giulio vivoli
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domenica 24 aprile 2016
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la troika si cofessa
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TEMA DI LE CONFESSIONI
All’interno di un thriller metafisico ambientato in un lussuoso albergo tedesco di montagna, va in scena la satira del sistema dei Poteri Forti politico-economici che, riunitisi in un G8 di emergenza per prendere decisioni estreme e impopolari, saranno presi in ostaggio e moralmente processati da un allegorico monaco certosino, scomodo ospite del Summit. Come già in Viva La Libertà, Roberto Andò usa la maschera carismatica di Toni Servillo che, con una recitazione giocata tra grottesca mimica facciale e beffarda voce sentenziosa, conferisce al suo personaggio un tocco di follia soprannaturale. Lì Andò mise a nudo la crisi d’identità e di leadership di un grande partito popolare italiano come il PD, qui sale a mettere sotto accusa la Troika dell’Eurozona, facendole confessare per bocca del suo massimo esponente, il Direttore del FMI, le proprie colpe morali e gli errori strategici commessi nella gestione dell’attuale crisi economico-finanziaria.
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TEMA DI LE CONFESSIONI
All’interno di un thriller metafisico ambientato in un lussuoso albergo tedesco di montagna, va in scena la satira del sistema dei Poteri Forti politico-economici che, riunitisi in un G8 di emergenza per prendere decisioni estreme e impopolari, saranno presi in ostaggio e moralmente processati da un allegorico monaco certosino, scomodo ospite del Summit. Come già in Viva La Libertà, Roberto Andò usa la maschera carismatica di Toni Servillo che, con una recitazione giocata tra grottesca mimica facciale e beffarda voce sentenziosa, conferisce al suo personaggio un tocco di follia soprannaturale. Lì Andò mise a nudo la crisi d’identità e di leadership di un grande partito popolare italiano come il PD, qui sale a mettere sotto accusa la Troika dell’Eurozona, facendole confessare per bocca del suo massimo esponente, il Direttore del FMI, le proprie colpe morali e gli errori strategici commessi nella gestione dell’attuale crisi economico-finanziaria. Quello che emerge è un ritratto amaro e impietoso di una classe politica messa a nudo nei suoi limiti di competenza tecnica, nelle profonde divergenze ideologiche e in una certa leggerezza etica di fondo. Il film è di fatto non solo una sorta di giudizio universale di un modello capitalistico cinico, avido, ormai fuori controllo e autodistruttivo,come il pastore tedesco Rolf, ma una potente riflessione sulle disuguaglianze sociali da esso prodotte, con la proposta di uno stile di vita improntato alla sobrietà e ad uno sviluppo sostenibile. La risposta e la soluzione ai rischi globali è il ritorno ad una concezione del mondo basato sulla Fede nei valori originali del Cristianesimo pauperistico: chiaro il riferimento a Papa Francesco, anch’egli capace come il monaco Salus di imporre all’agenda dei Grandi della Terra l’urgenza di un concreto rinnovamento politico e spirituale. Essenziale, diretto e comprensibile, al tempo stesso ricercato, simbologico ed enigmatico, espresso nel sottofondo delle musiche di Nicola Piovani attraverso immagini e linguaggio carichi di valenza metaforica per un montaggio dai ritmi lunghi e dilatati, elogio di rinnovata aspirazione ad una saggia lentezza, che è il messaggio stesso racchiuso nel film. GV
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uppercut
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lunedì 25 aprile 2016
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come un libro stampato
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Non sappiamo più raccontare una storia. Il cinema italiano è affollato di sceneggiatori con un'eccellente cultura saggistica e una pessima famigliarità con la narrativa. Il risultato è il servillismo: personaggi che sono puri portatori di cartelli con su scritte frasi ad effetto; dialoghi costruiti col copia e incolla da manuali, bigini, siti con gli aforismi sulla vita; drammaturgie inesistenti, anzi, molto peggio, buttate là con l'aria di chi mica si abbassa a raccontare una storia. Il risultato, insomma, è una palla micidiale dove anche le migliori intenzioni (come in questo caso) ti fanno incazzare ancora di più perché ingigantiscono l'impressione di uno spreco assoluto. Ottima fotografia, musica di Piovani, soggetto attuale e impegnato.
