paolo salvaro
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domenica 7 febbraio 2016
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una trappola per odiosi topi americani
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SPOILER
La guerra civile americana, la prima guerra totale della storia dell'uomo, si è finalmente conclusa. Nei campi di battaglia rimangono inermi a marcire più di 500.000 americani, uccisi da altri americani, e da questo massacro sorgerà una nuova grande America.
Pochi anni dopo, si radunano tutti insieme sotto lo stesso tetto il peggio della feccia partorita da tale nazione nel corso di tutta la sua storia: un cacciatore di taglie, una fuorilegge, un nordista, un sudista, un disertore, un boia, un cowboy ed un messicano. Anche se alcune di queste etichette potrebbero non rappresentare almeno di per sè un qualcosa di negativo, in realtà ci troviamo di fronte alle peggiori carogne con le quali si potrebbe avere a che fare.
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SPOILER
La guerra civile americana, la prima guerra totale della storia dell'uomo, si è finalmente conclusa. Nei campi di battaglia rimangono inermi a marcire più di 500.000 americani, uccisi da altri americani, e da questo massacro sorgerà una nuova grande America.
Pochi anni dopo, si radunano tutti insieme sotto lo stesso tetto il peggio della feccia partorita da tale nazione nel corso di tutta la sua storia: un cacciatore di taglie, una fuorilegge, un nordista, un sudista, un disertore, un boia, un cowboy ed un messicano. Anche se alcune di queste etichette potrebbero non rappresentare almeno di per sè un qualcosa di negativo, in realtà ci troviamo di fronte alle peggiori carogne con le quali si potrebbe avere a che fare. Ciascuno di loro diffida dell'altro e mira soltanto a raggiungere il proprio obiettivo, qualunque esso sia, nel modo più vantaggioso per sè stesso; ciascuno di loro ha già ucciso altri uomini, in quantità più o meno maggiori, e non esiterebbe un solo istante a far saltare la testa anche al suo migliore amico se venisse a sapere che lui lo sta tradendo; ciascuno di loro non prova il benchè minimo rimorso per le orribili azioni da lui commesse ed è pronto a compierne di peggiori in qualsiasi momento, a patto di ricavarne una qualche utilità. Ad essi si aggiunge il cocchiere di una delle due diligenze con le quali gli otto odiosi personaggi sono arrivati all'emporio di Minnie, location principale del film. Un elemento esterno che non ha nulla a che vedere con gli altri, sta solo facendo il proprio lavoro con solerzia, ma si ritroverà suo malgrado dentro alla spirale autodistruttiva innescata dagli otto ricolmi d'odio. Nessuno di loro è infatti destinato ad uscire vivo dall'emporio: esso sarà infatti la destinazione finale di ognuno di loro, ma anche quando ciò apparirà inevitabile agli ultimi due sopravvissuti entrambi accetteranno la fine quasi con distacco ed indifferenza. Il film finisce con l'anima della nazione americana, rappresentata dalla lettera scritta da Lincoln (forse falsa, forse vera), che finisce appallottala e schiacciata da uno dei mostri che lei stessa ha creato.
Si può dire che si parla di storia americana e di Abraham Lincoln quasi più in questo film che nell'omonimo diretto da Spielberg alcuni anni fa. Tarantino si diverte a gettare nello stesso pentolone il mondo dell' Ombre Rosse di John Ford, la claustrofobia ed il protagonista de La Cosa di John Carpenter e la diffidenza tra i vari personaggi tipica di un giallo di Agatha Christie, in particolare mi ha ricordato molto l'atmosfera che si respirava nel suo Trappola per topi, una pièce teatrale del 1952 in cui otto personaggi (ma che coincidenza) rimangono bloccati in una pensione da una bufera di neve (ma che coincidenza) in compagnia di un omicida e sono costretti a passarvi la notte; ciascuno di loro è misterioso e sembra avere qualcosa da nascondere, ma sarà costretto a rapportarsi con gli altri (ma che coincidenza). L'idea di base a mio avviso è quella, ma Tarantino si diverte a giocarvi con fare gigione, ambienta la sua opera teatrale in miniatura in un emporio sperduto e vi infila dentro le peggiori identità mai assunte dal popolo americano. Qui non vi è un vero detective, non vi è un vero eroe, non vi è un solo personaggio positivo. Sono tutti equamente disgustosi nella loro odiosa essenza. Il bagno di sangue è inevitabile nel momento stesso in cui gli otto si trovano tutti insieme dentro al negozio, perchè l'essere umano è fatto così: violento, sanguinario e soprattutto bugiardo per natura; anche e soprattutto quello che vive in quella che sarebbe poi diventata la potenza economica e militare più grande del mondo. Anzi, proprio perchè si parla degli Stati Uniti ci troviamo di fronte ai peggiori esemplari di uomini che si possano incontrare, perchè ogni nazione nasce dal sangue delle battaglie e dall'odio degli uomini e quella che si riesce ad imporre su tutte ha soltanto sparso più sangue e disseminato più odio delle altre.
