Titolo originale | My War Is Not Over |
Anno | 2017 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 52 minuti |
Regia di | Bruno Bigoni |
MYmonetro | 3,20 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 29 novembre 2017
Harry Shindler è un inglese che vive in Italia. Qui tenta di ricostruire l'identità dei tanti soldati alleati senza nome e sepolti nei nostri cimiteri o dispersi.
CONSIGLIATO SÌ
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Nato a Londra nel 1921, Harry Shindler ha combattuto in Italia nella Seconda guerra mondiale prendendo parte allo sbarco di Anzio e alla liberazione di Roma. Stabilitosi nelle Marche dai primi anni '80, nonostante l'età ormai avanzata si è dato un compito faticoso, tra l'umanitario e l'investigativo: aiutare i familiari a recuperare le tracce di chi è morto e disperso in guerra, sia che si tratti di partigiani che di soldati alleati, per cercare di dare un senso alla perdita umana e un termine agli interrogativi di chi resta.
Insieme al giornalista di "La Repubblica" Marco Patucchi (1962) questo "cacciatore di ricordi" ha scritto il saggio "La mia guerra non è finita. Storia del soldato inglese che dà pace alla memoria" (Dalai, 2011) incentrato su tale missione.
È grazie a lui, per esempio, se l'ignoto soldato inglese dell'eccidio della Storta (1944) John Armstrong è stato identificato come l'agente dei servizi segreti britannici Gabor Adler. Il nome di Shindler - già potentemente evocativo nel cinema della Shoah per la sua funzione "salvifica" - è poi salito ulteriormente all'onore delle cronache quando nel 2016 ha risolto il caso del sottotenente dell'esercito britannico Eric Flechter Waters, padre del più famoso Roger, leader dei Pink Floyd, scomparso ad Aprilia nel '44. Inossidabile come l'accento inglese che accompagna il suo italiano, prosegue imperterrito nell'esercizio quotidiano della memoria.
Con la consueta discrezione e sensibilità, avventurandosi tra lapidi dimenticate, Bruno Bigoni (Provvisorio, quasi d'amore, Faber, Il colore del vento) torna al Torino Film Festival dopo Chi mi ha incontrato non mi ha visto (2016), con un mediometraggio che si accosta alla biografia di un uomo straordinario e a luoghi dimenticati dalla Storia, i cimiteri di guerra.
Ricordando a chi guarda che dai tempi di Omero la peggiore condanna è la negazione della sepoltura, segno di estremo disprezzo verso il nemico incontrato in battaglia. E al contrario, concedergliela è manifestazione di massimo rispetto. Il regista compone il suo atto di gratitudine riprendendo Shindler al lavoro, pescando dagli archivi di cinegiornali di guerra (British Pathé, Imperial War Museums), sovrapponendo alle riprese in super 8 alcune voci inglesi che fanno riemergere le parole dalle corrispondenze ai loro cari. Per riportare vita al ricordo di coloro che sono spariti dal radar e che fatalmente sempre più scivolano nell'oblìo, come i granelli di sabbia di quella spiaggia battuta dal vento che apre il film. Come un griot bianco, forse l'ultimo, Harry Shindler continua a raccontare con Patucchi la storia nelle scuole perché il ricordo di come sia facile precipitare di nuovo in una guerra sia molto chiaro sempre, anche e soprattutto alle nuove generazioni. Per non far morire un'altra volta chi ha perso la vita per garantire la libertà a chi doveva ancora nascere.