tony k.l. foster
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martedì 1 marzo 2016
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recensione: the hateful eight
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Parte no spoiler:
Trovo sempre molto complesso fornire un'analisi oggettiva di Tarantino, dato che potrei parlare per ore ogni volta che mi viene chiesto un parere su questo autore. So di dover rianalizzare il responso che potrei dare a caldo, perché sarebbe totalmente pro Tarantino.
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Parte no spoiler:
Trovo sempre molto complesso fornire un'analisi oggettiva di Tarantino, dato che potrei parlare per ore ogni volta che mi viene chiesto un parere su questo autore. So di dover rianalizzare il responso che potrei dare a caldo, perché sarebbe totalmente pro Tarantino. Eppure mi rendo conto che la creatività così ironicamente sadica di questo regista può non essere gradevole per tutti. In “The Hateful Eight” vengono riunite tre tematiche che personalmente amo alla follia: Tarantino, genere western e il classico omicidio a porte chiuse alla Agatha Christie.
C’è poco da fare, se dovessi scrivere una recensione per me stesso, la parola che utilizzerei sempre più spesso prima di impazzire come il folle Jack Torrance di “Shining” e cominciare a scrivere sui muri a lettere cubitali, sarebbe solo una: CAPOLAVORO. CAPOLAVORO! CAPOLAVORO!!! Mi rendo conto che non posso limitarmi a questo tipo di analisi, perché il film qualche difetto lo presenta.
Difetti che, chiariamo, non mi sono pesati neppure un po', ma che oggettivamente esistono nel film.
Un esempio? Il ritmo e la lunghezza. Il film dura circa tre ore (160 minuti) con un’estensione di altri trenta sulla versione in pellicola e vi dico francamente che sarei davvero curioso di visionarla perché tre ore, per quanto mi riguarda, sono scivolate come olio. A metà del primo tempo avevo su un sorriso da Joker e fremevo nell'attesa di gustarmi immediatamente la seconda parte.
Tarantino ha chiaramente rischiato perché ha scelto un ritmo molto lento nella prima parte per poi esplodere come una bomba nella seconda. Scelta che può essere condivisa o meno, a me di certo non è pesata. Confesso di aver sofferto più a seguire il “Signore degli anelli”, piuttosto che “The Hateful Eight”. Non molti condivideranno la mia idea, io stesso ho avuto modo di constatare che in sala erano presenti persone in disaccordo con la mia opinione proprio per via del ritmo lento sì, ma comunque avvincente. E' un'opinione che rispetto, lo stile di Tarantino può non piacere. È inutile andare a vedere un film di Tarantino se non piace la sua regia; anche se presentava dei ritmi in realtà diversi dalle sue precedenti opere, è anche vero che vantava una continuità e una coerenza maggiori rispetto alle stesse. Per molti versi, come lo stesso autore ha dichiarato, la pellicola si avvicina alle atmosfere di “Reservoir Dogs” (Le Iene); per aspetti differenti ricorda anche “Pulp Fiction”, dal momento che la storia viene narrata con capitoli lineari e complementari tra loro. E' un vero e proprio ritorno alle origini, ma rispetto alle origini ho ammirato un regista più maturo e sicuramente più sicuro dei suoi mezzi, delle sue capacità.
Altri richiami si vedono marcatamente con il film di John Carpenter: “La Cosa”, con un pizzico di giallo a porte chiuse della Christie.
Tarantino riesce a creare uno stato di tensione e di ansia perenne già dal primo minuto ed è chiaro che per generare un'atmosfera simile serve del tempo, serve un dialogo tra gli “spietati otto”. Il film si prende i suoi ritmi e non è un problema, perché il tempo scivola come niente. Una tensione accompagnata dalle musiche di Ennio Morricone che fanno richiamo alle stesse tematiche di “La Cosa”. Tarantino ha voluto a tutti i costi lui come compositore e lo stesso Morricone, pur avendo poco tempo da dedicare nella composizione, ha deciso di utilizzare e revisionare alcune canzoni che aveva scartato per il film sopracitato. Ognuna di queste riesce a fare il suo, garantendo una tensione in scena che mi ha caricato di adrenalina dal primo istante fino ai titoli di coda.
La regia, un vero e proprio gioiello. Soffermarsi molto su questo aspetto sarebbe una perdita di tempo, perché Tarantino è una divinità della cinepresa e della sceneggiatura. Fine.
La maggior parte del film è diretto in una stanza o in una carrozza, quelle scene hanno una certa staticità. Nonostante questo Tarantino è riuscito a dare un effetto dinamico per il modo in cui la telecamera segue i protagonisti. Un genio. Ho amato lo stile di regia anche per un altro dettaglio: per accrescere lo stato di ansia dello spettatore, Tarantino ha girato la maggior parte delle scene permettendo di intravedere cosa stessero facendo gli altri protagonisti. Con una tecnica particolare di messa a fuoco e controfuoco, il focus principale è inizialmente posizionato su colui che parla mentre gli altri personaggi sono sfocati e la messa a fuoco subisce frequenti aggiustamenti seguendo i dialoghi.
Questo tipo di inquadratura ha dato il meglio di sé quando tutti hanno trovato un motivo per odiarsi a vicenda. L’adrenalina circolava a massimi livelli:
Lo spettatore si trovava con loro, si trovava in quel dannato emporio e con lui c'erano altre otto persone spietate che odiava a morte. Era consapevole di non potersi fidare di nessuno, di avere motivo di essere paranoico e doveva osservare attentamente ognuno di loro. Lo spettatore si trovava là.
Il risultato è stato esattamente questo.
Ho visto questo film due volte, una di queste in lingua originale, ma ammetto di aver preferito il doppiaggio italiano proprio per non perdere il movimento della telecamera. Anche se c'è stato un piccolo (grande) errore di traduzione nel doppiaggio che ha reso meno incisivo alcuni concetti politici che analizzerò nella parte spoiler.