Il film nel complesso è buono, forse non il miglior Tarantino ma ciò non significa che non vi abbia messo tutto sè stesso e tutto il proprio maniacale amore per il cinema, a cominciare dai nomi dei personaggi (Marquis Warren, nome del personaggio interpretato da Samuel Lee Jackson è anche il nome di un regista americano scomparso da oltre ventanni che dirigeva, ma che coincidenza, film western e d'azione) fino alle numerose citazioni sparpagliate qua e là. Non ho idea di quanto tempo vi abbia dedicato, ma la sceneggiatura è come al solito pazzesca, forse anche più imponente di quella di Django a livello di realizzazione se si pensa che i dialoghi e le varie scene del film hanno dovuto coprire ben tre ore di pellicola, ma in certi punti diventa quasi troppo grottesca o surreale per risultare davvero incisiva. L'elemento degno di maggior lode in tal senso è l'improvvisa comparsa di un elemento estraneo alla vicenda ma che riveste un ruolo determinate ai fini della storia; anzi di fatto è colui che accende la miccia e dà il via ogni cosa, ma che paradossalmente non fa parte nè degli otto nè della locandina, perciò impossibile da prevedere. Parlo ovviamente del fratello di Daisy Domergue che dopo essere rimasto sotto alle assi del pavimento per un'infinità di tempo, al momento giusto colpisce e spara alle palle di Warren. Nessuno se lo aspettava, nessuno poteva anche solo minimamente sospettare la sua presenza, eppure è colui che dà il via alla deflagrazione finale. Semplicemente geniale. La colonna sonora di Morricone dona al film quel tocco di classe in più, ma non sò se al maestro basterà per vincere l'Oscar; a mio avviso in passato ha composto melodie ben superiori a questa, ma considerando tutte quelle che gli hanno ingiustamente negato una statuetta sarebbe cosa assai gradita. Tra le varie superbe interpretazioni spicca quella di Jennifer Jason Leigh, nominata agli Oscar per la prima volta nella sua carriera, che oltre a portare molto bene i suoi 50 anni e spingi con questa pellicola si è lanciata prepotentemente verso l'Olimpo delle migliori attrici al mondo.
A mio avviso un film da tre stelle che, come ogni lavoro di Tarantino, sa bene come intrattenere ed allietare lo spettatore, dandogli alla fine anche molto a cui pensare.
P.S. Il fatto che The Hateful Eight sia stato candidato a tre premi oscar, mentre Star Wars: il risveglio della forza A.K.A. Schizzo Di Diarrea di J. J. Abrams a cinque, cinematograficamente parlando è un'eresia. Saluti.
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filippo catani
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mercoledì 10 febbraio 2016
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promosso con riserve
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Alcuni personaggi si ritrovano a dover passare la notte in una locanda per far fronte al passaggio di una tempesta di neve. I soggetti in questione sono tutti legati tra loro e la miscela sarà esplosiva.
Forse perchè caricato di grandissime aspettative, l'ottavo film di Tarantino finisce per deludere almeno parzialmente. Partiamo proprio da quì; l'introduzione è decisamente prolissa e va benissimo presentare degnamente tutti i personaggi ma la prima ora e mezzo passa tra gli sbadigli se non fosse per qualche discreto dialogo e un paio di battute messe in bocca a Jackson. Ecco al primo colpo di pistola l'atmosfera si rianima e il film finalmente decolla.
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Alcuni personaggi si ritrovano a dover passare la notte in una locanda per far fronte al passaggio di una tempesta di neve. I soggetti in questione sono tutti legati tra loro e la miscela sarà esplosiva.
Forse perchè caricato di grandissime aspettative, l'ottavo film di Tarantino finisce per deludere almeno parzialmente. Partiamo proprio da quì; l'introduzione è decisamente prolissa e va benissimo presentare degnamente tutti i personaggi ma la prima ora e mezzo passa tra gli sbadigli se non fosse per qualche discreto dialogo e un paio di battute messe in bocca a Jackson. Ecco al primo colpo di pistola l'atmosfera si rianima e il film finalmente decolla. Le ambientazioni sono suggestive e gli attori sono bravissimi così come inconfondibile resta lo stile di Tarantino. Per quanto concerne le musiche di Morricone sono belle ma lontane dalle magnifiche composizioni passate per i film di Leone piuttosto che Mission. Un plauso particolare va alla Leigh che interpreta una parte dura. Insomma dopo due capolavori quali Bastardi senza gloria e Django, Tarantino pare tirare un po' il fiato realizzando un film sui generis con alcune godibilissime battute politicamente non corrette che chiamano in causa anche l'attualità. Promosso con riserve.