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Non sappiamo più raccontare una storia. Il cinema italiano è affollato di sceneggiatori con un'eccellente cultura saggistica e una pessima famigliarità con la narrativa. Il risultato è il servillismo: personaggi che sono puri portatori di cartelli con su scritte frasi ad effetto; dialoghi costruiti col copia e incolla da manuali, bigini, siti con gli aforismi sulla vita; drammaturgie inesistenti, anzi, molto peggio, buttate là con l'aria di chi mica si abbassa a raccontare una storia. Il risultato, insomma, è una palla micidiale dove anche le migliori intenzioni (come in questo caso) ti fanno incazzare ancora di più perché ingigantiscono l'impressione di uno spreco assoluto. Ottima fotografia, musica di Piovani, soggetto attuale e impegnato... e il tutto al servizio di che cosa? di un film che non ti emoziona, non ti commuove, non ti fa ridere, non ti dà niente. Provi solo l'imbarazzo di vedere l'Italia che siede al tavolo dei grandi con due rappresentanti due, autoeleggendosi a consueta paladina della santità; di vedere la Russia rappresentata dalla caricatura di Breznev e la Germania con lo sguardo vitreo; di sentire gli economisti che dicono "noi economisti"; di seguire Jep Gambardella vestito da frate... Ma perché? perché non sappiamo più scrivere uno straccio di storia? e il bello è che riempiamo i nostri film di scrittori, tuti personaggi improponibili s'intende, ma che dicono di una stima diffusa per chi sa tenere in mano una penna. Chissà, forse la spiegazione è proprio questa: ci innamora la figura dello scrittore che campa di quello e magari di un libro soltanto (ma quando mai?) e, sedotti da questa mitologia, non sappiamo che cosa sia la fatica operaia di fabbricare una macchina che sappia muoversi da sola e portare i passeggeri lontano. Chissà... Dedicato a Toni Servillo: Ha da pass° 'a nuttata.
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franco rascozzile
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sabato 7 maggio 2016
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l'inconsistenza delle allusioni
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Un film d'allusioni, questa la definizione stringata possibile dell'ultima fatica di Roberto Andò, sul mondo dell'economia, o meglio dei protagonisti che la governano. Film che da una parte richiama per argomenti noti film del passato, dall'altra pure elementi di film di Sorrentino (la presenza di Toni Servillo, l'ambientazione in un albergo lussuoso, l'indugio in alcune inquadrature). Il film trascorre fluido ma senza guizzi (pur essendoci l'elemento del giallo nella trama), accompagnato da una colonna sonora con giusti interventi. La recitazione degli attori, seppur di buon livello, appare molto standardizzata e omogenea, fatto che non aiuta di certo a capire la psicologia dei personaggi, che rimangono piuttosto abbozzati senza acquisire una propria autonomia e tridimensionalità.
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Un film d'allusioni, questa la definizione stringata possibile dell'ultima fatica di Roberto Andò, sul mondo dell'economia, o meglio dei protagonisti che la governano. Film che da una parte richiama per argomenti noti film del passato, dall'altra pure elementi di film di Sorrentino (la presenza di Toni Servillo, l'ambientazione in un albergo lussuoso, l'indugio in alcune inquadrature). Il film trascorre fluido ma senza guizzi (pur essendoci l'elemento del giallo nella trama), accompagnato da una colonna sonora con giusti interventi. La recitazione degli attori, seppur di buon livello, appare molto standardizzata e omogenea, fatto che non aiuta di certo a capire la psicologia dei personaggi, che rimangono piuttosto abbozzati senza acquisire una propria autonomia e tridimensionalità. Si rimane insomma sulla superficie. Il concreto, la frenesia di Wall Street, Piazza Affari e Francoforte non compare, tutto rimane fuori dal meeting dei potenti della Terra, che si ritrovano in una culla di surreale e quotidinaità allo stesso tempo.
Quello che emerge è proprio il fatto che nulla si disveli, si comprenda, la sensazione è proprio che si rinunci a scavare, a capire veramente: si preferisce accennare a luoghi comuni sull'economia, sulla finanza, cercando di sottolinearli con pause, indugi e soprattutto un aurea di mistero. La sensazione è quasi come se il regista dei fatti economici non capisse a tutto tondo e più di tanto interessasse, ma a questo punto non rimane molto, dal momento che nemmeno le figure umane che vi agiscono sono approfondite. L'inconsistenza delle allusioni, insomma.
