des esseintes
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venerdì 25 novembre 2016
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the hateful eights e massimo cacciari
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È un film disperato, appena appena compiaciuto degli orrori e della angoscia che rappresenta, pensato e girato con l'evidente intento di parlare del mondo di oggi, quello in cui viviamo che (forse) si avvicina inesorabilmente a una catastrofe alla quale manca la prospettiva certa di una palingenesi.
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È un film disperato, appena appena compiaciuto degli orrori e della angoscia che rappresenta, pensato e girato con l'evidente intento di parlare del mondo di oggi, quello in cui viviamo che (forse) si avvicina inesorabilmente a una catastrofe alla quale manca la prospettiva certa di una palingenesi.
La musica è molto ben fatta ma anche lì manca qualcosa: un tema forte, una melodia autentica come è di norma delle colonne sonore dei film western. Manca quindi "il senso", il "punto di riferimento", vige l'inquietudine, la tensione che non si scioglie mai.
L'ambiente è un dantesco inferno ghiacciato in cui Cristo (la statua di legno ricoperta di neve) è lasciato nella assoluta indifferenza ad agonizzare solo e abbandonato.
Nella casupola di legno la porta non chiude più, è necessario sbatterla con forza e inchiodarla ogni volta che qualcuno entra o esce. Il mondo esterno è solo "minaccia", climatica e umana.
Per essere salvati dalla morte per freddo, per essere ammessi nella casa, per sapere quali rapporti si possono stabilire, tutti i personaggi hanno bisogno di un "documento" che comprovi la loro identità e il loro status di buoni o cattivi.
Non è più possibile riconoscersi in quanto esseri umani; "comunità" non significa più identificarsi con dei valori, una cultura, un modo di essere e stare insieme.
Conta solamente "il documento rilasciato dalla autorità di governo".
Ma la cosa più spiazzante del film, molto à la Cacciari se si vuole, è che la vera autorità, la "auctoritas", in realtà non esiste più, è del tutto assente, resta esclusivamente come "lontanissimo ordine senza scopo né orientamento".
In assenza di auctoritas - ossia di una condivisa idea di appartenenza comunitaria immediatamente e tradizionalmente riconosciuta, accettata, rispettata da tutti - i protagonisti, in una coazione a ripetere da automi, la sostituiscono con la "potestas" dell'autorità amministrativo governativa arrivando a concepire gli unici sprazzi di dolcezza e affettività proprio sotto la specie di un riconoscimento fornitogli da quella autorità. Riconoscimento che ovviamente deve assumere la forma di un...?
Documento.
La lettera di Lincoln scritta con grande simpatia all'ex schiavo nero che la mostra a tutti con orgoglio, in cui il presidente conclude facendo un tenero riferimento alla anziana moglie ascoltando il quale si inumidiscono gli occhi anche dei peggiori bounty killer del Wyoming.
Lettera, ovviamente, falsa.
In questa assenza di autentica auctoritas, senza la quale l' "autorità amministrativa" (potestas) diventa principio puramente autoreferenziale, ossia in questa liquefazione del senso stesso di "comunità umana", nemmeno i sentimenti dei legami affettivi più istintivi riescono ad assumere un valore di redenzione; nemmeno la condizione di sconfitto può più generare solidarietà; nemmeno chi evidentemente subisce l'ingiustizia può essere rappresentato come meritevole di riscatto.
La banditessa a un certo punto dice una frase che rivela pienamente lo stato di spleen irreversibile del film.
Chiama "nigger" il nero, si prende le botte e quando gli spiegano quella N-word non piace agli afroamericani risponde in un insolito moto di tristezza, in quanto "donna" di bassa condizione in un mondo di maschi: "A me hanno detto molto di peggio".
Viene picchiata a sangue, insultata, la stanno portando a essere impiccata a Red Rock e lei canta alla chitarra una canzone che curiosamente è quella dei deportati nei bagni penali australiani, in cui si ricordano le frustate, le umiliazioni subite e dove si parla dell'ultimo sogno possibile rimasto, scappare a fare i banditi nel bush.
Non può più nemmeno concepire la vera libertà; il mondo "di una volta" sconfitto dal mondo "organizzato" secondo le leggi impersonali può esistere e resistere solamente come devianza.