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marco lancini
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mercoledì 10 febbraio 2016
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il cinema di tarantino si ama o si odia? no
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Archiviata la guerra tra Stati Uniti e Stati Confederati d'America, l'alba dell'era della ricostruzione nello spopolato Wyoming sorge sui sentieri rocciosi di una natura avversa, dove corre la diligenza del cacciatore di taglie John Ruth, in viaggio per assicurare alla giustizia della cittadina di Red Rock la fuorilegge Daisy Domergue in cambio di una taglia da 10.000$.
Durante il percorso i due incontrano prima il Magg. Marquis Warren, ex nordista negro in possesso di una preziosa corrispondenza con Lincoln e poi Chris Mannix, ex manigoldo sudista bianco, il quale millanta un'inverosimile investitura come nuovo sceriffo della cittadina di Red Rock.
I primi capitoli di 'The Hateful Eight' sono un perfetto sunto del dualismo americano, indesiderato lascito della Guerra di Secessione nel corpo civile, rafforzato da una regia che contrappone sapientemente gli sconfinati spazi della wilderness del Nord al claustrofobico interno della berlina in cui avvengono i dialoghi.
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Archiviata la guerra tra Stati Uniti e Stati Confederati d'America, l'alba dell'era della ricostruzione nello spopolato Wyoming sorge sui sentieri rocciosi di una natura avversa, dove corre la diligenza del cacciatore di taglie John Ruth, in viaggio per assicurare alla giustizia della cittadina di Red Rock la fuorilegge Daisy Domergue in cambio di una taglia da 10.000$.
Durante il percorso i due incontrano prima il Magg. Marquis Warren, ex nordista negro in possesso di una preziosa corrispondenza con Lincoln e poi Chris Mannix, ex manigoldo sudista bianco, il quale millanta un'inverosimile investitura come nuovo sceriffo della cittadina di Red Rock.
I primi capitoli di 'The Hateful Eight' sono un perfetto sunto del dualismo americano, indesiderato lascito della Guerra di Secessione nel corpo civile, rafforzato da una regia che contrappone sapientemente gli sconfinati spazi della wilderness del Nord al claustrofobico interno della berlina in cui avvengono i dialoghi.
Tarantino, giunti i nostri all'Emporio di Minnie, completa il proprio scacchiere con un anziano Generale sudista, un boia, un cowboy ed un messicano.
È in questo momento però, quando l'intreccio raggiunge la propria fase saliente che la sceneggiatura inizia a venir meno.
Gli odiosi otto danno vita ad un western non convenzionale, ibrido tra Hitchcock e giallo di Agatha Christie, che si rivela incompiuto sotto il profilo dell'imprevedibilità e del mordente.
Intendiamoci, gli spunti non mancherebbero. Tarantino getta la maschera e si rivela come mai fino ad ora cineasta dal forte richiamo politico: i suoi otto sviscerano i temi della giustizia civile legale e passionale, la messa a punto della stessa e la legittimità della difesa.
I virtuosismi dietro la camera neppure, l'uso prolungato del piano sequenza proietta lo spettatore in un tempo cinematografico senza costrizioni, in una realtà che si dimostra però viziata dalla sua stessa staticità.
La pellicola procede orfana di personaggi memorabili nonostante lo sconfinato uso del dialogo che scimmiotta le reservoir dogs ambasciatrici di passati successi e fortune, e legittima nello spettatore le perplessità circa un uso teatrale più adatto alla pièce.
I personaggi muovono nei propri interlocutori ragionevoli dubbi, da cui scaturiscono confronti dialettici orientati alla persuasione che l'identità supposta corrisponda a quella reale ed è proprio quando le parole vengono meno che si comincia a dar voce ai revolver, ma neppure la violenza pulp, vero marchio di fabbrica del regista, questa volta corre in suo soccorso dando una svolta alla deriva narrativa intrapresa dal film.
Il risultato è un terzo capitolo da relegare al ruolo di meno riuscito della fin qui notevole trilogia storica.
Per concludere, degno di nota è ancora una volta il lavoro del fedelissimo Samuel L. Jackson, attore feticcio che si dimostra pienamente all'altezza del suo predecessore Christoph Waltz.
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florentin
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giovedì 11 febbraio 2016
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telluride sta a 80 miglia a nord di durango...
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...da queste parti una volta c'erano gli Apache, poi sterminati insieme ad altri nativi e ridotti i rimanenti nelle riserve...Tarantino ha quindi solo messo messicani, qualche meticcio/a, e ovviamente il 'negro' a valle della guerra-macello fra nordisti e sudisti.