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alex2044
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venerdì 22 aprile 2016
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perdere tempo non ha mai fatto male a nessuno
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Le confessioni è un bel film forse bellissimo . Me ne sono accorto alla parola fine che mi ha colto quasi di sorpresa . Avrei continuato a guardarne ancora un po' . Il problema è che l'inizio, seppur visivamente molto apprezzabile , mi dava l'impressione che stentasse a prendere una forma originale e rischiasse di cadere nel deja-vu un po' troppo ispirato a Sorrentino . Poi però il fim ha decollato e, se si escludono alcuni , pochi , momenti di stanca , ha catturato la mia attenzione , come ho già detto , ben oltre la fine . D'altra parte il problema del potere attraversa ogni tipo di società . Ancora di più quando viene affrontato in un sistema democratico .
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Le confessioni è un bel film forse bellissimo . Me ne sono accorto alla parola fine che mi ha colto quasi di sorpresa . Avrei continuato a guardarne ancora un po' . Il problema è che l'inizio, seppur visivamente molto apprezzabile , mi dava l'impressione che stentasse a prendere una forma originale e rischiasse di cadere nel deja-vu un po' troppo ispirato a Sorrentino . Poi però il fim ha decollato e, se si escludono alcuni , pochi , momenti di stanca , ha catturato la mia attenzione , come ho già detto , ben oltre la fine . D'altra parte il problema del potere attraversa ogni tipo di società . Ancora di più quando viene affrontato in un sistema democratico . Può qualunque sistema farne a meno ?. Naturalmente no , l'importante è poterlo , se non controllare completamente , almeno condizionarlo . Roberto Andò ci prova attraverso l'opera di un monaco . Che riuscirà nell'intento , seppur con molta fatica , di obbligare i partecipanti a questo G8 molto cinematografico ma efficace a riflessioni molto profonde ed a creare dei dubbi così importanti che nel caso del Presidente del fondo avranno un risultato tragico , portandolo al suicidio . Gli attori sono tutti bravi , Servillo di più . Con il rischio di oscurare tutti gli altri . Rischio che Servillo supera brillantemente con una recitazione calibrata che lo porta a non esagerare ma anzi ad abbassare i toni . Esemplare e molto chiarificatrice all'inizio del film la frase " Perdere tempo non ha mai fatto male a nessuno " . Frase che , per il monaco che lui interpreta , è una dichiarazione di modo di vivere . Gli ambienti sono naturalmente molto attraenti , mica male un albergo così .La musica di Piovani è bellissima . Finalmente una colonna sonora di altissima qualità in un film italiano , purtroppo cosa rara . Per concludere Roberto Andò si dimostra dopo il fulminante e forse anche fenomenale e per questo forse inimitabile " Viva la Libertà " un regista che sa il fatto suo . Un regista come pochissimi in Italia di respiro internazionale e non solo per i cast dei suoi film ma piuttosto per i contenuti e gli svolgimenti che vanno oltre al , qualche volta eccessivamente asmatico e di routine , cinema nostrano . Insomma quando di un film si parla , e molto anche dopo la proiezione , vuol dire che ha centrato il bersaglio e che vale proprio la pena averlo visto . Bravo Andò ed alla prossima .
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des esseintes
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domenica 24 aprile 2016
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finta critica al sistema
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Il capitalismo accetta e incoraggia la critica a sé stesso a patto che questa si fondi sul rigido presupposto di negare qualsiasi fattibilità o giustizia di una rivoluzione che sovverta realmente il sistema, i suoi rapporti sociali, produttivi e di lavoro.
Puoi criticare anche in maniera feroce ma esclusivamente al fine di dimostrare o che tutto sommato, come diceva la Thatcher "TINA" - "There Is No Alternative" - o non dicendo nulla di concreto riguardo alla prassi politica da mettere in atto, come fa Noam Chomsky (mi raccomando andate a cercare il video completo del suo dialogo con Michel Foucault. Seguitelo tutto fino alla fine con attenzione e vedrete dal vivo cosa intendo).
