Anno | 2018 |
Genere | Documentario musicale |
Produzione | Italia |
Durata | 103 minuti |
Regia di | Giorgio Testi |
Attori | Manuel Agnelli, Rodrigo D'Erasmo, Roberto Dell'Era, Xabier Iriondo (II) Stefano Pilia, Fabio Rondanini. |
Tag | Da vedere 2018 |
MYmonetro | 3,24 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
|
Ultimo aggiornamento venerdì 4 ottobre 2019
L'Io narrante di Manuel Agnelli ci accompagna tra immagini nuove e del passato per raccontare la storia degli Afterhours, la band rock italiana entrata nella storia.
CONSIGLIATO SÌ
|
10 aprile 2018. Gli Afterhours celebrano i loro primi trent’anni di attività con un concerto evento al Forum di Assago, cui partecipano più di diecimila persone. La partecipazione di Manuel Agnelli, il frontman del gruppo, come giudice a X Factor ha certamente accresciuto la sua popolarità al di fuori dei circuiti indie rock, ma la fan base presente al Forum è quella storica, e conosce a memoria tutte le loro canzoni. Giorgio Testi documenta il concerto in modo rigoroso ben sapendo che, come dice Agnelli in voce fuori campo, “è il concerto che decide”: dunque il regista si concentra sull’azione frontale della band, facendo vivere agli spettatori cinematografici l’esperienza dal vivo dell’evento, certo che sentiremo anche noi l’abbraccio avvolgente degli Afterhours.
E la magia si ripete anche sul grande schermo, inframmezzata dalle brevi note a margine di Agnelli: pochissimi backstage, tanta musica, e l’”odore sincero” di una band composta da musicisti di razza che suonano e si esibiscono in armonia.
Il concerto parte dall’imperfezione: la nota sbagliata con cui Manuel attacca il primo brano, dopo che ha passato mesi a prepararsi per il concertone come un atleta. Ma è proprio la cifra sporca e fallibile a dare umanità a questo gruppo (e a questo frontman), e Agnelli la mette a disposizione del pubblico. Per essere un gruppo rock, gli Afterhours sono educati: si presentano al pubblico e lo ringraziano - non una ma due, tre, dieci volte - per essere lì con loro a fare musica. E pur essendo senza dubbio un rocker, Agnelli è una figura elegante, sobria e composta dalla voce delicata e potente allo stesso modo (ma non allo stesso tempo), e i componenti attuali della band – l’istrionico chitarrista Xabier Iriondo, l’anarchico Roberto Dell’Era, il polistrumentista Rodrigo D’Erasmo, il batterista Fabio Rondanini, il chitarrista avant Stefano Pilia – hanno ognuno un ruolo preciso nell’alchimia del gruppo.
La regia di Testi dà loro spazio individuale, la sua attenzione ai dettagli non è mai manipolativa o insistente, il montaggio è movimentato senza diventare inutilmente frenetico, e resta attraversato da quella bella vibrazione che si crea fra gli Afterhours e il pubblico. Testi rispetta l’integrità delle esibizioni e l’energia sopra e sotto il palco senza concedersi vezzi autoriali e senza mitizzare i performer: piuttosto li storicizza, contestualizzandone i ruoli e riassumendone il passato. La sua regia riproduce l’autenticità della band e il suo rifiuto radicale della retorica.
Il principale testimone della storia degli Afterhours è Agnelli, che racconta la sua nuova consapevolezza senza montare in cattedra: parla della morte del padre come di quel momento in cui sembrava che per la band fosse tutto finito, perché la loro etichetta discografica aveva chiuso e tutti dicevano che la loro musica era interessante, ma nessuno li voleva produrre. E si dice fortunato per come sono andate le cose: il che è stato frutto anche di scelte sofferte come quella di restare in Italia e non tentare il salto oltreoceano. Il suo è un resoconto onesto, come onesta è l’intenzione della sua band. Se il passaggio a X Factor è servito a portare più attenzione agli Afterhours, lo ringraziamo non una ma due, tre, dieci volte.