Non è un western, è un racconto ...giallo con rituale flashback rivelatore, e con finale a sorpresa (ma niente Agata Christie anche per la mancanza di Miss Marple), e i soliti kilometrici discorsi alla Tarantino. Discorsi che non finiscono mai e che ti portano a 160 minuti di proiezione fortunatamente con intervallo di 5 (indicati), che a reggerli fino alla fine mi sono sentito un po' eroico.
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...da queste parti una volta c'erano gli Apache, poi sterminati insieme ad altri nativi e ridotti i rimanenti nelle riserve...Tarantino ha quindi solo messo messicani, qualche meticcio/a, e ovviamente il 'negro' a valle della guerra-macello fra nordisti e sudisti.
Non è un western, è un racconto ...giallo con rituale flashback rivelatore, e con finale a sorpresa (ma niente Agata Christie anche per la mancanza di Miss Marple), e i soliti kilometrici discorsi alla Tarantino. Discorsi che non finiscono mai e che ti portano a 160 minuti di proiezione fortunatamente con intervallo di 5 (indicati), che a reggerli fino alla fine mi sono sentito un po' eroico.
I luoghi degli esterni principali sono magnifici, le Rocky Mountains hanno altezze intorno ai 4000 metri fra spazi immensi, cosicché la fotografia anche conseguentemente, è sublime, e non solo per il super 70 ; come pure per certi interni -solo qualche caduta, come le riprese nella carrozza in movimento che sono su ...dondolo, mentre quelle dall'esterno invece fantastiche.
Tim Roth nella prima parte viene fatto recitare come Waltz in Bastardi Senza Gloria e Django Unchained, Jackson indossa una camicia candida con cravatta rossa sempre perfette nonostante la tormenta e se identi sono... suoi un mare di complimenti bianchi così sono uno spottone da dentista; Bruce Dern il generale sudista sempre razzista sta sempre in poltrona che uno non si spiega perché ma poi capisce verso la fine. Madsen, di contorno, abbastanza sfatto, Jason Leigh irriconoscibile un po' per le botte di Russel (Pannofino lo doppia nobilitandolo), e molto per i coloranti profusi a fiotti; lo sceriffo-in-pectore un mentecatto più o meno. L'agape ...non proprio fraterna con lo stufato be', questa pareva proprio naturale. La latrina un po' lontana ma tant'è. Il senso della bufera c'era e del gran freddo pure. Ma dal tetto entrava la neve, sempre un bell'effetto scenico. Il forzato rapporto orale bianco -negro forzatissimo, forse anche qui Tarantino s'è giocato la nomination, oltre che nella ripetitività.
Un ri-Pulp. E anche la colonna sonora così 'strepitosa' io non l'ho avvertita, eppure non mi ero assopito.
Insomma: Tarantino si va a vedere, ma questo è l'ultimo: il prossimo lo aspetto in tv.
* Mi dicono che schermi per il super 70 siano solo 3 in Italia: a Monza, Bologna, e Roma -quest'ultimo di 30 metri di base. Immagino lo spettacolo vista la qualità della risoluzione, ma anche al Fulgor (Sala Marte, Firenze) in tal senso niente da dire pure se su schermo non così ampio. Ore 17.30 del 10 Febbraio, 25 persone, qualche messaggino di troppo forse per comunicare un po' 'di noia, ma soprattutto niente popcorn -una magnficenza va detto. Durante l'intervallo non s'è alzato nessuno...e nessuno ha lasciatoi la sala prima della fine della storia . Il 'giallo' tiene sempre alla fine anche se qui tirato per le lunghe: vecchia volpe quel Tarantino.
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iuriv
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domenica 14 febbraio 2016
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nuovo cinema tarantino.
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Nuovo western per Tarantino, ma se si temeva il rischio di un Bastardi Senza Gloria 3 (o Django 2), questo viene spazzato via da un'impostazione diversa dal solito. Sospeso tra il cinema di frontiera e il Dollaro D'Onore, il regista qui appare più contemplativo e meno sfrenato.
La cifra stilistica di Tarantino si ammira nella ultra caratterizzazione dei personaggi, impegnati in dialoghi estenuanti che ne descrivono i tratti e presentano la visione che il regista ha della controversa storia americana. E anche nelle citazioni e nelle autocitazioni, vizietto che Tarantino ama coltivare in ogni suo lavoro.
Tutto ciò si ammira nella prima metà del film. Poi, dopo il quarto d'ora di pausa che Tarantino stesso ha voluto come fosse parte integrante della sua opera, la pellicola sorprende lo spettatore trasformandosi in un giallo di stampo classico, con tanto di narratore esterno e assassino misterioso.