Le critiche quindi finiscono per uniformarsi progressivamente tutte sul piano del sommesso piagnucolio, limitandosi a rappresentare il potere e il sistema come la banale somma di psicologie individuali, di fondo simili nella loro fragilità e nelle loro debolezze a quelle delle persone comuni.
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Il capitalismo accetta e incoraggia la critica a sé stesso a patto che questa si fondi sul rigido presupposto di negare qualsiasi fattibilità o giustizia di una rivoluzione che sovverta realmente il sistema, i suoi rapporti sociali, produttivi e di lavoro.
Puoi criticare anche in maniera feroce ma esclusivamente al fine di dimostrare o che tutto sommato, come diceva la Thatcher "TINA" - "There Is No Alternative" - o non dicendo nulla di concreto riguardo alla prassi politica da mettere in atto, come fa Noam Chomsky (mi raccomando andate a cercare il video completo del suo dialogo con Michel Foucault. Seguitelo tutto fino alla fine con attenzione e vedrete dal vivo cosa intendo).
Le critiche quindi finiscono per uniformarsi progressivamente tutte sul piano del sommesso piagnucolio, limitandosi a rappresentare il potere e il sistema come la banale somma di psicologie individuali, di fondo simili nella loro fragilità e nelle loro debolezze a quelle delle persone comuni.
Si tratta di operazioni semplicemente consolatorie con le quali si spingono gli spettatori a non prendere coscienza della loro situazione di subalternità e a rinunciare ad approfondire i meccanismi sociali, politici ed economici di quel sistema del dominio e dello sfruttamento che li opprime.
Questo pessimo film realizza proprio questo tipo di operazione.
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joker 91
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sabato 23 aprile 2016
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grande film
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Un prete scompagina un vertice di uomini potentissimi tutti ministri dell'economia al G8. I popoli vengono percepiti da Andò come inutili,non sovrani e inconsci di tutto ormai rincitrulliti dai mass media che se li sono lavorati per bene negli ultimi 30 anni. Interesse pubblico,Privato e potere finanziario sovra-politico vengono ben rappresentati,i popoli non sono più sovrani di nulla. UN Servillo monumentale totalmente in parte affronta temi scottanti,un film totalmente economico che affronta il potere con tono pacato quasi monastico religioso. Davanti a Servillo sfilano attori maestosi(su tutti Favino)che interpretano personaggi disperati adatti a rappresentare una collettività ormai inconsca di tutto.
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Un prete scompagina un vertice di uomini potentissimi tutti ministri dell'economia al G8. I popoli vengono percepiti da Andò come inutili,non sovrani e inconsci di tutto ormai rincitrulliti dai mass media che se li sono lavorati per bene negli ultimi 30 anni. Interesse pubblico,Privato e potere finanziario sovra-politico vengono ben rappresentati,i popoli non sono più sovrani di nulla. UN Servillo monumentale totalmente in parte affronta temi scottanti,un film totalmente economico che affronta il potere con tono pacato quasi monastico religioso. Davanti a Servillo sfilano attori maestosi(su tutti Favino)che interpretano personaggi disperati adatti a rappresentare una collettività ormai inconsca di tutto. Un film forte che sicuramente non avrà un incasso alto visto il livello mentale della popolazione Italiana. Se fossi stato Andò avrei toccato anche il tema massoneria(che ha interessi spaventosi nella politica),potere finanziario sovra-politico con nomi- cognomi e infine avrei toccato anche il tema delle crisi pilotate dalla grande finanza... evidentemente non si poteva andare oltre certi argomenti di facciata(da storico so perfettamente che un regista non può andare troppo oltre). Ottimo film
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no_data
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lunedì 2 maggio 2016
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mostrare, non spiegare, grazie
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Una regia gelida, stretta su personaggi privi di spessore, interpretati da bravi attori mal diretti. Le confessioni è tutto ciò che non dovrebbe essere un film italiano attuale, dopo tanti tentativi e successi di "giovani di razza" come Rovere o Mainetti: una sequela di monologhi in cui viene maldestramente spiegato ciò che una storia dovrebbe invece mostrare e raccontare, dove viene esternato il pensiero del regista (anche condivisibile, ma dov'è l'invito alla riflessione?) quando i personaggi dovrebbero esprimere il proprio punto di vista coi fatti e con il conflitto. Ridondante e capace di parlare solo alla pancia, privo di mordente narrativo e quindi piatto, l'ultimo film di Andò è la dimostrazione di come un tema forte, se affrontato con ingenuità, contribuisca solo a rendere sterile e fine a se stessa un'opera che invece poteva essere densa e psicologicamente serrata.