I membri della banda che cerca di liberare la donna sono tutti animati da un profondo sentimento di lealtà, il fratello si fa ammazzare per lei ma d'altra parte loro stessi uccidono con crudeltà, indifferenza e con l'inganno, delle povere donne innocenti.
Ormai non c'è più possibilità alcuna di essere comunità e per questo la porta che non si chiude bene deve ogni volta essere inchiodata: i legami "legali", quelli del "documento", hanno preso il sopravvento fagocitando definitivamente i legami "umani"; ma questi legami legali, non appartenenti ad alcun luogo e ad alcun tempo particolare - ossia "astrattamente filosofici, tecnici e globalizzati" - non hanno la forza di permanere di per sé stessi.
La loro reale funzione sarebbe quella di armonizzare i "legami umani", renderli partecipi di una interazione che li trascenda in "comunità", ma avendoli sopraffatti in nome di idee e principi inesorabilmente lontani dal "qui e ora" li hanno portati a una regressione che li riduce alla loro forma più basilare e violentemente animalesca.
Eppure, o forse proprio per questo, profondamente umana.
Anzi, l'unica e sola "vera umanità" (la dolce lettera di Lincoln infatti è falsa) che però ormai, abbandonata a sé stessa, sminuita e rinnegata, non è più riscattabile né redimibile.
La potestas ha preteso di assumere il ruolo di auctoritas - ossia si è messa in atto la globalizzazione - uccidendo per sempre qualsiasi auctoritas possibile e avvelenando la capacità rigenerativa dei più preziosi semi primari e istintivi dello stare insieme comunitario.
Un pelino più essenziale e sdegnato e sarebbe stato un capolavoro.
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goldy
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sabato 6 febbraio 2016
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tarantino vittima di sè stesso
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Non mi si venga a sostenere che nelle intanzioni di Tarantino c'era quella di fare un film politico! Se davvero questo era il suo intento, beh! non appare. Più banalmente, Tarantino ripropone la sua ennesima ricetta di abile costruttore di scene da macelleria per consolidare la sua posizione in classifica di massimo esponente del cinema splatter. Non mi si chieda di fare uno sforzo intrepretativo per dare significato a 8 disgraziati morti freddo di freddo , ognuno portatore di un carico diverso di violenza. Una storia piena di buchi che rendono faticoso e vano seguire il filo narrativo espresso, per'altro, con raffinati linguaggi più appropriati a esponenti del mondo accademico che non a rozzi i cresciuti in sterminate praterie del Wes prive di college universitari.
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Non mi si venga a sostenere che nelle intanzioni di Tarantino c'era quella di fare un film politico! Se davvero questo era il suo intento, beh! non appare. Più banalmente, Tarantino ripropone la sua ennesima ricetta di abile costruttore di scene da macelleria per consolidare la sua posizione in classifica di massimo esponente del cinema splatter. Non mi si chieda di fare uno sforzo intrepretativo per dare significato a 8 disgraziati morti freddo di freddo , ognuno portatore di un carico diverso di violenza. Una storia piena di buchi che rendono faticoso e vano seguire il filo narrativo espresso, per'altro, con raffinati linguaggi più appropriati a esponenti del mondo accademico che non a rozzi i cresciuti in sterminate praterie del Wes prive di college universitari. Con Django aveva dimostrato di saper fare cinema limitando la deriva splatter. Che bisogno c'era di riproporlo e in dose così massiccia e esagerata? Noioso, non coinvolgente, incapace di ccostruire una metafora di alcunchè, irrispettoso della capacità di resistenza dello sòpettatore, si lascia la sala un po' provati portando dentro di sè un carico greve e inutile di brutture gratuite, E non mi si esalti la bellezza della fotografia, la bravura degli attori, la colonna sonora di Morricone, la grandiosità dei panorami innevati. Perchè un film si sedimenti nell'immaginario ha bisogno di una storia che qui non c'è e se c'è è solo un pretesto.
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elpanez
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venerdì 19 febbraio 2016
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tarantino è tornato ai vecchi tempi!
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NO SPOILER: Tarantino ci porta in un mondo violento, estremo, fuori dagli schemi, folle e delirante. Una pellicola di tre ore ambientata in un unica sala che da vita a colpi di scena mozzafiato, ad un improbabile susseguirsi degli avvenimenti e ad una caratterizzazione dei personaggi pressoché tridimensionale e profonda come solo LUI sa fare. Siamo tornati ai vecchi tempi de Le Iene e di Pulp Fiction, con un tocco di novità perfette e incalzanti.