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Nuovo western per Tarantino, ma se si temeva il rischio di un Bastardi Senza Gloria 3 (o Django 2), questo viene spazzato via da un'impostazione diversa dal solito. Sospeso tra il cinema di frontiera e il Dollaro D'Onore, il regista qui appare più contemplativo e meno sfrenato.
La cifra stilistica di Tarantino si ammira nella ultra caratterizzazione dei personaggi, impegnati in dialoghi estenuanti che ne descrivono i tratti e presentano la visione che il regista ha della controversa storia americana. E anche nelle citazioni e nelle autocitazioni, vizietto che Tarantino ama coltivare in ogni suo lavoro.
Tutto ciò si ammira nella prima metà del film. Poi, dopo il quarto d'ora di pausa che Tarantino stesso ha voluto come fosse parte integrante della sua opera, la pellicola sorprende lo spettatore trasformandosi in un giallo di stampo classico, con tanto di narratore esterno e assassino misterioso. Fino a scivolare nella mattanza, quando il gusto dell'eccesso tipico di Tarantino prende il sopravvento.
Un film strano quindi, persino coraggioso nel suo tentativo di rompere un po' i canoni classici del cinema tarantiniano. Ed interpretato da una schiera di attori sopraffini. Il regista americano è solito chiedere molto ai suoi interpreti e anche qui non fa eccezione, dando il volante della storia in mano a Jackson, riuscendo comunque a coinvolgere tutti quasi allo stesso modo. La menzione d'onore va, ovviamente direi, a Leigh, capace di interpretare un ruolo molto poco abituale per una donna. Nel suo duetto con Kurt Russel, infatti, Leigh si trasforma quasi in una spalla comica di tipo fisico, subendo e dando colpi come Stanlio senza mai perdere per un minuto la credibilità del personaggio: una pazza un po' infantile pericolosissima che funziona in modo perfetto.
Poi ci sono le musiche di Morricone, che si adattano come un guanto all'atmosfera del film, riuscendo persino a trarre in inganno, giocando con la tensione dello spettatore, fino quasi a prenderlo in giro. Geniale, in questo senso, il momento in cui, nel pieno della tormenta, due personaggi devono segnare la strada accompagnati da un crescendo musicale carico di anticipazione.
Senza stare a fare classifiche, questa è probabilmente una delle opere migliori e più ispirate nella cartucciera del regista americano. Per lunghi tratti meno fumettosa rispetto al solito, caratteristica che comunque non le impedisce di lasciarsi andare quando Tarantino ne sente il bisogno.
Un film completo davvero. Bravo Quentin.
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taxidriver
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giovedì 18 febbraio 2016
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l'apice del western post-moderno di tarantino
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Questo potrebbe essere il capolavoro di Tarantino, l'apice formale della sua arte; il film è la naturale prosecuzione dello stile già visto in Django (ma di il regista aveva già dato prova con Kill Bill vol.2) che qui viene portato definitivamente a compimento. Tarantino dimostra un'abilità come pochi (come nessuno, in realtà) nella rielaborazione degli stilemi classici del western (che qui si tinge di atmosfere proprie del giallo), per confezionare un prodotto degno di un saggio post-moderno.
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Questo potrebbe essere il capolavoro di Tarantino, l'apice formale della sua arte; il film è la naturale prosecuzione dello stile già visto in Django (ma di il regista aveva già dato prova con Kill Bill vol.2) che qui viene portato definitivamente a compimento. Tarantino dimostra un'abilità come pochi (come nessuno, in realtà) nella rielaborazione degli stilemi classici del western (che qui si tinge di atmosfere proprie del giallo), per confezionare un prodotto degno di un saggio post-moderno.
In questo Tarantino veste i panni dell'intellettuale (che ha studiato tutti i classici del western ma non solo) rimanendo però all'interno dei confini del cinema di genere, che quindi incontra i favori del pubblico.
Quella di Tarantino è una delle operazioni sul cinema più ardue e coraggiose che siano mai state fatte dopo la fine del genere western, e in generale dopo gli anni Settanta.
Naturalmente siamo lontani dalla freschezza e dall'integrità narrativa di Pulp Fiction (così come delle Iene), ma The Hateful Eight è il film di un altro Tarantino, che approda a uno stile classico, da qualche parte tra Sergio Leone e Sam Peckinpah. Ciononostante, al regista manca sia l'abilità del primo di raccontare attraverso il silenzio, che la spregiudicatezza iperrealistica del secondo.
Tarantino, dunque, si conferma ciò che è sempre stato: un talentuoso regista che rende omaggio ai classici, un'enciclopedia della storia del cinema di genere, che la sua prassi post-modernista trasforma in qualcos'altro. Trasforma in The Hateful Eight. ★★★½
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andrea alesci
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giovedì 25 febbraio 2016
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sangue e menzogne senza esclusione di colpi
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Era difficile ripetere Django Unchained. Era difficile (ri)scrivere e dirigere una storia dopo le traversie passate da The Hateful Eight. Era difficile realizzare un altro western, usare la neve come pretesto per rinchiudere gli spettatori dentro una stanza insieme a otto detestabili personaggi. Era difficile ma Quentin Tarantino ce l’ha fatta. Di nuovo.
