confini, niente criminalità di immigrati sbandati. Scagionandoli dall'accusa di vandalismo, gli Autori ne sottintendono superiorità rispetto alle altre tipologie della fauna locale. A ragione, gente positiva, pur attaccati alla famiglia portano i figli ancor lattanti sui posti di "lavoro". Non li mandano a scuola, là può celarsi un professor Bernardini (Lino Musella, spunto intrigante che piacerebbe fosse sviluppato).
Intanto Elio Germano (Bruno) si piagne addosso. Ci convince che il senso di inadeguatezza di fronte alla vita ci porta a volgerci contro il proprio sangue e i propri affetti prima ancora di annullarci del tutto.
Esemplare di "homo spinacetensis" è Amelio (Gabriel Montesi, esperto di borgate), riconoscibile dalla parlata cavernicola ma anche dall'andatura prossima a qualla dei primati: sarà antropologia? Ragazzine e ragazzini antipaticucci e leziosetti, per lo più improbabili nel contesto. Dove, poi, i dioscuri di Tor Bella Monaca l'hanno fatto grossa è con la Vilma (Ileana D'Ambra), chiaramente un "femminicidio". Sentito strilli?
Realismo? Veridicità? Direi vezzo di autenticità che si pensa di ottenere mediante sguaiataggini plebee e intercalando un turpiloquio che, universalmente accettato, ha perso virulenza ed icasticità, l'ho sentito da suorine poco pratiche dell'italiano. Dopo lentezze, il "finale straziante" appare sbrigativo.
P.S. 23 luglio 2020, incendio divora ettari del "verde" di Spinaceto. Innescato professionalmente, si propaga grazie al ponentino. Mariò, hai idea di chi possa aver appicciato il fuoco?
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carlosantoni
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sabato 8 agosto 2020
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non è un paese per bimbi
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L’uso del dispregiativo “Favolacce”, al posto di un semplice “Favole”, o magari di un “Favole nere” (ché con questa formula abusata in genere la critica definisce la sostanza del film) potrebbe suonare quasi ironico, ma se così fosse trarrebbe in inganno: deve suonare per quel che è, un dispregiativo assoluto. E semmai la flessione apparentemente ironica del titolo deve mettere in guardia e indurre a pensare a una definizione che allude intenzionalmente al sadismo che si riflette nel/nei racconti narrati.
Che questo sadismo sia consapevole o meno conta poco, quel che conta è che è ampiamente presente nella narrazione; anzi, a ben vedere pesa di più proprio perché perpetrato soprattutto inconsapevolmente, da genitori privi di coscienza, di senso vero della vita e in particolare del rapporto genitoriale.
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L’uso del dispregiativo “Favolacce”, al posto di un semplice “Favole”, o magari di un “Favole nere” (ché con questa formula abusata in genere la critica definisce la sostanza del film) potrebbe suonare quasi ironico, ma se così fosse trarrebbe in inganno: deve suonare per quel che è, un dispregiativo assoluto. E semmai la flessione apparentemente ironica del titolo deve mettere in guardia e indurre a pensare a una definizione che allude intenzionalmente al sadismo che si riflette nel/nei racconti narrati.
Che questo sadismo sia consapevole o meno conta poco, quel che conta è che è ampiamente presente nella narrazione; anzi, a ben vedere pesa di più proprio perché perpetrato soprattutto inconsapevolmente, da genitori privi di coscienza, di senso vero della vita e in particolare del rapporto genitoriale.
Favolacce è un film di bambini soli, smarriti, abusati, violati da genitori-orchi, da genitori-lupi. I fratelli D’Innocenzo raccontano fiabe come i fratelli Grimm, e come spesso nelle fiabe di quest’ultimi, i figli sono soli a se stessi, di fronte a un mondo che non aspetta altro che di nutrirsi di loro, annientandoli. La differenza ambientale, e direi antropologica, tra i contesti delle fiabe narrate dalle due coppie di fratelli, è che le fiabe dei Grimm si collocano in una Germania secentesca abbrutita da guerre, devastazioni, estrema indigenza, un contesto nel quale i bambini sono spesso abbandonati dai loro genitori in mezzo al bosco, praticamente dati in pasto ai lupi o alle streghe, perché non più in grado di sfamarli. La fame feroce, l’istinto di sopravvivenza, vincono perfino sull’amore per i propri figli: i Grimm ci mettono di fronte alla realtà di questa disumana bestemmia.