Una regia da Oscar… che sicuramente lo ha visto penalizzato per la diatriba con la Disney. Tarantino aveva difatti stipulato un contratto con un cinema di Los Angeles per trasmettere il film in quelle sale il 25 dicembre. Lo aveva fatto per la grandezza della sala, per il supporto e le attrezzatura per il tipo di pellicola a 70 mm girata in Ultra Panavision, perché lo considerava adatto al suo film per ampiezza, grandezza, epicità. La major Disney decise di prolungare la proiezione del suo film in quelle sale, forse boicottando l'opera di Tarantino e minacciando che in caso contrario avrebbe ritirato il film ''Star Wars. Il risveglio della forza'' da tutte le catene di quel cinema. Temo che questo abbia inciso nell'escludere le nomination del regista per quanto riguarda le candidature a miglior regia e miglior sceneggiatura. Avrebbe meritato sicuramente anche d’essere in lista per il miglior film, a parer mio, perché “The Hateful Eight” è un film di rara fattura.
Nulla da eccepire sulle candidature agli oscar per la migliore colonna sonora originale di Ennio Morricone e per la fotografia che è una GIOIA per gli occhi. Un contrasto leggermente caldo su alcuni punti dello schermo, quando all'esterno i toni freddi fanno da padrone per poi controbilanciarsi in tonalità totalmente calde quando la storia si sposta nei luoghi chiusi. Per non parlare delle chiazze di sangue sulla neve e di alcune scene che sono un vero piacere per gli occhi. Nulla da dire neppure sulla candidatura ricevuta per la miglior attrice non protagonista da Jennifer Jason Leight.
La Leight in questo film interpreta la condannata. Nella parte spoiler voglio soffermarmi proprio su una critica che mi ha fatto un po' girare le scatole, ma soffermandomi sulla sua interpretazione posso dire questo: qualcosa di indescrivibile. Come ho già detto lo spettatore ha più volte l'impressione di trovarsi lì, tra questi hateful eight, con questa dannata psicopatica e vive un crescendo di tensione. Personalmente ogni attore mi è particolarmente piaciuto: a livello interpretativo non si discute, i ruoli sono tutti perfettamente contraddistinti. Ho letto alcune critiche sulla caratterizzazione di Tim Roth, perché avrebbe potuto interpretare un ruolo più ampio. Io credo che abbia interpretato in maniera magnifica un piccolo ruolo e va benissimo così. L'unica candidatura ricevuta per le interpretazioni l'ha ottenuta proprio la Leight; non potevano premiare tutti anche in vista della diatriba tra la major Disney e lo stesso Tarantino, che ritengo abbia influito sull'esclusione di alcune candidature, tuttavia mi auguro che lei possa portare a casa la statuetta perché è stata davvero fantastica.
Parte spoiler
Una cosa che mi ha fatto davvero innervosire sono le critiche ricevute da Tarantino sulla sua presunta misoginia perché la protagonista interpretata dalla Leight viene più volte picchiata, trattata da feccia schifosa, una 'bastarda da impiccare'. Sono presenti molte scene di violenza da parte del cacciatore di taglie John Ruth, soprannominato ''Il Boia'' perché se una taglia può essere portata viva o morta, lui la porta sempre viva per farla impiccare dal boia. Ciò che ripete spesso il 'Boia è: Tutti i bastardi meritano di essere impiccati, ma i gran bastardi sono quelli che impiccano''. Qui si identifica una forte traccia politica, ma su questo mi soffermo dopo. Sulle scene di violenza le critiche negative sono state innumerevoli sia dagli esperti e dai semplici spettatori. Il problema qual’è? Daisy Domergue, che è la cattiva, un'assassina spietata della banda Dormergue, non viene picchiata e trattata da feccia in quanto donna, ma in quanto feccia. Più volte John Ruth specifica di non avere davanti una donna, bensì una criminale. Queste sono sfaccettature Tarantiniane che vanno tenute presenti.
John Ruth, magnifico Kurt Russel nella sua interpretazione e indescrivibile personaggio. È il mio preferito nel gruppo. Un vero ''bastardo'' e più volte definito tale. Eppure lo reputo un personaggio con numerose sfaccettature. Spietato solo verso chi è spietato e nonostante sia in apparenza rude e senza cuore non ammazza i criminali perché ritiene che anche il boia debba lavorare. Percuote numerose volte la sua prigioniera quando lo manca di rispetto, ma più volte compie quei piccoli e significativi gesti di pietà che ti mostrano molto altro dietro questo ''bastardo''. Ed è questo personaggio che comincia a prendere piede l'aspetto politico del film: ''Tutti i bastardi meritano di essere impiccati, ma i gran bastardi sono quelli che impiccano''. Nel doppiaggio italiano questa frase è stata un po’ snaturata, perché se non ricordo male era un discorso ridondante simile a questo “Solo i veri bastardi devono essere impiccati, ma i veri bastardi devono essere impiccati”. Non ha alcun senso, o almeno, non mantiene il senso che Tarantino voleva dargli.
Nella sceneggiatura è un chiaro riferimento alla giustizia che un uomo può farsi. Il tema viene infatti approfondito nel corso dei dialoghi da un altro personaggio: Oswald Mobray, interpretato magnificamente da Tim Roth. Il suo ruolo è il Boia delle contee, infatti avrebbe dovuto giustiziare Daisy quando la tempesta sarebbe cessata e avrebbero fatto ritorno nella città Red Rock.
Lui fa un discorso che si muove su un binario parallelo, ossia la giustizia e la giustizia di frontiera: nel primo caso è il boia a uccidere la condannata, nel secondo caso i cari della vittima catturano l'assassino e lo uccidono in giardino. Anche quella è giustizia, ma per chiamarsi tale la giustizia ha bisogno di una figura neutrale, di una figura che non ha interesse a togliere una vita, che forse neanche conosce le motivazioni di quella esecuzione e che neppure gli interessano. Solo quando la figura è neutrale può definirsi giustizia.
Ed analizzando la frase di Ruth è questo il significato che può identificarsi: Ci sono persone così orribili e perfide che meritano oggettivamente di morire, di non essere più parte integrante di questo mondo. Se tu, tuttavia, uccidi queste persone per i crimini che hanno fatto, non solo non sei migliore di loro, tu sei una persona molto peggiore di loro.