Così ci troviamo nel Wyoming post-guerra civile, immersi nel biancore mentre un Cristo di legno geme nel gelo dell’Ovest, stritolato dall’inquietante crescendo musicale di Ennio Morricone ma presto lontano ricordo nel campo lungo che si apre dentro la maestosa orizzontalità dell’Ultra Panavision 70mm.
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Era difficile ripetere Django Unchained. Era difficile (ri)scrivere e dirigere una storia dopo le traversie passate da The Hateful Eight. Era difficile realizzare un altro western, usare la neve come pretesto per rinchiudere gli spettatori dentro una stanza insieme a otto detestabili personaggi. Era difficile ma Quentin Tarantino ce l’ha fatta. Di nuovo.
Così ci troviamo nel Wyoming post-guerra civile, immersi nel biancore mentre un Cristo di legno geme nel gelo dell’Ovest, stritolato dall’inquietante crescendo musicale di Ennio Morricone ma presto lontano ricordo nel campo lungo che si apre dentro la maestosa orizzontalità dell’Ultra Panavision 70mm.
Il Maggiore Marquis Warren (Samuel L. Jackson) sta immobile lungo la strada percorsa da una diligenza; e così ci imbattiamo nel suo cocchiere-aviatore O.B. Jackson (James Parks) e nei passeggeri che porta: il cacciatore di taglie John Ruth “Il boia” (Kurt Russell) e la sua irriverente prigioniera Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh). Un trio che diventa quartetto e poi pentacorteo allorché vi si unisce il (presunto) neosceriffo di Red Rock, Chris Mannix (Walton Goggins).
Cinque anime decise a lasciarsi alle spalle il candido Purgatorio di uno spietato blizzard per mettersi in salvo nell’emporio di Minnie, ospitale ricovero che ancora non sanno diverrà il più allucinante degli Inferni, rinchiudendoli tra le pareti di legno in compagnia di altri quattro viaggiatori anch’essi (all’apparenza) bloccati su quel palcoscenico di legno.
Sì, perché ora ha inizio la grandiosa messinscena Tarantiniana, scandita come sempre dai canonici capitoli del regista di Knoxville. E su quelle assi in mezzo alla tormenta si dipana un intrigante gioco delle parti: tra i garbati melliflui discorsi di Oswaldo Mobrey (Tim Roth), gli enigmatici silenzi di Joe Gage (Michael Madsen), gli smozzichi di parole del generale Sandy Smithers (Bruce Dern), le strozzate battute del “messicano” Bob (Demián Bilchir).
Le menzogne intridono l’aria dell’emporio di Minnie, le domande cominciano ad affollarla (dove sono Minnie e suo marito? Perché lasciare il locale in gestione a un messicano? E il cocchiere dei quattro che fine ha fatto?). I dilemmi prendono corpo fra una tazza di schifoso caffè e un sorso di cognac, si distendono attorno alla canzone arpeggiata da Daisy Domergue, prima che John Ruth distrugga la chitarra e l’allucinata atmosfera di tesa calma.
Prima che la sua profezia (“Probabilmente nessuno qui dentro è chi dice di essere”) si avveri. Prima che egli stesso (insieme al nono e incolpevole O.B.) muoia tra conati di vomito e sangue per un caffè avvelenato. Prima che il generale Sandy Smithers venga “legittimamente” ucciso dal Maggiore Marquis Warren, mastro d’armi, fine parolaio e onnisciente lettore di ciò che non è e ciò che non va in quella maledetta storia che sta per volgersi in carneficina.
Prima che ogni inganno si riveli. Prima che Bob, Oswaldo Mobrey, Joe Gage e l’imboscato Jody (Channing Tatum) finiscano con cervella e cuore spappolati. Prima che Daisy Domergue pencoli insanguinata e tumefatta dal soffitto, mentre i sopravvissuti (?) Chris Mannix e Marquis Warren la guardano esalare l’ultimo respiro, sventolando la (finta) lettera del presidente Abraham Lincoln come epitome di un male che mette tutti contro tutti, che parla di un’America sfilacciata come corpi che eruttano il proprio maligno in chiazze rosso sangue sul pavimento dell’emporio di Minnie. E di una truce barbarie dalla quale non si salva nessuno.
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guybrush83
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lunedì 8 febbraio 2016
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la nostra missione ha un nome: pazienza
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SPOILER!
