Anno | 2019 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Germania |
Durata | 71 minuti |
Regia di | Süheyla Schwenk |
Attori | Baran Sükrü Babacan, Füsun Demirel, Halima Ilter, Nizam Namidar . |
MYmonetro | Valutazione: 3,00 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento martedì 7 luglio 2020
Una coppia turca vive a Berlino da rifugiati, attendendo quale sarà il loro destino.
CONSIGLIATO SÌ
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Il sonno di Hayat è turbato non solo dalla gravidanza, ma dagli incubi della guerra in Siria, da cui fugge assieme al marito Harun. Nel sogno di una vita migliore per il figlio che verrà, i due si rifugiano a Berlino, ospiti presso i parenti turchi di lui. Per la curda Hayat è una situazione non facile, visto l'imbarazzo di trovarsi in casa di sconosciuti che non la hanno in particolare simpatia. Con il passare del tempo, però, le diffidenze vengono meno, e il processo di integrazione conoscerà nuove sfide all'esterno.
La regista Süheyla Schwenk, qui all'opera prima, nasce in Svezia, cresce in Turchia e studia in Germania, facendo di Jiyan il suo film di laurea e dunque un lavoro sentito e personale a molteplici livelli.
Lieve e ben osservato, ha il merito di scomporre le preoccupazioni geopolitiche e culturali attraverso il prisma della geopolitica puramente domestica, in cui la lotta è quella per la conquista di piccoli attimi di privacy coniugale attraverso i confini che separano la cucina dalla stanza degli ospiti, oppure quella che nelle medesime stanze separa le donne (a sparecchiare la tavola) dagli uomini (in salone a discutere delle questioni importanti).
Con il suo lavoro certosino e godibile sulla caratterizzazione di due nuclei familiari che lentamente si fondono, Jiyan riafferma il valore di resilienza umana che non conosce ostacoli. Anche lo spettatore lentamente abbassa ogni difesa, cullato dalle cantilene e dai battibecchi familiari della coppia interpretata da Füsun Demirel e Nizam Namidar, e dai silenzi circospetti di Baran Sükrü Babacan nel ruolo di Harun, esempio di una mascolinità che davvero prova a sintetizzare i conflitti impossibili che fanno da premessa alla storia.
Ma è alla fine Hayat (Halima Ilter) a rivendicare la traiettoria principale, che la porta dagli incubi di una Siria disastrata al calore della nuova famiglia a cui sa adattarsi con astuzia. Attraverso di lei Schwenk racconta il cambiamento incubato in un microcosmo, riuscendo ad appoggiarsi sulla leggerezza del quotidiano senza per questo svilire il trauma dell'oggi e - tristemente - del domani.