Questa è la chiave politica che io ho letto, infatti la pellicola si trascina, in maniera un po' amara, con una profonda morale finale: Uccidi, ti vendichi dell'odio che provi, spezzi vite a persone che hanno spezzato vite atrocemente… e poi? A cosa serve questo? A nulla perché ti trovi a morire con atroci sofferenze tra montagne desolate. Soddisfatto della tua vendetta, ma perdendo comunque ogni cosa.
Questo è l'aspetto sempre più politico di Tarantino in questo film. Per non parlare del razzismo che lo stesso Tarantino cerca di smorzare assieme a Samuel L. Jackson. Infatti l'uomo di colore è continuamente chiamato 'negro, negro, negro'. Lo stesso Ruth si sente tradito per una bugia detta a fin di bene da Marquis Warren che poi gli fa un discorso semplice per fargli comprendere come il colore della sua pelle sia un problema in un'America che sta affrontando un periodo di poco successivo alla guerra civile. Di come un 'nero' sia al sicuro solo quando un 'bianco' è disarmato e di come quella stessa bugia sia stata essenziale per salvargli la vita. La narrazione politica, benché formulata ottimamente in un contesto western è davvero molto percepibile.
I colpi di scena non sono mai prevedibili, MAI. La prevedibilità è soggettiva, ma io posso dire di essere entrato nella sala con alcune supposizioni e di non essere riuscito a prevedere, a conti fatti, proprio nulla. Il trailer è stato montato e impacchettato come un regalo di Natale perfetto, ha aiutato a capire la trama ma non ha anticipato niente. Queste supposizioni sono state del tutto capovolte nel corso della narrazione. Il trailer è capace di dare delle buone premesse, solo quello. Tutto ciò che capita su quelle premesse per me è stato del tutto imprevedibile. Ogni personaggio è importante per il decorrere della trama, ogni elemento lascia piccoli indizi qua e là ma alla fine tutto torna, chiudendo un cerchio perfetto. Viene tutto spiegato nel dettaglio, un serie di conclusioni così squisitamente confezionate su quelle premesse che vengono fornite allo spettatore a piccole dosi. Che dire? Ho amato ogni cosa.
Potrei parlare davvero per ore e ore di Tarantino così come di questa singola pellicola, ma credo di aver fatto un quadro generale completo delle informazioni più importanti. Ritengo questo film un capolavoro. Ha i suoi difetti, c'è poco da fare, ma a volte un elemento negativo può presentarsi, per taluni aspetti, come un’inaspettata miglioria. Così è stato “The Hateful Eight”. Concludendo questa recensione, io lo reputo un capolavoro assoluto, ma questo è il mio soggettivo parere ed è sbagliato crearvi delle aspettative che potreste non condividere. Se amate lo stile di Tarantino, se amate le costruzioni lente e progressive, se amate analizzare i fatti attraverso una chiave di lettura profonda, è il film che fa per voi. Il voto forse più adatto per questo film è 9.
Alla prossima
Tony K.L. Foster
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domenica 2 ottobre 2016
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un film d'autore
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Dopo 20 anni Tarantino riesce a produrre un nuovo capolavoro, The Hateful Eight è un film che ti appassiona, ti rende partecipe, non è mai banale. La sua struttura in crescendo lo rende meraviglioso, l'ultima ora e mezzo di pellicola è da antologia. La fotografia, la sceneggiatura, la regia e gli attori sono perfetti, è un film per pochi, riservato a coloro che lo riescono a comprendere ed amano il genere. Questo film è stato inspiegabilmente criticato dal pubblico che tende ad additarlo come stracolmo di scene violente, indubbiamente ci sono ma non sono ridicole come in un horror splatter, sono funzionali al film e lo rendono un capolavoro. Tarantino inserisce nel film anche delle Tarantinate, la scena del pompino e il dialogo sulla "cagata" che rendono il tutto un piccolo gioiellino.
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Dopo 20 anni Tarantino riesce a produrre un nuovo capolavoro, The Hateful Eight è un film che ti appassiona, ti rende partecipe, non è mai banale. La sua struttura in crescendo lo rende meraviglioso, l'ultima ora e mezzo di pellicola è da antologia. La fotografia, la sceneggiatura, la regia e gli attori sono perfetti, è un film per pochi, riservato a coloro che lo riescono a comprendere ed amano il genere. Questo film è stato inspiegabilmente criticato dal pubblico che tende ad additarlo come stracolmo di scene violente, indubbiamente ci sono ma non sono ridicole come in un horror splatter, sono funzionali al film e lo rendono un capolavoro. Tarantino inserisce nel film anche delle Tarantinate, la scena del pompino e il dialogo sulla "cagata" che rendono il tutto un piccolo gioiellino.
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orion84
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sabato 6 febbraio 2016
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se non fosse un film di tarantino....
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Le recensioni lo incenerirebbero e gli spettatori pure...
SPOILER ALERT SU QUESTA RECENSIONE
Sinceramente leggendo la recensione di Mymovies mi sono sbigottito, forse ho visto un altro film perché sembra di leggere i commenti ad un'opera monumentale mentre sullo schermo sono corse via tre ore in cui si ride (tanto) e di pancia ma dove il genio del regista e la qualità della trama lasciano molto a desiderare.
Rispetto a Django per me qui c'è un bel passo indietro. Dopo la lenta marcia iniziale in carrozza, in cui i dialoghi davvero troppo lunghi rischiano di assopire lo spettatore tenuto attento solo dall'irriverenza dei protagonisti, si arriva all'emporio di Minnie e qui inizia il film vero e proprio: un gioco delle parti in cui lo spettatore cerca di capire chi ha più cose da nascondere tra i vari protagonisti.
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Le recensioni lo incenerirebbero e gli spettatori pure...
SPOILER ALERT SU QUESTA RECENSIONE
Sinceramente leggendo la recensione di Mymovies mi sono sbigottito, forse ho visto un altro film perché sembra di leggere i commenti ad un'opera monumentale mentre sullo schermo sono corse via tre ore in cui si ride (tanto) e di pancia ma dove il genio del regista e la qualità della trama lasciano molto a desiderare.