Il contesto delle favolacce dei fratelli D’Innocenzo è ben diverso: qui si parla dell’oggi, dell’abbrutimento morale, e sociale, di una piccola o media borghesia che vive (salvo il caso del ragazzo-padre e di suo figlio) in villette a schiera nella periferia romana di Spinaceto. Qui semmai, la fame è fame di status sociale, di riconoscimento sociale, di “traguardi nella vita”. Si vuole apparire ad ogni costo, e soprattutto si pretende, con feroce ottusità, di conformare i propri figli in età pre-adolescenziale ai nostri marci ideali da “gente arrivata” … Che poi gente arrivata non è, e per questo vive in preda a paranoie e aggressività malamente represse. Illuminante e terribile, tra le altre, la scena in cui la madre (Barbara Chichiarelli) taglia con un rasoio elettrico i bei capelli della sua bambina, che subisce attonita e triste, semplicemente per poterle poi applicare una parrucca nera alla Louise Brooks! Quanta violenza fisica, e soprattutto morale, in questo appropriarsi del corpo della bimba per modellarlo a proprio piacimento, quanto disconoscimento della persona che ha davanti a sé e che è sua figlia! Lo stesso modello di sopraffazione da genitore con le fauci spalancate e le zanne bene in vista, a figlio o figlia totalmente disarmata e soggiacente, si ha quando il ragazzo-padre pretende che il figlio sappia guidare con grinta la sua auto, proprio come sa fare lui, o sia per forza allegro e seducente con la sua amichetta, proprio come lui cerca di esserlo con la mamma della bimba.
Il film ci parla dell’abisso in cui ci fa sprofondare il nostro pensiero unico, fatto di consumismo e conformismo. L’abisso in cui sprofonda una società che non sa più riconoscersi come tale, ma si auto-avverte come composta di bestie selvatiche individualmente in lotta per la sopravvivenza, le une contro le altre, avendo introiettato nella maniera più stolida il peggio del peggio del darwinismo sociale.
La trovata – quella sì davvero fiabesca, e anche un po’ manzoniana – è quella di narrare il film come conseguenza di un manoscritto rinvenuto: il diario di una bambina, che a un certo punto improvvisamente s’interrompe, chissà perché si chiede lo spettatore prima di essere arrivato alla fine, letto dalla voce narrante di Max Tortora… Un’altra trovata a parer mio genialmente fiabesca è quella di aver inserito, ad un certo punto delle storie narrate, la presenza fulminante del professore in via di licenziamento, interpretato in maniera magistrale e inquietante da Lino Musella: è evidentemente la trasposizione dell’orco delle fiabe, o forse addirittura del diavolo, è lui che fornisce ai ragazzini la chiave per una eventuale “soluzione finale”.
Che dire degli attori? In testa a tutti per bravura manco a dirlo Elio Germano, sconcertante nelle scene finali, atroce nel suo smarrimento e dolore, che tuttavia non riescono a fargli superare la sua stolida aridità morale e la sua vigliaccheria di fronte ai doveri più elementari e imprescindibili. Di una bravura lancinante. Ma bravissimi anche Max Malatesta e lo straordinario Gabriel Montesi, il ragazzo-padre, che vive in quella casetta raffazzonata e che per totale immaturità immagina e pretende che suo figlio dodicenne sia un macho come lui, un suo amico di bisbocce, uno sciupafemmine, mentre nel letamaio dell’interno in cui vive, si comporta più come un redneck del Tennessee o della Georgia che come un coatto della periferia romana: sempre pizze schifose mangiate a letto, crocchette di chissà cosa da sgranocchiare nella laida penombra, birre da tre soldi, automobile scalcinata…
Bravi anche i bambini, tra i quali, secondo me, rifulge la tredicenne Giulietta Rebeggiani.
Due parole sulla fotografia, notevole: soprattutto i primissimi piani sui volti dei protagonisti, spesso deformati da qualcosa che assomiglia a un ringhio belluino, le riprese notturne, le riprese dal basso, alla Orson Welles, dei bambini che camminano…
Anche la colonna sonora è speciale, e inusuale,fatta di piccoli suoni pizzicati, graffiati, appena accennati, aderente al contesto narrativo per l’inquietudine sottile che crea, cui si accompagnano i versi tristi della canzone “Bisogna morire”.
Da non perdere. Da digerire.
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maramaldo
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venerdì 7 agosto 2020
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spinaceto ha un''anima
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Vorrei riallacciarmi a Marione piuttosto solitario nella valutazione di quest'inno allo sconforto e alla depressione. Spinaceto è un luogo dell'anima ma esiste su questa terra. Discorso complicato. Provo a dirne anch'io qualcosa sollecitato da alcune "coincidenze". Ammirazione e simpatia per Marione al quale dedico il commento.
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no_data
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venerdì 7 agosto 2020
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una "cosa inutile"
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Rispondo al suo giudizio cosi severo sul film Favolacce perche' lo trovo profondamente ingiusto ed in alcuni tratti anche arrogante.
Ingiusto perche' il concetto di utilita' non e' affatto applicabile ad una opera cinematografica come a qualsiasi altra forma di arte. Una opera d'arte non costituisce vantaggio per nessuno ma e' la semplice espressione del soggetto che la crea.
Arrogante perche' se non si coglie alcun messaggio in un opera d'arte non vuol dire che lo stesso sia assente.
Se non comprendo il significato di un opera di arte moderna, a me capita spesso, me ne dolgo, ma, non per questo mi sento di giudicarla priva di valore o significato.
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Rispondo al suo giudizio cosi severo sul film Favolacce perche' lo trovo profondamente ingiusto ed in alcuni tratti anche arrogante.
Ingiusto perche' il concetto di utilita' non e' affatto applicabile ad una opera cinematografica come a qualsiasi altra forma di arte. Una opera d'arte non costituisce vantaggio per nessuno ma e' la semplice espressione del soggetto che la crea.