La regia è magistrale e curata fino al dettaglio; molto lenta e troppo pesante, ed è questo il cinema Tarantiniano, è questo ciò che volevo prima di vedere il film.
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NO SPOILER: Tarantino ci porta in un mondo violento, estremo, fuori dagli schemi, folle e delirante. Una pellicola di tre ore ambientata in un unica sala che da vita a colpi di scena mozzafiato, ad un improbabile susseguirsi degli avvenimenti e ad una caratterizzazione dei personaggi pressoché tridimensionale e profonda come solo LUI sa fare. Siamo tornati ai vecchi tempi de Le Iene e di Pulp Fiction, con un tocco di novità perfette e incalzanti.
La regia è magistrale e curata fino al dettaglio; molto lenta e troppo pesante, ed è questo il cinema Tarantiniano, è questo ciò che volevo prima di vedere il film. Piani sequenza lunghissimi che trasmettono emozioni fortissime di ansia e tensione. Quella regia che ti porta in un baratro ove non si sa che cosa succede dopo, che ti lascia sospeso, poiché il film gira e rigira la trama così tante volte da non sapere assolutamente che cosa accadrà successivamente.
La sceneggiatura regge per tutta la durata, movimenti e dettagli fatti con cura e sempre significativi (ovvero che tutto ha un senso), i dialoghi sono profondissimi, lunghi e lenti, ma assai efficaci, con una cinepresa che ti immedesima perfettamente nel film. Inoltre gli aforismi toccano e trattano temi molto delicati, e lo fanno con quella maestria unica che solo Tarantino riesce a portarci in sala; semplicemente fantastici, tali da entrarti in testa.
La colonna sonora di Moricone dà potenza al film e nei momenti che sembra spegnersi, essa lo tira sù con musiche incalzanti e perfette nel contesto. Inoltre bellissimo il rapporto tra di essa e la trama: i personaggi ci interagiscono, suonando strumenti, che sembrerà strano ma è importantissimo come tale potenza sonora riesca ad evocare, insieme alla sceneggiatura, quei dialoghi profondi.
Il rapporto fra i personaggi è profondo, fatto di milioni di dimensioni, essi subiscono un’ evoluzione con l' avanzare della trama e il regista riesce a farci affezionare ad essi in modo così forte in così poco tempo, riusciamo a vederne le varie sfaccettature e il modo in cui si comportano in determinate azioni, mai prevedibile e mai scontato.
Gli attori naturalmente, come ogni film di Tarantino, riescono a dare il meglio di sé, così immersivi e carismatici, fantastici: Goggins e Roth insuperabili.
La fotografia è stupenda ed è uno spettacolo per gli occhi nelle poche scene all’aperto, e trasmette intensità e carattere negli spazi chiusi.
L’unico errore che ho riscontrato sono forse le eccessive battute ripetitive in alcune (pochissime) parti del film e la prima parte ci mette un po' ad ingranare, ma nulla di grave.
Infine Tarantino è tornato alla grande, portandoci un capolavoro e facendo una miscela riuscitissima delle sue vecchie e nuove opere, con un film suddiviso in 6 capitoli, ordinatissimo e mai sottotono. Violento, esplicito, azzardato e spudorato, una perla del cinema che non vediamo tutti giorni, ed ora che è disponibile non bisogna perdere l’occasione.
Per ulteriori recensioni, il mio canale youtube: elpanez!
Buona serata!
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khaleb83
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domenica 22 maggio 2016
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strano, persino per tarantino
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Tarantino può non piacere e può essersi espresso più volte sotto tono rispetto agli standard cui ci ha abituato, ma difficilmente può lasciare indifferenti. E questo film potrebbe facilmente non piacere: ha una ritmica non sbagliata ma assolutamente strana, un crescendo costante che però per riempire l'intera pellicola (magari un po' troppo lunghetta per quel che propone) richiede necessariamente una partenza lenta, quasi estenuante. In maniera assolutamente voluta e funzionale alla storia, ma che può obiettivamente arrivare a un passo dalla noia prima che la storia inizi a diventare coinvolgente.
Un film che somiglia più che altro a una piece teatrale, giocato sull'alternanza di silenzi e dialoghi minimali con le solite battute sferzanti ed eccessive cui ci ha abituati Tarantino.