Rispetto a Django per me qui c'è un bel passo indietro. Dopo la lenta marcia iniziale in carrozza, in cui i dialoghi davvero troppo lunghi rischiano di assopire lo spettatore tenuto attento solo dall'irriverenza dei protagonisti, si arriva all'emporio di Minnie e qui inizia il film vero e proprio: un gioco delle parti in cui lo spettatore cerca di capire chi ha più cose da nascondere tra i vari protagonisti.
Che un film girato per due ore in un'unica stanza riesca a non annoiare è già di per se un miracolo però è anche vero che la trama non offre molto allo spettatore se non dialoghi divertenti, dove però regna sovrana una volgarità forse eccessiva perfino per tarantino, scene fantozziane come l'imbrattatura ricorrente con ogni sorta di fluidi della faccia della povera Jennifer Jason Leigh, e le espressioni sui volti dell'ottimo cast.
Ecco, per quanto riguarda il cast Tarantino si conferma un genio nella scelta degli interpreti e in questo film Samuel L. Jackson si prende molta della scena con un personaggio che esalta lo spettatore e che conferma che è uno dei più grandi attori esistenti.
Il finale ci riporta a Candyland coi corpi maciullati dalle pallottole e una morale perfino scontata "i cattivi devono morire" ma qui, per varie ragioni, sono tutti cattivi.....
Apprezzo Tarantino e alla fine pure sto film me lo sono guardato di gusto, però non puoi non aspettarti di più da un regista come lui. Questo è quasi un B-movie in salsa western, oltretutto con alcune licenze che al cinema solo a Tarantino sono concesse: uso di termini razzisti in modo esagerato, violenza brutale su una donna...si ride, ma se lo facessero altri immagino le polemiche.
Alla fine do due stelle perché mi aspettavo di più, il filma sarebbe da tre. Chi lo esalta in modo esagerato è chiaramente un fan incapace di analizzare oggettivamente il film che infatti agli oscar è stato interamente snobbato per quanto concerne la regia e la sceneggiatura (una evidente tirata di orecchie a sua maestà Quentin) rispetto invece all'oscar ricevuto per il capolavoro Django.
Speriamo davvero che il prossimo film ci ripresenti un Tarantino ispirato come ai bei tempi.
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vincenzo ambriola
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domenica 7 febbraio 2016
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l'ottavo film
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Otto personaggi si incontrano nell'emporio di Minnie, mentre infuria una tempesta di neve. Sospettosi uno dell'altro si preparano a trascorrere un paio di giorni in attesa che la tempesta si calmi, per raggiungere Red Rock e incontrare il loro destino. Girato in Ultra Panavision 70, l'ottavo film di Quentin Tarantino rappresenta in maniera teatrale un'intricata vicenda di cacciatori di taglie, boia, sceriffi, generali in pensione, farabutte condannate a morte secondo un copione alla Sherlock Holmes. Come sarebbe stato più semplice risolvere il tutto con un'imboscata in vecchio stile! Ma Tarantino decide di mettere in piazza la vita, le speranze e le menzogne dei suoi personaggi, costruendo in un crescendo lento ma inesorabile, un finale incandescente, in puro stile Pulp fiction.
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Otto personaggi si incontrano nell'emporio di Minnie, mentre infuria una tempesta di neve. Sospettosi uno dell'altro si preparano a trascorrere un paio di giorni in attesa che la tempesta si calmi, per raggiungere Red Rock e incontrare il loro destino. Girato in Ultra Panavision 70, l'ottavo film di Quentin Tarantino rappresenta in maniera teatrale un'intricata vicenda di cacciatori di taglie, boia, sceriffi, generali in pensione, farabutte condannate a morte secondo un copione alla Sherlock Holmes. Come sarebbe stato più semplice risolvere il tutto con un'imboscata in vecchio stile! Ma Tarantino decide di mettere in piazza la vita, le speranze e le menzogne dei suoi personaggi, costruendo in un crescendo lento ma inesorabile, un finale incandescente, in puro stile Pulp fiction. Ecco che una lettera di Lincoln (vera o falsa?) diventa argomento di discussioni infinite sullo schiavismo, sulla razza e sulla guerra civile. Che un boia (vero o falso?) verifichi in maniera certosina l'identità e le credenziali dei cacciatori di taglie, della loro preda e dello sceriffo (vero o falso?). Che dietro tutta questa rappresentazione, questo parlare di se stessi, ci sia qualcosa di nascosto lo si inizia a intuire a metà del film, quando prevale la linea poliziesca su quella, localistica, del Far West. E così si procede fino allo svelamento della storia. Non amo i film in cui il regista spiega la trama. Mi piace immaginare e inventare la mia trama. Ma Tarantino non poteva accontentarmi, lo so, e con grande rammarico ha dovuto usare un flash back per mostrare l'architettura dell'inganno, la vera identità degli otto personaggi. Un altro capolavoro del grande maestro? Purtroppo no. Gli ingredienti ci sono tutti, gli attori sono eccezionali, la maestria non manca. Non c'è il guizzo che stupisce, il miracolo conclamato che ti fa rivedere il film prima di addormentarti, per capirne i dettagli nascosti e riprenderti dalla sorpresa. Peccato, è solo l'ottavo film di Quentin Tarantino, un grande regista.
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marco lancini
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mercoledì 10 febbraio 2016
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tarantino si ama o si odia? no
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Archiviata la guerra tra Stati Uniti e Stati Confederati d'America, l'alba dell'era della ricostruzione nello spopolato Wyoming sorge sui sentieri rocciosi di una natura avversa, dove corre la diligenza del cacciatore di taglie John Ruth, in viaggio per assicurare alla giustizia della cittadina di Red Rock la fuorilegge Daisy Domergue in cambio di una taglia da 10.000$.
Durante il percorso i due incontrano prima il Magg. Marquis Warren, ex nordista negro in possesso di una preziosa corrispondenza con Lincoln e poi Chris Mannix, ex manigoldo sudista bianco, il quale millanta un'inverosimile investitura come nuovo sceriffo della cittadina di Red Rock.