Arrogante perche' se non si coglie alcun messaggio in un opera d'arte non vuol dire che lo stesso sia assente.
Se non comprendo il significato di un opera di arte moderna, a me capita spesso, me ne dolgo, ma, non per questo mi sento di giudicarla priva di valore o significato. Penso che per qualcuno sicuramente lo avra'. Caro Marione, cerchiamo tutti, nessuno escluso, di accettare con animo benevolo i nostri limiti senza denigrare quello che, per una o piu' ragioni, non riusciamo proprio a comprendere. Grazie.
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la nera
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giovedì 6 agosto 2020
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un pugno in faccia agli invidiosi
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No, non c’è un modello educativo condiviso bensì solo il caos dell’esistenza che però va nascosto perché un minimo bon ton è necessario. Ma è in questo movimento, in questo nascondere, che nasce quella violenza anche essa nascosta che ad un certo punto esplode. La stessa violenza di certi indecorosi commenti che leggo qui sotto, privi di una qualsiasi conoscenza cinematografica, letteraria e musicale. Invidiosi che bucano le piscine (le opere d'arte) altrui.
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No, non c’è un modello educativo condiviso bensì solo il caos dell’esistenza che però va nascosto perché un minimo bon ton è necessario. Ma è in questo movimento, in questo nascondere, che nasce quella violenza anche essa nascosta che ad un certo punto esplode. La stessa violenza di certi indecorosi commenti che leggo qui sotto, privi di una qualsiasi conoscenza cinematografica, letteraria e musicale. Invidiosi che bucano le piscine (le opere d'arte) altrui. Generare cinema è scuotere le coscienze, ricordando certi cantori come Visconti e Sartre su tutti. Probabilmente i meravigliosi fratelli D’Innocenzo (non ci meritiamo certi scrittori o registi così reazionari, che reagiscono cioè a un'apatia dell'anima) prima o poi si stuferanno di questo paese e faranno la fortuna di culture meno irritanti, invidiose e fallimentari di quella italiota... come diceva un certo CB.
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kronos
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giovedì 6 agosto 2020
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storielle
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L’opera seconda dei borgatari D’innocenzo è il classico esempio di cinema “da festival”, ovvero un oggetto cinematografico che estrapolato da una kermesse radical chic lascia (molto) poco.
Le favole, e si presume pure le favolacce, sono storielle morali che hanno un capo, un corpo e una coda, ma qui non v’è traccia né di finalità più o meno edificanti, o anti-edificanti che è pure meglio, né di storie vere e proprie, perlomeno che siano minimamente articolate.
E’ tutto un susseguirsi di chiacchiericci e rumori, bozze improvvisate e intuizioni prive di sviluppi, in poche parole … nulla.
A meno che non si considerino “contenuti” e “messaggi” le solite tiritere su periferie degradate, genitori orchi, bimbi vittime designate d’una società edonista e bla, bla, bla.
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L’opera seconda dei borgatari D’innocenzo è il classico esempio di cinema “da festival”, ovvero un oggetto cinematografico che estrapolato da una kermesse radical chic lascia (molto) poco.
Le favole, e si presume pure le favolacce, sono storielle morali che hanno un capo, un corpo e una coda, ma qui non v’è traccia né di finalità più o meno edificanti, o anti-edificanti che è pure meglio, né di storie vere e proprie, perlomeno che siano minimamente articolate.
E’ tutto un susseguirsi di chiacchiericci e rumori, bozze improvvisate e intuizioni prive di sviluppi, in poche parole … nulla.
A meno che non si considerino “contenuti” e “messaggi” le solite tiritere su periferie degradate, genitori orchi, bimbi vittime designate d’una società edonista e bla, bla, bla.
La principale preoccupazione degli improvvisati sceneggiatori pare sia il tentativo di provocare e destabilizzare gli spettatori attraverso scene clou più o meno scabrose, in verità tiepide pure esse, tutto il resto è noia.
Intendiamoci, i fratelloni romani un certo ruspante talentaccio ce l’hanno e si vede nel film: buona confezione, cast adeguato (specialmente i ragazzini) e perché no qualche bella intuizione. Su tutte, il titolo del film, la voce off furbescamente evocativa e la suggestiva colonna sonora sui titoli di coda.
Tocchi di classe che non bastano a salvare un lavoro mal scritto e concepito, ma che farebbero ben sperare sul futuro dei registi.
Anzi, no, è una speranza vana: nel mondo reale chi sbaglia paga, ma facendo tesoro dei propri errori migliora cercando strade diverse.
In questo caso gli errori sono stati premiati con acclamazioni da piazza (rossa), pacche sulle spalle e lingue in bocca. I due romanacci non cambieranno strada e a noi toccherà sopportare l’ANICA che seleziona questo capolavoro radical-chic come rappresentante italiano agli Oscar.
Inutile dire che saranno ben pochi i giurati dell’Academy a reggerlo fino ai titoli di chiusura: da quelle parti pretendono emozioni, non aria fritta.
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la nera
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venerdì 31 luglio 2020
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assolutamente sì
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