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Tarantino può non piacere e può essersi espresso più volte sotto tono rispetto agli standard cui ci ha abituato, ma difficilmente può lasciare indifferenti. E questo film potrebbe facilmente non piacere: ha una ritmica non sbagliata ma assolutamente strana, un crescendo costante che però per riempire l'intera pellicola (magari un po' troppo lunghetta per quel che propone) richiede necessariamente una partenza lenta, quasi estenuante. In maniera assolutamente voluta e funzionale alla storia, ma che può obiettivamente arrivare a un passo dalla noia prima che la storia inizi a diventare coinvolgente.
Un film che somiglia più che altro a una piece teatrale, giocato sull'alternanza di silenzi e dialoghi minimali con le solite battute sferzanti ed eccessive cui ci ha abituati Tarantino. Interpreti che in alcuni momenti sfiorano quasi la caricatura, ma anche questo fa parte del gioco: la storia riesce sempre a reggere tutto, mischiando i generi in maniera spiazzante. Non sapremo se ci troviamo in un classico giallo di Agatha Christie, in un western, in un "classico" pulp o in un lavoro teatrale. E, come al solito, è proprio la confusione che fa il lavoro per Tarantino, mentre lui si limita a dosare alcuni dettagli esasperandone altri, riproducendo il suo inconfondibile marchio di fabbrica.
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noia1
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lunedì 5 giugno 2017
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raffinato e dissacrante gioco al massacro
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Otto loschi figuri si ritrovano bloccati in un saloon durante una tempesta di neve.
Tarantino la sua personale visione della società l’ha sempre data in modo più o meno grottesco e più o meno velatamente, n forma di satira o di crudele apologo più o meno scorretto e sempre politicamente insopportabile. Mai però la sua visione è stata tanto arrabbiata e scoperta come nei suoi ultimi due film (Django Unchained e questo) certo che se però in Django la critica spudorata era verso un certo tipo di bigotto razzismo americano forse anche un po’ scontato, qui la faccenda è molto più profonda e personale. Non è che non ci siano buoni e cattivi, anzi, il fatto è che però da una parte e dall’altra domina una brutalità disumana per causa della quale anche chi ha ragione passa per aguzzino, la stessa brutalità che farà sì che non si salvi nessuno.
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Otto loschi figuri si ritrovano bloccati in un saloon durante una tempesta di neve.
Tarantino la sua personale visione della società l’ha sempre data in modo più o meno grottesco e più o meno velatamente, n forma di satira o di crudele apologo più o meno scorretto e sempre politicamente insopportabile. Mai però la sua visione è stata tanto arrabbiata e scoperta come nei suoi ultimi due film (Django Unchained e questo) certo che se però in Django la critica spudorata era verso un certo tipo di bigotto razzismo americano forse anche un po’ scontato, qui la faccenda è molto più profonda e personale. Non è che non ci siano buoni e cattivi, anzi, il fatto è che però da una parte e dall’altra domina una brutalità disumana per causa della quale anche chi ha ragione passa per aguzzino, la stessa brutalità che farà sì che non si salvi nessuno. La scusa della legge che esenta dalla pietà, le persone che persino nell’esalare l’ultimo respiro non si risparmiano l’ennesima crudeltà al sicuro nella loro consapevolezza d’aver ragione, il tutto poi è tanto vivido da sfociare nello splatter e nell’orrore. Vendetta, legge, amore, ideali: ciascuno con i propri idoli e ragioni in una discesa sempre più profonda negli inferi della persona.
Poi Tarantino si sa che è un fenomeno, all’inizio par d’essere in un altro mondo con questo carro nel mezzo della neve, con dialoghi perennemente ritmati dal fischio del vento in sottofondo. I rapporti sono curati in modo tanto realistico che sembra una parodia. I dialoghi serrati, oltre a definire la persona e le sue dinamiche nella storia, creano un vero e proprio affresco di una certa situazione di una certa America.
Un film che mette a dura prova il perbenismo dove il bandito di turno condannato all’impiccagione non fa altro che subirne di tutti i colori dall’inizio alla fine in quanto a canaglia, peccato però che sia una donna. Il nero viene continuamente denigrato ma è effettivamente una carogna, certo però è che chiunque a dispetto del colore della pelle con un vissuto come il suo si sarebbe comportato allo stesso modo, cioè il carattere di Samuel Jackson ed il suo essere spietato è dettato più che altro da ciò che ha vissuto e non certo dal colore della pelle.