I primi capitoli di 'The Hateful Eight' sono un perfetto sunto del dualismo americano, indesiderato lascito della Guerra di Secessione nel corpo civile, rafforzato da una regia che contrappone sapientemente gli sconfinati spazi della wilderness del Nord al claustrofobico interno della berlina in cui avvengono i dialoghi.
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Archiviata la guerra tra Stati Uniti e Stati Confederati d'America, l'alba dell'era della ricostruzione nello spopolato Wyoming sorge sui sentieri rocciosi di una natura avversa, dove corre la diligenza del cacciatore di taglie John Ruth, in viaggio per assicurare alla giustizia della cittadina di Red Rock la fuorilegge Daisy Domergue in cambio di una taglia da 10.000$.
Durante il percorso i due incontrano prima il Magg. Marquis Warren, ex nordista negro in possesso di una preziosa corrispondenza con Lincoln e poi Chris Mannix, ex manigoldo sudista bianco, il quale millanta un'inverosimile investitura come nuovo sceriffo della cittadina di Red Rock.
I primi capitoli di 'The Hateful Eight' sono un perfetto sunto del dualismo americano, indesiderato lascito della Guerra di Secessione nel corpo civile, rafforzato da una regia che contrappone sapientemente gli sconfinati spazi della wilderness del Nord al claustrofobico interno della berlina in cui avvengono i dialoghi.
Tarantino, giunti i nostri all'Emporio di Minnie, completa il proprio scacchiere con un anziano Generale sudista, un boia, un cowboy ed un messicano.
È in questo momento però, quando l'intreccio raggiunge la propria fase saliente che la sceneggiatura inizia a venir meno.
Gli odiosi otto danno vita ad un western non convenzionale, ibrido tra Hitchcock e giallo di Agatha Christie, che si rivela incompiuto sotto il profilo dell'imprevedibilità e del mordente.
Intendiamoci, gli spunti non mancherebbero. Tarantino getta la maschera e si rivela come mai fino ad ora cineasta dal forte richiamo politico: i suoi otto sviscerano i temi della giustizia civile legale e passionale, la messa a punto della stessa e la legittimità della difesa.
I virtuosismi dietro la camera neppure, l'uso prolungato del piano sequenza proietta lo spettatore in un tempo cinematografico senza costrizioni, in una realtà che si dimostra però viziata dalla sua stessa staticità.
La pellicola procede orfana di personaggi memorabili nonostante lo sconfinato uso del dialogo che scimmiotta le reservoir dogs ambasciatrici di passati successi e fortune, e legittima nello spettatore le perplessità circa un uso teatrale più adatto alla pièce.
I personaggi muovono nei propri interlocutori ragionevoli dubbi, da cui scaturiscono confronti dialettici orientati alla persuasione che l'identità supposta corrisponda a quella reale ed è proprio quando le parole vengono meno che si comincia a dar voce ai revolver, ma neppure la violenza pulp, vero marchio di fabbrica del regista, questa volta corre in suo soccorso dando una svolta alla deriva narrativa intrapresa dal film.
Il risultato è un terzo capitolo da relegare al ruolo di meno riuscito della fin qui notevole trilogia storica.
Per concludere, degno di nota è ancora una volta il lavoro del fedelissimo Samuel L. Jackson, attore feticcio che si dimostra pienamente all'altezza del suo predecessore Christoph Waltz.
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ludwigzaller
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giovedì 11 febbraio 2016
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scioglimento mancato
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Tarantino costruisce con estrema cura lo sfondo su cui far muovere un numero limitato di personaggi, una locanda immersa in un paesaggio innevato, luogo claustrofobico da cui non si può uscire esattamente come l'Overlook hotel di Shining almeno fino alla fine di una tempesta di neve. E accumula deliberatamente dubbi sull'identità reale dei personaggi, tra i quali ci sono ben due boia, veri o presunti, un cacciatore di taglie che si trascina dietro dei cadaveri, un aspirante sceriffo, un cowboy, un generale sudista ed un cocchiere (se non ne dimentico qualcuno). C'è una giovane donna dall'aria astuta e volpina da trasportare nella città dove sarà impiccata e che forse qualcuno tenterà di liberare.
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Tarantino costruisce con estrema cura lo sfondo su cui far muovere un numero limitato di personaggi, una locanda immersa in un paesaggio innevato, luogo claustrofobico da cui non si può uscire esattamente come l'Overlook hotel di Shining almeno fino alla fine di una tempesta di neve. E accumula deliberatamente dubbi sull'identità reale dei personaggi, tra i quali ci sono ben due boia, veri o presunti, un cacciatore di taglie che si trascina dietro dei cadaveri, un aspirante sceriffo, un cowboy, un generale sudista ed un cocchiere (se non ne dimentico qualcuno). C'è una giovane donna dall'aria astuta e volpina da trasportare nella città dove sarà impiccata e che forse qualcuno tenterà di liberare. E un latente contrasto che si rivela sempre più chiaro, all'indomani della fine della guerra di secessione, tra il soldato di colore ex schiavo che ha lottato per la propria libertà, e che dopo la guerra è diventato un boia ed il vecchio generale che incarna il sud. Quest'opera di costruzione richiede circa i due terzi della trama, è affetta da una certa lentezza, ma possiede una certa forza ed un certo fascino. Si arriva al breve intervallo convinti che il finale scioglierà gli enigmi e rivelerà il senso del dramma o dei drammi che si consumano nella locanda. Ma questo scioglimento, sul quale non dirò nulla per ovvi motivi, non è all'altezza della lunga fase di preparazione. Ciò che accade è confuso, gratuito, scarsamente realistico (e non perchè intendiamoci a Tarantino si chieda una logica stringente, ma perchè anche la più fantastica delle trame richiede uno svolgimento logico).