Tarantino è tornato! La caratterizzazione dei personaggi che da sempre è il suo punto forte è a dir poco perfetta (guarda e impara sceneggiatore di Star Wars), la colonna sonora che dopo la fine del film è già nella mia playlist personale e alcune chicche di ripresa (come la scena della canzone con la chitarra e la messa a fuoco che cambia a ogni sorso di caffè) fanno venir voglia di rivederlo quanto prima.
Leggendo le critiche mi chiedevo cosa fosse questa "spaventosa lentezza" di cui tutti parlavano.
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SPOILER!
Tarantino è tornato! La caratterizzazione dei personaggi che da sempre è il suo punto forte è a dir poco perfetta (guarda e impara sceneggiatore di Star Wars), la colonna sonora che dopo la fine del film è già nella mia playlist personale e alcune chicche di ripresa (come la scena della canzone con la chitarra e la messa a fuoco che cambia a ogni sorso di caffè) fanno venir voglia di rivederlo quanto prima.
Leggendo le critiche mi chiedevo cosa fosse questa "spaventosa lentezza" di cui tutti parlavano.
Purtroppo abituati come si è oggi a non saper più ascoltare e aspettare allora posso capire i due fidanzatini che arrabbiati hanno lasciato la sala a fine primo tempo perché "Amò, andiamocene che sto film è una palla". Poco male, x dirla alla Renzo Arbore: "meno siamo, meglio stiamo e ne siamo fieri"!
Due sono le frasi chiave nel film: "Uno di loro non è chi dice di essere" che è quella che dà il cambio di ritmo al film, quella che fa entrare il film dalla parte dei bellissimi dialoghi a quella più Noir e poi "Pazienza" il nome della missione della banda! Ah se imparassimo ad averne un pò di più!
Unica nota stonata a mio avviso è il doppiaggio italiano. Doppiatori uno migliore dell'altro eh, tanto di cappello, ma certe volte sarebbe bene scegliere qualche sconosciuto ma che vada bene per il film, l'attore e la parte che si interpreta.
Grande Quentin , continua così.
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mara65
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mercoledì 10 febbraio 2016
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abraham lincoln
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Partiamo dalla fine.
In tutto il film vagheggia la storia della lettera inviata dal Presidente degli Stati Uniti, Abramo Lincoln al maggiore Warren. Verità o bugia inventata da lui stesso per darsi un po' di rispetto, in un mondo dove ancora i negri sono considerati esseri inferiori? La lettera viene mostrata, ma mai letta. Lo farà in punto di morte lo sceriffo designato (sarà vero?) per il paese di Red Rock. La leggerà e solo lì scopriremo che si tratta di una lettera autentica, che incoraggia Warren a proseguira la sua lotta per la giustizia e per l'uguaglianza dei popoli.
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Partiamo dalla fine.
In tutto il film vagheggia la storia della lettera inviata dal Presidente degli Stati Uniti, Abramo Lincoln al maggiore Warren. Verità o bugia inventata da lui stesso per darsi un po' di rispetto, in un mondo dove ancora i negri sono considerati esseri inferiori? La lettera viene mostrata, ma mai letta. Lo farà in punto di morte lo sceriffo designato (sarà vero?) per il paese di Red Rock. La leggerà e solo lì scopriremo che si tratta di una lettera autentica, che incoraggia Warren a proseguira la sua lotta per la giustizia e per l'uguaglianza dei popoli. Un messaggio molto chiaro quello di Tarantino, contro ogni discriminazione e razzismo. Una volta letta la lettera, la accortoccierà e la butterà in terra. Ora, quella lettera così importante e da sempre custodita gelosamente da Warren, non serve più. Entrambi stanno morendo dissanguati, all'interno dell'emporio di Minni. Un emporio in cui tutti sono morti. Nessun superstite.
L'8° film di Tarantino lascia ancora una volta il segno, non tanto per il 70mm, trovata più che altro pubblicitaria, quanto per la stupenda sceneggiatura ricca di dialoghi che spiazzano in più occasioni lo spettatore. C'è una spiegazione a tutto, tutto viene annodato in un unico grande centro, che in quegli anni (ma anche oggi) pone il denaro alla base di ogni scelta di vita. Questa volta oltre al denaro c'è un sentimento legittimo, quello di un fratello che vuole salvare dalla forca la propria sorella.
Bellissime le atmosfere ricreate e ricercate della bufera di neve che scandisce e detta ogni scelta dei banditi e dei boia. Il film si apre con la bufera di neve e si chiude con la bufera che continua ancora a soffiare di notte all'esterno dell' emporio di Minni, tomba, sepolcro degli otto protagonisti, di Minni e dei suoi aiutanti.