E poi c’è tutto ciò che riguarda il talento di un regista come Tarantino, un montaggio che pur essendo avvincente prende i suoi tempi, una storia chiusa in appena quattro location diventa tesissima e spettacolare da far paura dove niente è lasciato al caso e tutto quadra dall’inizio alla fine.
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nonhosonno2015
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venerdì 12 febbraio 2016
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tarantino non ai suoi livelli
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Film visionato nella versione estesa di 187 minuti in pellicola 70mm con non altissime aspettative e direi che sono state rispettate.
Nel complesso un buon film. Il cast, ottimo, sono i fedelissimi di Quentin, la sceneggiatura è convincente nonostante sia stata modificata (per cause di forza maggiore) in corsa, i dialoghi sono prolissi e talvolta estenuanti, splatter onnipresente. Insomma tutti gli ingredienti richiesti per sfornare un film di Tarantino.
Per quanto mi riguarda ho trovato la prima parte del film abbastanza noiosa, ma utile per caratterizzare bene i personaggi. Fase centrale molto accesa e finale coerente.
Samuel L. Jackson spicca per bravura sugli altri. Kurt Russel, comunque credibile nel suo ruolo, non mi ha convinto.
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Film visionato nella versione estesa di 187 minuti in pellicola 70mm con non altissime aspettative e direi che sono state rispettate.
Nel complesso un buon film. Il cast, ottimo, sono i fedelissimi di Quentin, la sceneggiatura è convincente nonostante sia stata modificata (per cause di forza maggiore) in corsa, i dialoghi sono prolissi e talvolta estenuanti, splatter onnipresente. Insomma tutti gli ingredienti richiesti per sfornare un film di Tarantino.
Per quanto mi riguarda ho trovato la prima parte del film abbastanza noiosa, ma utile per caratterizzare bene i personaggi. Fase centrale molto accesa e finale coerente.
Samuel L. Jackson spicca per bravura sugli altri. Kurt Russel, comunque credibile nel suo ruolo, non mi ha convinto. Brava la Leigh e bravo anche Tim Roth, nonostante il suo personaggio sia piuttosto secondario e cerchi troppo di ricalcare le orme di King Schultz di Django Unchained (obiettivo fallito).
A mio modesto parere, nella filmografia di Tarantino è uno dei minori, anche se dovrò rivederlo col passare del tempo per poter dare un giudizio definitivo. Sicuramente lo preferisco a Grindhouse e Jackie Brown, che comunque è un buon film.
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jackiechan90
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lunedì 1 febbraio 2016
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capolavoro e summa dell'opera tarantiniana
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L'ottavo film di Tarantino è un film destinato a durare negli anni e nella memoria dei cinefili di tutto il mondo. Non solo perché ormai i film del regista di Knoxville sono diventati dei veri e propri eventi dopo l'annuncio della fine (tarantino ha affermato che arriverà al 10° film e poi concluderà così la sua carriera da regista) o per il fatto che ha scelto di girare in un formato inconsueto ma carico di forti valenze simboliche (il 70 mm Panavision, quello più costoso, usato in una decina di film in tutta la storia del cinema); ma è soprattutto la consapevolezza metadiegetica del film stesso che lo rende uno spartiacque nella produzione tarantiniana. C'è una consapevolezza maggiore da parte del regista rispetto ad altri suoi film e lo steso tarantino lo sa bene.