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Una regia gelida, stretta su personaggi privi di spessore, interpretati da bravi attori mal diretti. Le confessioni è tutto ciò che non dovrebbe essere un film italiano attuale, dopo tanti tentativi e successi di "giovani di razza" come Rovere o Mainetti: una sequela di monologhi in cui viene maldestramente spiegato ciò che una storia dovrebbe invece mostrare e raccontare, dove viene esternato il pensiero del regista (anche condivisibile, ma dov'è l'invito alla riflessione?) quando i personaggi dovrebbero esprimere il proprio punto di vista coi fatti e con il conflitto. Ridondante e capace di parlare solo alla pancia, privo di mordente narrativo e quindi piatto, l'ultimo film di Andò è la dimostrazione di come un tema forte, se affrontato con ingenuità, contribuisca solo a rendere sterile e fine a se stessa un'opera che invece poteva essere densa e psicologicamente serrata. E invece Andò tratta un argomento sconosciuto a lui per primo (i termini economici e i grandi nomi della finanza volano a raffica conditi da formule matematiche che non rimandano realmente ad alcuna teoria o argomentazione) facendolo restare tale anche allo spettatore e accontenando solo le bocche di quanti di macro economia e finanza, capitale e banche sanno ancora meno e si accontentano di inghiottire dialoghi piatti che insegnano cosa pensare sul mondo delle lobby bancarie, senza dire nulla sul perché.
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serafino paternoster
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martedì 26 aprile 2016
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nelle “confessioni” le stimmate del potere
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In questo bellissimo film il regista prova, attraverso una visione laica, ad approfondire il rapporto tra potere e sacralità soffermandosi sui segni miracolosi che essa lascia sul corpo e nella mente: le stimmate. Non si vedono, ma si percepiscono.
Il potere provoca non solo in chi lo insegue ma anche in chi lo esercita segni fisici, psichici o sociali, marchi dolorosi, piaghe che diventano riconoscibili da chi le riceve.
“D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stimmate di Gesù nel mio corpo”, dalla Lettera ai galati attribuita a Paolo di Tirso.
Intorno a questo pensiero sembra muoversi il protagonista del film, Daniel Auteil, che interpreta il direttore del fondo monetario internazionale.
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In questo bellissimo film il regista prova, attraverso una visione laica, ad approfondire il rapporto tra potere e sacralità soffermandosi sui segni miracolosi che essa lascia sul corpo e nella mente: le stimmate. Non si vedono, ma si percepiscono.
Il potere provoca non solo in chi lo insegue ma anche in chi lo esercita segni fisici, psichici o sociali, marchi dolorosi, piaghe che diventano riconoscibili da chi le riceve.
“D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stimmate di Gesù nel mio corpo”, dalla Lettera ai galati attribuita a Paolo di Tirso.
Intorno a questo pensiero sembra muoversi il protagonista del film, Daniel Auteil, che interpreta il direttore del fondo monetario internazionale. Un uomo di grande potere che si rifugia in una confessione dopo aver appreso di un tumore. Proprio come fanno tutti gli altri protagonisti della storia, tutti uomini e donne di potere. E questo immenso e ricchissimo spazio architettonico, un hotel super lusso affacciato sulla sponda di un oceano, diventa un immenso confessionale nel quale si muove con passo silente un sacerdote italiano, Roberto Salus, interpretato da Toni Servillo.
