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Ritratto della giovane in fiamme, un atto d'amore verso le donne

Quello di Céline Sciamma è un film che dentro ha molti film, e che è disseminato di piccoli miracoli cinematografici. Miglior Sceneggiatura al Festival di Cannes e ora al cinema.
di Giovanni Bogani

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Adèle Haenel (35 anni) 1 gennaio 1989, Parigi (Francia) - Capricorno. Interpreta Héloïse nel film di Céline Sciamma Ritratto della giovane in fiamme.
giovedì 19 dicembre 2019 - Focus

Ma che titolo magnifico. Portrait de la jeune fille en feu, ritratto della giovane in fiamme. Flamboyant, fiammeggiante. Si chiamava Anime fiammeggianti un film di Davide Ferrario, anni ’90. Qui ci sono anime fiammeggianti, in un mondo freddo, chiuso, raggelato, ventoso, ostile. Dove il fuoco di un camino è palesemente incapace di scaldare le stanze enormi di un castello. Ma dove le anime, e i corpi, riescono ugualmente ad accendersi. 

Prima, però, c’è da attraversare una distesa d’acqua. Un mare gelido, ostile, burrascoso, Siamo in Bretagna. Su una barca malsicura una giovane pittrice e il suo minuscolo tesoro, delle tele bianche. Dall’altra parte del mare, la donna che dovrà ritrarre. Una ragazza trascinata fuori da un convento per andare in sposa a un nobile milanese. Così, il nobile potrà vederne l’aspetto, e decidere se sposarla. Non c’era Tinder, all’epoca. 
 

L’epoca, già. Siamo intorno al 1770. Qualche anno prima del 1789. Prima della rivoluzione, come il titolo di un altro bel film di Bertolucci. Prima della rivoluzione, in questo angolo di Bretagna, di Settecento, di gelo delle pareti di un castello. Dove i rapporti di classe sembrano inviolabili, implacabili. L’Artista, la Sposa. E la Domestica. È un film tutto di donne. Sguardi, voci, silenzi; desideri di donne.
Giovanni Bogani, MYmovies.it

La Pittrice – si chiama Marianne, ed è interpretata con furente compostezza da Noémie Merlant – dovrà ritrarre la Sposa di nascosto, senza che la sposa se ne accorga: la preda non vuole essere presa, vuole sfuggire a un destino, a un luogo, a un uomo che non conosce. La Sposa ha il volto rinascimentale e moderno di Adèle Haenel, che proprio con Céline Sciamma aveva iniziato, ragazzina, il suo percorso di attrice. 
 
La pittrice guarda la sposa, come se volesse mangiarne l’immagine, come se volesse trattenerne ogni sfumatura; quello che fa da migliaia di anni la pittura, quello che fa da poco più di cento anni il cinema. Afferrare la vita, afferrare il senso di una persona nella sua immagine. Perciò guarda con un’intensità poderosa; e noi con lei. Guardiamo la Sposa proprio come la guarda la pittrice. Noi siamo la pittrice: e piano piano, la Sposa diviene tutto il nostro mondo. 

È questo il primo grande miracolo del film di Céline Sciamma: ci porta a guardare la Sposa in quel modo lì. Anche noi, come la pittrice, ci accorgiamo del suo modo di alzare un sopracciglio, o muovere appena una mano. E lo facciamo naturalmente, senza quasi pensarci. 

Ci sono altri piccoli miracoli disseminati nel film: miracoli puramente cinematografici. In un film che parla di destini e di passioni, quasi non c’è musica: ma quando la musica compare, sconvolge. Sembra impossibile, oggi che possiamo avere tutta la musica che vogliamo, quando vogliamo – mentre studiamo, scriviamo, andiamo in metropolitana – un film con tanto silenzio. Ma anche in questo caso, ci ritroviamo, noi spettatori, nella stessa condizione dei personaggi. La Sposa dice “domani vado a messa. Perché? Per sentir cantare”. Ha fame di musica, di libri, di vita la Sposa, passata da un convento a un castello-prigione, per finire nella ulteriore prigionia di una vita coniugale non scelta. 

Bene: ci sono forse solo tre momenti di musica, e sono sconvolgenti. Il secondo movimento delle “Quattro stagioni” di Vivaldi, “L’estate”, con la sua foga, suonato dalla Pittrice sulla spinetta scordata del castello. 

Poi, il canto che prende forma quasi dal nulla, nella notte, dove appaiono donne mai percepite prima, fra la spiaggia e la foresta. Come in un sabba. Ed è un canto di donne, misterioso, una polifonia che sembra venire dagli abissi dell’anima umana. È il momento chiave del film. Siamo fuori dal castello, in uno spazio più selvatico, più libero. Il canto delle donne intorno a Marianne ed Héloise sembra dire cose che nessuna parola può dire. E in quel momento il vestito di Héloise, perduta nella contemplazione di Marianne, prende fuoco. Ed Héloise cade, con una grazia che fa paura. E non è il vestito che si è incendiato, è la sua anima. 

Il terzo momento musicale non possiamo dirvelo, perché rivelerebbe troppo del film: ma è l’occasione di un primo piano lunghissimo del volto di Adèle Haenel, nel quale si deposita tutto il senso, tutta la storia del film. Ed è un primo piano memorabile. 


RITRATTO DELLA GIOVANE IN FIAMME: VAI ALLA SCHEDA COMPLETA CONTINUA A LEGGERE
In foto una scena del film Ritratto della giovane in fiamme.
In foto una scena del film Ritratto della giovane in fiamme.
In foto una scena del film Ritratto della giovane in fiamme.

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