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L'ottavo film di Tarantino è un film destinato a durare negli anni e nella memoria dei cinefili di tutto il mondo. Non solo perché ormai i film del regista di Knoxville sono diventati dei veri e propri eventi dopo l'annuncio della fine (tarantino ha affermato che arriverà al 10° film e poi concluderà così la sua carriera da regista) o per il fatto che ha scelto di girare in un formato inconsueto ma carico di forti valenze simboliche (il 70 mm Panavision, quello più costoso, usato in una decina di film in tutta la storia del cinema); ma è soprattutto la consapevolezza metadiegetica del film stesso che lo rende uno spartiacque nella produzione tarantiniana. C'è una consapevolezza maggiore da parte del regista rispetto ad altri suoi film e lo steso tarantino lo sa bene. Cominciamo dal titolo: "The Hateful Eight", chiaramente riferito agli otto protagonisti del film, una serie di personaggi che si ritrovano bloccati in una locanda a causa di una bufera di neve (e già qui abbiamo una novità rispetto alla rappresentazione iconica degli ambienti soleggiati del western americano a cui eravamo abituati), ma è anche una dichiarazione dello stesso regista che pone un accento biografico particolare alla sua ottava (e terzultima) opera. Il film è una summa di tutto il cinema tarantiniano con i suoi cliché e la sua cifra stilistica particolare: si tratta di un'opera che omaggia una certa tradizione di western all'italiana e di mistery (la storia è un classico "giallo della camera chiusa"). Sono presenti, inoltre, particolari escamotage tipici della nouvelle vague che ricalcano quelli di altri film di Tarantino (geniale il macguffin della lettera di Lincoln e la citazione biblica "a la Pulp Fiction"). E che dire degli stessi personaggi? Ognuno di loro è, nei fatti, una re-interpretazione dei protagonisti degli altri sette film, da Tim Roth che riprende il cacciatore di taglie Christoph Waltz di "Django unchained", a Michael Madsen che riprende le vesti della "iena" in un contesto western ("Lei è una iena" dirà, con chiaro intento ironico a un Kurt Russell, redivivo "Grindhouse" western) fino a Samuel L. Jackson ancora una volta nelle vesti di un giustiziere divino". Abbiamo il sangue a fiumi (mostrato in tutta la sua consistenza grazie alla fotografia di Robert Richardson), le battute al vetriolo e politicamente scorrette che nascondono profonde riflessioni sulla giustizia terrena, le citazioni di musiche e marche di sigarette, i trielli (qui si dovrebbe parlare di "quartello" se non addirittura "quinquello"), le inquadrature ricercate e sofisticate, l'isteria collettiva e anarcoide. C'è tutto tarantino insomma in un film che ne rappresenta il vertice della composizione visiva e narrativa (il film è un enorme "romanzo visivo" diviso in capitoli) che si dimostra ancora più epico grazie alla scelta del 70 mm che valorizza gli ambienti, esterni e interni, e la "pastosità" delle forme. Una scelta che non è solo una mera operazione-nostalgia ma che vuole riprendere e ridare un senso alla visione cinematografica. In sottofondo vi è una riflessione, da parte di tarantino, non solo sul suo stesso cinema, ma sul "cinema" in generale, sul vedere come esperienza collettiva e irripetibile (e proprio sulla vista e l'apparenza dello sguardo gioca tutta la storia). Non resta che aspettare di vedere i prossimi due film di Tarantino per vedere a che cosa porterà questa sua riflessione, ma una cosa è certa: quest'ultimo è un capolavoro.
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thatfilm!
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venerdì 5 febbraio 2016
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quel wyoming sanguinolento
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Il bianco candore delle montagne del Wyoming. La potenza della natura e la grandezza del paesaggio. Poi, il mondo si restringe, tutto si compressa. Prima in una diligenza in viaggio per Red Rock. Poi in una baita in mezzo al nulla, in cui i rapporti tra gli otto personaggi si intrecciano e si crea la premessa per la conclusione, piena e grottesca, come tutto il film, d'altronde.
Questo è l'ottavo film di Tarantino. Una pièce teatrale travestita da western. Tutto si muove lentamente per creare la fitta trama di rapporti ben tenuta insieme dalla sceneggiatura solida. Ogni inquadratura da più di una prospettiva della storia. La prima, aperta, lunga e incredibilmente alla Leone, dà subito l'idea di che film sarà.
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Il bianco candore delle montagne del Wyoming. La potenza della natura e la grandezza del paesaggio. Poi, il mondo si restringe, tutto si compressa. Prima in una diligenza in viaggio per Red Rock. Poi in una baita in mezzo al nulla, in cui i rapporti tra gli otto personaggi si intrecciano e si crea la premessa per la conclusione, piena e grottesca, come tutto il film, d'altronde.