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andrejuve
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lunedì 15 febbraio 2016
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un western tinto di giallo
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“The Hateful Eight” è un film del 2015 diretto da Quentin Tarantino. Nel periodo successivo alla guerra di secessione americana una diligenza si dirige verso la località chiamata Red Rock. All’interno di questa diligenza si trova un uomo di nome John Ruth, denominato “il Boia”, il quale vuole trasportare la spietata criminale Daisy Domergue proprio a Red Rock, dove potrà riscuotere la cospicua taglia di 10.000 dollari che pende su quest’ultima, la quale subirà la pena dell’impiccagione per i reati commessi. Per non rischiare che quest’ultima fugga John è legato a Daisy grazie ad una catena. Durante il suo cammino la diligenza si imbatte nel Maggiore Marquis Warren, il quale è alla ricerca di un passaggio per Red Rock in quanto deve consegnare tre banditi uccisi al fine di ottenere anch’egli la somma di denaro stabilita per la loro taglia.
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“The Hateful Eight” è un film del 2015 diretto da Quentin Tarantino. Nel periodo successivo alla guerra di secessione americana una diligenza si dirige verso la località chiamata Red Rock. All’interno di questa diligenza si trova un uomo di nome John Ruth, denominato “il Boia”, il quale vuole trasportare la spietata criminale Daisy Domergue proprio a Red Rock, dove potrà riscuotere la cospicua taglia di 10.000 dollari che pende su quest’ultima, la quale subirà la pena dell’impiccagione per i reati commessi. Per non rischiare che quest’ultima fugga John è legato a Daisy grazie ad una catena. Durante il suo cammino la diligenza si imbatte nel Maggiore Marquis Warren, il quale è alla ricerca di un passaggio per Red Rock in quanto deve consegnare tre banditi uccisi al fine di ottenere anch’egli la somma di denaro stabilita per la loro taglia. Una forte tempesta di neve sta per abbattersi e Marquis ha bisogno di salire all’interno di quella diligenza. Dopo un’iniziale diffidenza John, il quale aveva conosciuto in passato Marquis, decide di ospitare quest’ultimo sopra la diligenza. Dopo qualche chilometro viene avvistato un altro uomo che vaga sopra quel desolato prato nevoso. Il suo nome è Chris Mannix e dichiara ai passeggeri della diligenza di volersi recare anch’egli presso Red Rock dove presterà giuramento al fine di essere nominato sceriffo. Se venisse abbandonato John e Marquis non potrebbero ricevere le somme di denaro che pretendono. A causa dell’esponenziale aumento di intensità della tempesta di neve la diligenza è costretta ad arrestare il suo cammino presso l’emporio di Maggie, dove però non si trovano i proprietari del locale ma un messicano di nome Bob, il quale afferma che i proprietari abbiano affidato a lui la locanda per andare a trovare la madre di Maggie. All’interno dell’emporio John, Daisy, Marquis e Chris incontrano altri tre uomini di nome Oswaldo Mobray, Joe Gage e Sanfold Smithers, un generale sudista. John non si fida di coloro che si trovano all’interno dell’emporio perché è convinto che uno di essi conosca Daisy Domergue. John allora decide di “stipulare” un accordo con Marquis in base al quale i due promettono di difendersi reciprocamente impedendo che qualcuno possa appropriarsi di Daisy e degli altri corpi sui quali gravano le taglie. Anche Marquis è molto perplesso in quanto ritiene improbabile che Maggie, che conosce molto bene, abbia affidato ad un’altra persona la gestione momentanea della sua attività. C’è qualcuno che mente sulla propria identità? Quali sono le reali intenzioni di ciascuna delle otto persone presenti all’interno dell’emporio?. La pellicola in questione è divisa in due parti distinte tra loro. La prima parte è incentrata sulla caratterizzazione di tutti i personaggi che gradualmente si susseguono e che, in maniera apparentemente casuale, si incontrano. Attraverso l’utilizzo di dialoghi molto colloquiali e all’apparenza insignificanti lo spettatore riesce a delineare al meglio le sfaccettature caratteriali dei singoli protagonisti, tentando di inquadrarli e di capire se qualcuno di loro ricorra alla menzogna. Il filo conduttore del film è costituito proprio dall’inganno e dalla diffidenza, che rappresentano due atteggiamenti tipici della natura umana. Nel momento in cui si rapporta con persone sconosciute l’uomo tende a nutrire un comprensibile sentimento di inquietudine mescolato al timore di ritrovarsi di fronte a sé un essere umano che potrebbe essere capace di compiere qualsiasi tipo di azione. Il cammino della diligenza rappresenta la metafora del percorso della vita, all’interno della quale inevitabilmente bisogna raffrontarsi con persone che, positivamente o negativamente, entrano di prepotenza nelle rispettive esistenze condizionandole e modificandole. I destini di persone sino a quel momento estranee si incrociano e nulla può impedire che ciò accada. L’emporio potrebbe rappresentare una trasposizione in miniatura del mondo all’interno del quale le persone sono costrette ad affrontare una convivenza forzata. Il grande salone dell’emporio è paragonabile ad una grande scacchiera, come quella con la quale il generale Smithers gioca assieme ad Oswaldo Mobray, all’interno della quale ognuno assume un ruolo specifico e ogni singola mossa potrebbe rivelarsi vincente o, al contrario, potrebbe condurre ad una cocente sconfitta. I personaggi fanno parte di un pericoloso gioco basato sulla diffidenza reciproca e sulla falsità. La verità e la finzione si confondono creando un turbine di mistero e di sospetto. Ogni condotta è volta a smascherare l’avversario al fine di scoprire le sue reali intenzioni. Si delinea una sfida psicologica basata sulla capacità di scoprire i punti deboli di ciascuno, attendendo il momento più opportuno per attaccare e colpire. Lo spettatore riesce ad immedesimarsi all’interno di questa realtà e, grazie alle inquadrature minuziose e attente ad ogni singolo dettaglio, viene trasportato dentro quella stanza proprio come se fosse un testimone diretto della vicenda narrata. La sensazione di tensione, di inquietudine e di paura viene trasmessa efficacemente. Il pubblico, cosi come i protagonisti della storia, si interrogano su chi possa essere il vero o i veri