Al di là della storia, mi pare importante sottolineare come il regista abbia raccontato il potere nella sua sacralità, ma anche nelle sue debolezze, nelle sue ferite profonde. Come nel caso di una scrittrice di fiabe per bambini che grazie ai suoi libri è riuscita a costruire un impero economico senza impedire alla fragilità di perpetrare il suo cammino nell’anima. Anche lei si confessa e il sacerdote accoglie i suoi pensieri su un balcone diviso da una grata per fiori, proprio come in un vero confessionale. E con lui si confessa un ministro italiano, contrario alla manovra economica decisa in quel summit di potenti perché avrebbe seminato morte nei paesi più poveri, e aggiunto povertà a povertà.
Sembra la confessione l’unico antidoto alla sacralità del potere. La solitudine, altro marchio del potere, attraversa tutti i personaggi chiamati in un summit da Auteil proprio per discutere di una scelta che avrebbe favorito i grandi paesi a discapito dei più deboli. Una scelta che si nasconde dietro una formula matematica.
Il sacerdote, Roberto Salus, ai peccati confessati risponde con il silenzio e con un disegno in cui emerge un volatile, Uirapuru, che canta una sola volta. Ricorda un po’ San Francesco, nel suo originale rapporto con gli animali quando addomestica con una carezza un rabbioso cane del “potere” o registra i suoni dei cinguettii di primavera, un po’ Sant’Agostino nei suo viaggi letterari nell’anima, autore, guarda caso, del famoso volume “Le confessioni”, appunto.
La vera forza della natura ancora più possente del potere economico, ancora più sacra e irraggiungibile è il silenzio che abbraccia tutta l’opera. E che rende un altro protagonista della storia ancora più gigante: il ricchissimo proprietario dell’albergo che, a causa della sua tarda età, non ricorda i codici dei suoi conti correnti regalando l’infelicità ai suoi figli. E chissà che quei codici non li abbia registrati proprio in quell’apparecchio tanto caro a padre Salus e che finirà nelle mani della scrittrice?
Il dubbio resta. L’atmosfera è affascinante. E perfino la cornice diventa spirituale. L’acqua della piscina e quella dell’oceano si trasformano i fonti battesimali per espiare i peccati. I peccati di un potere che non riesce a comprendere il valore delle sue stimmate, l’imponente pellegrinaggio dell’anima.
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fabal
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lunedì 1 agosto 2016
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un rassicurante servillo
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Otto capi di stato delle nazioni più industrializzate si radunano per un summit indetto dal presidente del Fondo Monetario Internazionale, Daniel Roché, per discutere di una manovra finanziaria che potrebbe cambiare il destino economico del mondo. Oltre ai politici vengono convocati anche una nota scrittrice di libri per ragazzi, un cantante a capo di una ONG e il monaco certosino Roberto Salus. La location è un albergo di gran lusso sul Mar Baltico. Roché, durante la prima notte, convoca Salus nella propria stanza per confessarsi ma poche ore dopo viene trovato morto, con un sacchetto intorno alla testa.
La bellissima cornice della Germania del Nord è il Grand Hotel Heilingendamm, situato nella cosiddetta "città bianca", dove si svolse veramente un G8 alcuni anni fa.
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Otto capi di stato delle nazioni più industrializzate si radunano per un summit indetto dal presidente del Fondo Monetario Internazionale, Daniel Roché, per discutere di una manovra finanziaria che potrebbe cambiare il destino economico del mondo. Oltre ai politici vengono convocati anche una nota scrittrice di libri per ragazzi, un cantante a capo di una ONG e il monaco certosino Roberto Salus. La location è un albergo di gran lusso sul Mar Baltico. Roché, durante la prima notte, convoca Salus nella propria stanza per confessarsi ma poche ore dopo viene trovato morto, con un sacchetto intorno alla testa.
La bellissima cornice della Germania del Nord è il Grand Hotel Heilingendamm, situato nella cosiddetta "città bianca", dove si svolse veramente un G8 alcuni anni fa. L'ariosa credibilità del luogo meraviglia con la spiaggia di sabbia finissima e i suoi giardini curati, e spacca da subito Le confessioni in una netta alternanza tra dentro e fuori. L'interno del resort, adattato quasi a bunker, è invece frammentato in riquadri, dove ciascun personaggio vive in modo piuttosto distaccato dagli altri. Quando la regia di Andò abbandona l'intimità (seppur piuttosto fredda) dei primissimi piani, diventa geometrica al limite del maniacale: interessata all'equidistanza dei protagonisti sulla scena giunge al limite della coreografia nella nuotata in piscina dei tre capi di stato. L'inquadratura è sempre rigorosamente occupata da elementi coordinati, senza che questo renda "barocca" o semplicemente ridondante la regia squadrata di Andò.