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ghostwolf
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venerdì 12 febbraio 2016
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film inutile
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Sono fan del regista statunitense da una decina d'anni, da quando l'ho conosciuto con Kill Bill, amore a prima vista, per poi scoprire tutto il suo catalogo cinematografico che ho da subito apprezzato in toto eccetto Pulp Fiction, paradossalmente l'unico dei film di Tarantino che non mi piace, almeno fino ad oggi pensavo fosse l'unico suo film a non piacermi...
Esco stasera dal cinema dopo aver visto The Hatefull Eight ; ci sono da fare delle premesse :
- fotografia stupenda
- regia eccezionale
- scenari fantastici
- colonna sonora da vero Morricone come il compositore italiano non osava da tempo
Ma il film dov'è?
Parliamo prima dei suoi film precedenti e doveroso è il paragone con "Bastardi senza gloria" e "Django", primi film di quella "trilogia della vendetta" che è stata completata proprio con the Hatefull Hate : personalmente ho adorato il primo film (che possiedo in blu ray), che ogni tanto sento l'esigenza di rivedere; mi è abbastanza piaciuto "Django" che già al tempo dell'uscita nelle sale cinematografiche ho trovato di intensità inferiore al primo film della cosidetta "trilogia", poi comprai il DVD ma è ancora imballato da un paio d'anni: a differenza di "Bastardi senza gloria" non ho mai sentito l'esigenza di rivedere Django, primo indizio personale del calo netto del regista.
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Sono fan del regista statunitense da una decina d'anni, da quando l'ho conosciuto con Kill Bill, amore a prima vista, per poi scoprire tutto il suo catalogo cinematografico che ho da subito apprezzato in toto eccetto Pulp Fiction, paradossalmente l'unico dei film di Tarantino che non mi piace, almeno fino ad oggi pensavo fosse l'unico suo film a non piacermi...
Esco stasera dal cinema dopo aver visto The Hatefull Eight ; ci sono da fare delle premesse :
- fotografia stupenda
- regia eccezionale
- scenari fantastici
- colonna sonora da vero Morricone come il compositore italiano non osava da tempo
Ma il film dov'è?
Parliamo prima dei suoi film precedenti e doveroso è il paragone con "Bastardi senza gloria" e "Django", primi film di quella "trilogia della vendetta" che è stata completata proprio con the Hatefull Hate : personalmente ho adorato il primo film (che possiedo in blu ray), che ogni tanto sento l'esigenza di rivedere; mi è abbastanza piaciuto "Django" che già al tempo dell'uscita nelle sale cinematografiche ho trovato di intensità inferiore al primo film della cosidetta "trilogia", poi comprai il DVD ma è ancora imballato da un paio d'anni: a differenza di "Bastardi senza gloria" non ho mai sentito l'esigenza di rivedere Django, primo indizio personale del calo netto del regista.
"Bastardi senza gloria" ha quelle tarantinate che tutti i suoi fan adorano, dialoghi fine a se stessi, incompiuti o criptici o particolarmente acuti, improvvise sparatorie e momenti splatter, ironia violenta e violenza esagerata, tutti aspetti inseriti in una trama solida, una sceneggiatura ben fatta e con uno scopo del film che comunque rimane al di sopra delle pure tarantinate (così come accadeva in Le Iene e Kill Bill) .
"Django" ancora tiene, meno tarantinate, meno acutezza ma reggono la trama ed il messaggio del film che rimane ancora al di sopra, a far da filo conduttore, agli autoesercizi di stile tipici di Tarantino.
The Hatefull Eight manca invece proprio della trama, di un legame tra i personaggi del film che non sia soltanto la sopravvivenza all'interno dell'Emporio, praticamente non c'è uno scopo del film, e non c'è neppure nella forma lievissima e velata con cui si poteva scorgere in "Le iene": in "The Hatefull Eight" ci sono le classiche tarantinate, ci sono i dialoghi alla Tarantino (e per quanto mi riguarda quelli di The Hatefull Eight sono i dialoghi più inutili, meno acuti e meno ironici di tutta la cinematografia del registra), ci sono le autocitazioni dagli altri film (ma a questo punto viene da chiedersi che senso abbiano), ci sono le scene splatter (...fini a se stesse e sempre più cruente, e anche qui vengono da porsi delle domande...). Ma non c'è un senso al di sopra delle singole vicende dei personaggi .
Ho adorato le tarantinate a 20 anni, a 25 anni, in film che, tarantinate a parte, avevano un senso: ora a 32 anni perchè dovrebbe piacermi un film che senso non ha se non quello di un'autocelebrazione del regista fine a se stessa?
Se vi hanno colpito la genialità del tenente interpretato da Brad Pitt in "Bastardi senza gloria" e l'epica vendetta della ragazza ebrea culminata nella strage nel cinema, se vi ha colpito l'epopea di Django, cosa vi è rimasto da "The Hatefull Eight" ? A me nulla .
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