bugiardi, sempre che esistano realmente. In pratica tutto ruota attorno a semplici supposizioni o ipotesi e ognuno dei personaggi si trasforma in una sorta di investigatore che deve scoprire chi sia colui che abilmente sta mentendo all’interno della stanza. Il western quindi si tinge di giallo e Tarantino riesce ancora una volta a creare un nuovo genere cinematografico che mescola il fascino del crudo e burbero far west all’eleganza del cinema giallo, basato sull’analisi psicologica dei personaggi e sulla ricerca del singolo dettaglio che potrebbe rivelarsi fondamentale al fine di risolvere il caso. Nell’ambito di questo misterioso ed enigmatico contesto, reso ancora più tormentato dalla tempesta di neve vista come metafora di cattivi presagi, costellato da sospetti e accuse reciproche, emergono anche dissidi e contrasti legati a pregiudizi razziali ed etnici, in quell’epoca particolarmente accentuati a seguito della rivalità tra i sudisti e i nordisti. Si assiste inoltre ad un atteggiamento disumano dell’uomo, il quale è insensibile e apatico di fronte alla morte di un suo simile e cerca meschinamente di trovare una giustificazione dietro ad un gesto cosi malvagio e ignobile. Nella seconda parte della pellicola, più prettamente “tarantiniana”, il ritmo del film aumenta vertiginosamente, focalizzando l’attenzione sulla pura violenza visiva, tanto esilarante quanto toccante, che sottolinea la brutalità, la bestialità e il cinismo dei personaggi i quali, spinti dai rispettivi ed egoistici interessi, sono disposti a compiere qualsiasi azione meschina e disdicevole pur di raggiungere i propri obiettivi, spesso legati al guadagno ed al profitto economico. Il film diventa un thriller all’interno del quale si assiste ad alcune sequenze brutali tendenti ad un horror ironico e assurdo. Allo stesso però la spietatezza dell’uomo lascia spazio al suo sadismo in quanto la morte non costituisce più un atto necessario al perseguimento dei propri scopi, ma si trasforma in un evento piacevole, che stimola l’uomo eccitandolo ed intrigandolo. Di conseguenza prevale l’illogicità e la stupidità dell’uomo il quale, incapace di dialogare e convivere civilmente, è propenso a ricorrere allo scontro fisico a costo di sacrificare la sua stessa esistenza. Si assiste ad un massacro totale in cui tutti sono colpevoli e, accecati dall’avidità e dal cinismo, subiscono le conseguenze delle proprie azioni disdicevoli e immorali. Il susseguirsi degli eventi tragici si rivelerà inarrestabile e il declino inesorabile dei protagonisti coincide con quello dell’uomo. Quentin Tarantino riesce a trasporre sullo schermo questo bel film ricorrendo come sempre ad una sceneggiatura brillante e pungente, che riesce a mescolare perfettamente la drammaticità all’umorismo più esilarante e paradossale, caratterizzando perfettamente i singoli personaggi. La bravura del regista consiste nel riuscire ad ambientare la quasi totalità del film all’interno di una stanza, come in passato hanno fatto grandi cineasti quali Alfred Hitchcock, riuscendo a coinvolgere lo spettatore e stupendolo attraverso continui colpi di scena. I protagonisti vengono ridicolizzati e derisi, scardinando totalmente tutti i canoni tipici dei generi western e giallo, dove i personaggi vengono descritti come temibili ed inscalfibili. L’opera diventa quasi teatrale in quanto prende il sopravvento la capacità espressiva e recitativa dei personaggi. In questo senso sono ottime le interpretazioni di tutti quanti gli attori, con particolare riferimento a Samuel L. Jackson, Kurt Russell, Jennifer Jason Leigh, candidata ai prossimi premi Oscar come migliore attrice non protagonista, e Walton Goggins. Merita una particolare menzione la colonna sonora di Ennio Morricone, anch’egli candidato al premio Oscar, il quale ha composto musiche sempre attinenti alle specifiche sequenze, trasmettendo a volte un ritmo incalzante e altre volte un senso di timorosa quiete. L’unico difetto del film a mio avviso è rappresentato dall’eccessiva autocelebrazione di Tarantino il quale, sfoggiando le sue grandi abilità cinematografiche, tende a specchiarsi troppo dilungandosi ingiustificatamente attraverso dialoghi e sequenze che sono frutto di un accentuato narcisismo che a volte esula dalla narrazione. Un film da vedere perché è originale e riesce ad assumere contemporaneamente toni drammatici e divertenti, inglobando differenti generi cinematografici che riescono a convivere perfettamente nonostante le loro totali divergenze.
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gabri66
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mercoledì 17 febbraio 2016
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il cerchio si chiude
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Tarantino, come al solito non sbaglia un colpo......e fin quì niente di nuovo direte!
Visto ieri sera in Panavision su uno schermo di 30 mt di larghezza nel cinema migliore d'europa in assoluto.....l'ottavo film del diabolico Tarantino si rivela in tutta la sua maestosità, grazie anche al 70mm.
Nei pochi minuti girati all'aperto, paesaggi sconfinati mozzafiato fanno da cornice al vero teatro di scena: bloccati dalla neve, i personaggi del film, nell'angusto ricovero....si rivelano per quello che sono: banditi, cacciatori di taglie e i pochi apparentemente buoni, per il regista rappresentano l'indole violenta insita nell'uomo e soprattutto nella civiltà americana.
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Tarantino, come al solito non sbaglia un colpo......e fin quì niente di nuovo direte!
Visto ieri sera in Panavision su uno schermo di 30 mt di larghezza nel cinema migliore d'europa in assoluto.....l'ottavo film del diabolico Tarantino si rivela in tutta la sua maestosità, grazie anche al 70mm.
Nei pochi minuti girati all'aperto, paesaggi sconfinati mozzafiato fanno da cornice al vero teatro di scena: bloccati dalla neve, i personaggi del film, nell'angusto ricovero....si rivelano per quello che sono: banditi, cacciatori di taglie e i pochi apparentemente buoni, per il regista rappresentano l'indole violenta insita nell'uomo e soprattutto nella civiltà americana.
Non ha caso siamo nei primi anni dopo la guerra civile e come in "Gangs of New York" di Scorsese viene descritta dettagliatamente, come mai, ancora adesso, la violenza sia nella maggior parte degli americani come l'unica soluzione possibile.