L'ottima partenza de Le confessioni introduce la tensione da thriller politico, soprattutto nella nebulosa presentazione dei personaggi, in cui lo spettatore riconosce immediatamente la superiorità etica, nonché la sua estraneità al contesto, dell'ottimo Toni Servillo, in parte fin dalla primissima apparizione nel suo saio bianco. Qui Servillo conferma il suo intrinseco dna da outsider ma nel suo senso più positivo: è la personalità rassicurante, l'appiglio del pubblico laddove lo scottante mondo della politica e finanza, specie ai nostri tempi, non può che destare una legittima diffidenza.
Il resto del cast, certamente di livello, interpreta personaggi non caricaturali ma spesso asettici, distaccati dall'empatia che solo il nostro monaco, la scrittrice (forse l'equivalente della Rowling?) e in parte Favino riescono a dare. Auteil è una sorta di totem di chi è condannato ad avere il potere, vorrebbe forse liberarsene, ma ne rimane avvinghiato. Le confessioni, la sua come quelle sottaciute degli altri capi di stato, restano solo parziali, accennate, così come il fascino del film va forse ricercato nella sua incompiutezza. Le confessioni, infatti, è un film che non decolla mai nella tensione più marcata e resta, di fatto, un thriller solo potenziale e con un finale che lascia la bocca asciutta. Ma l'apparente senso di vuoto coincide, se vogliamo, anche con un "nulla di fatto" politico, e questa equivalenza non solo fa riflettere ma strappa anche un amaro sorriso.
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enzo70
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giovedì 21 aprile 2016
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un film che va oltre uno stratosferico servillo
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Un cast importante, Servillo su tutti, per un film che merita molta attenzione. In Viva l’Italia Andò aveva un buon progetto ed ha scelto il modo peggiore per affrontarlo, con un film intriso di facile demagogia; con le confessioni, invece, lo spunto iniziale un prete che scompagina un vertice dei ministri economici deputato ad imporre l’ennesima austerità ai popoli, come dice il film, non sovrani, viene portato ai massimi livelli con un tono narrativo che indugia all’inizio per esaltarsi nello straordinario finale. E così un’intelligente riflessione sul rapporto tra economia e politica, tra interessi pubblici e privati, si trasforma in una deliziosa schermaglia dialettica tra i protagonisti, favorita dalla scelta del regista di sovrapporre scene brevi in modo da declinare il film con un ritmo inusuale.
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Un cast importante, Servillo su tutti, per un film che merita molta attenzione. In Viva l’Italia Andò aveva un buon progetto ed ha scelto il modo peggiore per affrontarlo, con un film intriso di facile demagogia; con le confessioni, invece, lo spunto iniziale un prete che scompagina un vertice dei ministri economici deputato ad imporre l’ennesima austerità ai popoli, come dice il film, non sovrani, viene portato ai massimi livelli con un tono narrativo che indugia all’inizio per esaltarsi nello straordinario finale. E così un’intelligente riflessione sul rapporto tra economia e politica, tra interessi pubblici e privati, si trasforma in una deliziosa schermaglia dialettica tra i protagonisti, favorita dalla scelta del regista di sovrapporre scene brevi in modo da declinare il film con un ritmo inusuale. Salus, il protagonista del film, è un frate certosino che si trasforma da confessore in imputato in uno strano processo in cui l’etica dell’economia prevale sui fatti. Ma la stessa rappresentazione del potere, mai sontuoso, appariscente, quasi monastico, si perdoni il giro di parole, consente al regista siciliano di inquadrare il tema da un alto diverso; ed allora si riesce anche ad andare oltre il difetto originale della cultura italiana di ritenersi tale solo se ispirata ad un’etica, sempre la stessa, perché la ragione sta anche nel gioco della dialettica. E la formula che consente di andare oltre le austerità si trasforma in una speranza che parte proprio dagli asettici algoritmi dell’economia, spesso basato su equazioni perfette che partono da variabili errate. Bravo Andò.
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