Una nazione relativamente giovane, nata da una guerra di indipendenza, da una tremenda guerra civile e dal genocidio dei nativi americani, non riesce ancora completamente a distaccarsi dalle sue radici violente e ancora , nel 21° secolo, riesce a imporre le proprie idee solo con la violenza e la tracotanza dei + forti.........
Credo che il messaggio di Tarantino stia tutto qui: un'accusa per niente velata di incapacità di superare le differenze senza la minima intenzione di usare l'intelletto ma solamente una feroce violenza.
Il film si snoda i capitoli.......fino al'Intermission, "voluto" non per la lunghezza del film, ma per separare la parte "filosofica e intellettuale" della vicenda, al finale violento e tipicamente "tarantiniano".
Ho rivisto nelle scene degli interni, tanto del "le iene", primo capolavoro del cineasta italoamericano: riuscire a tenere incollato allo schermo lo spettatore, su una narrazione che si svolge in pochi mq è bravura allo stato puro!
Credo di aver intercettato anche citazioni da altri film dove la scena si svolge in spazi stretti: da "10 piccoli indiani" di Pollock, a "la Cosa" di Carpenter, a "Carnage" di Polansky persino a "Indovina chi viene a cena?" di Kramer.....guarda caso opere dove si trattano problematiche di convivenza, di razza, di paura del diverso e tentativi per lo più vani di accomodare le cose in maniera "civile"....tutto in una stanza o poco +.
La recensione tecnica non può essere che ottima: dagli attori, tutti bravissimi e immersi perfettamente nella loro parte, alla fotografia, ai costumi e....alla musica: tenuta per ultimo per due motivi:
1)sarà probabilmente l'unico Oscar che vincerà questo film.
2)Morricone ci regala come al solito una partitura meravigliosa, perfetta, "sincronizzata" con lo scorrere della storia in maniera mostruosa....Azzardo: un non vedente,sentendo i dialoghi meravigliosi e questa musica fantastica riuscirebbe cmq a "vedere" la pellicola!!!!!
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luca scialo
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lunedì 28 marzo 2016
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le iene ambientate in django
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Dopo il successo di Django, Queentin Tarantino ci ha preso gusto e ripropone un film sul genere da lui amato: il western. E lo fa affidandosi a un mix di attori fedelissimi, vecchi e più recenti, riprendendo il canovaccio della pellicola che lo ha reso celebre: Le iene.
Il risultato finale è un film lungo quasi tre ore, dove non manca certo l'ironia e lo splatter gratuito in pieno stile tarantiniano. Ma anche più verboso del solito e forse eccessivamente pretenzioso. Curato nella regia e nella sceneggiatura (che Tarantino ha dovuto modificare dopo che era finita per sbaglio sul web) mette in scena otto pistoleri senza gloria pronti a scannarsi. Per non farsi mancare nulla, il regista si è avvalso delle musiche di Ennio Morricone, vincitore anche di un Oscar.
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Dopo il successo di Django, Queentin Tarantino ci ha preso gusto e ripropone un film sul genere da lui amato: il western. E lo fa affidandosi a un mix di attori fedelissimi, vecchi e più recenti, riprendendo il canovaccio della pellicola che lo ha reso celebre: Le iene.
Il risultato finale è un film lungo quasi tre ore, dove non manca certo l'ironia e lo splatter gratuito in pieno stile tarantiniano. Ma anche più verboso del solito e forse eccessivamente pretenzioso. Curato nella regia e nella sceneggiatura (che Tarantino ha dovuto modificare dopo che era finita per sbaglio sul web) mette in scena otto pistoleri senza gloria pronti a scannarsi. Per non farsi mancare nulla, il regista si è avvalso delle musiche di Ennio Morricone, vincitore anche di un Oscar. Sullo sfondo aleggia la fine della guerra civile e le sue ferite ancora fresche, ma anche il fantasma del patriota americano Abramo Lincoln. Insomma, Tarantino ha alzato ancora una volta l'asticella, incassando anche accuse di razzismo e misoginia, non riuscendo però a saltare l'ostacolo. Per ora il suo capolavoro resta Bastardi senza gloria.
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lbavassano
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domenica 7 febbraio 2016
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lento, stanco, ripetitivo
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Piuttosto deludente. Lento, ripetitivo e assolutamente privo di ritmo, il che, per un film di impianto teatrale, è peccato mortale. Ancor più per un film di Tarantino, che del ritmo e della inesausta capacità inventiva ha fatto il proprio marchio di fabbrica giustamente apprezzato. Qui di invenzione c'é ne è poca, nella trama , in cui l'unico colpo di scena si risolve in un ulteriore appesantimento, così come il riepilogo all'inizio della seconda parte di cui avremmo fatto volentieri a meno, nella modalità narrativa quindi, ove viene a mancare quella scoppiettante contaminazione dei codici tipica della sua produzione fino ad oggi. Manca l'ironia, annegata da un profluvio di sangue (laddove il Tarantino migliore ci aveva abituati all'esatto contrario), e la gag della porta, all'ennesima ripresa, diviene uno stanco tormentone.
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Piuttosto deludente. Lento, ripetitivo e assolutamente privo di ritmo, il che, per un film di impianto teatrale, è peccato mortale. Ancor più per un film di Tarantino, che del ritmo e della inesausta capacità inventiva ha fatto il proprio marchio di fabbrica giustamente apprezzato. Qui di invenzione c'é ne è poca, nella trama , in cui l'unico colpo di scena si risolve in un ulteriore appesantimento, così come il riepilogo all'inizio della seconda parte di cui avremmo fatto volentieri a meno, nella modalità narrativa quindi, ove viene a mancare quella scoppiettante contaminazione dei codici tipica della sua produzione fino ad oggi. Manca l'ironia, annegata da un profluvio di sangue (laddove il Tarantino migliore ci aveva abituati all'esatto contrario), e la gag della porta, all'ennesima ripresa, diviene uno stanco tormentone. L'unica scena veramente bella è quella iniziale, con il primo piano del crocefisso ligneo, dai tratti fortemente espressionisti, ed il campo lunghissimo sulla diligenza che lentamente avanza nel biancore accecante della neve. Bella, bellissima anzi, ma un po' poco per tre ore di cinema.
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