Questo è l'ottavo film di Tarantino. Una pièce teatrale travestita da western. Tutto si muove lentamente per creare la fitta trama di rapporti ben tenuta insieme dalla sceneggiatura solida. Ogni inquadratura da più di una prospettiva della storia. La prima, aperta, lunga e incredibilmente alla Leone, dà subito l'idea di che film sarà. E poi tutto inizia, i dialoghi si fanno subito "tarantiniani" ed ogni azione, ogni sguardo, viene seguito in maniera spasmodica per creare la psiche del personaggio principale (interpretato da un ottimo Samuel L. Jackson), facendola comunque rimanere nascosta, almeno in parte, fino alla fine, fino alla chiusura. Ed è questa la forza del film: tutto è allungato, ogni gesto è studiato nei minimi dettagli, ma rimane qualcosa di non detto, qualcosa che viene nascosto volutamente dai dialoghi compulsivi e dal maniacale odio che infesta ogni scena.
Insomma un film intimo e che non ti aspetti da un regista così votato alla costruzione sfrenata e all'azione spettacolare (che rimane, ma mitigata) come lo è Quentin Tarantino.
Altro punto a favore la già citata vena grottesca che scorre in tutto il film, la violenza è, se non ridicolizzata, portata all'estremo (più estremo del solito per Tarantino) e viene "schiaffata" in faccia allo spettatore a gocce spezzando i dialoghi e la storia per qualche istante (ottima scelta per un film di quasi tre ore), riprendendo il filo della matassa trasformata ogni volta. Fino alla conclusione, sintesi del gusto del macabro, dell'odio fittissimo e della bellezza di ogni inquadratura presenti in tutto l'ottavo film di Quentin Tarantino.
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sirgient
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martedì 9 febbraio 2016
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non tutte le ciambelle hanno un buco di una colt
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La diligenza corre, è vero, paesaggi innevati fantastici, altrettanto vero. La storia comincia così !
Tutto il resto salta a bordo come per caso... forse troppo per caso,.. espedienti molto simili per chiedere un passaggio o la mera realtà? Stessa scusa volutamente creata da Tarantino, mancanza di fantasia o mancanza di fiducia verso i cavalli? Sta di fatto che tutto questo suscita poca curiosità, tutto artificioso, troppo, anche le storie raccontate in viaggio... va che roba in mezzo al Wyoming chi ti incontri... il mondo è piccolo...ma piccolo davvero, sembra quasi di essere al centro commerciale!
Il resto dell'azione si svolge in un emporio.
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La diligenza corre, è vero, paesaggi innevati fantastici, altrettanto vero. La storia comincia così !
Tutto il resto salta a bordo come per caso... forse troppo per caso,.. espedienti molto simili per chiedere un passaggio o la mera realtà? Stessa scusa volutamente creata da Tarantino, mancanza di fantasia o mancanza di fiducia verso i cavalli? Sta di fatto che tutto questo suscita poca curiosità, tutto artificioso, troppo, anche le storie raccontate in viaggio... va che roba in mezzo al Wyoming chi ti incontri... il mondo è piccolo...ma piccolo davvero, sembra quasi di essere al centro commerciale!
Il resto dell'azione si svolge in un emporio... scena già vista... con dialoghi strani... se non fosse per i grandi attori che li recitano direi "idioti" come dialoghi...noisi e anche volgari fin troppo... certe immagini mi sembrano persino inopportune...
Poi tra personaggi omessi, alcuni messi li a casaccio che centrano come il cacio sul pesce...la storia continua, arrampicandosi sugli specchi e dimenandosi nel freddo della tempesta, tanto che ci si aspetta di vedere venir fuori " la cosa" o lo spirito di MacReady che, cercando la cordicella guida, dal cesso all'emporio si perde nel buio, rischiando il congelamento... Vabbè !!!
Ci prova a omaggiare o direi a scopiazzare i primi piani di Sergio Leone... in modo peraltro insufficiente.poca incisività ed espressività..forse sbaglia gli angoli di inquadratura Boh!! .... Ci prova a inserire il grande maestro Morricone a dare tono al Film... ma lo trovo lontano...molto lontano, come il suono che proviene fievole aldilà della montagna...si sente più forte l'omaggio a Roy orbison con la sua "there won't be many coming home"..
Ci prova Tarantino... dio se ci prova... ma quando spari con una colt devi saper sparare per centrare la ciambella, altrimenti ti ritrovi un Krapfen tra le mani pieno di crema che ad ogni morso ti sporca la punta delle scarpe cadendo verso il basso...
Lontani anni luce da Jackie Brown...GrindHouse... Le Iene .. Pulp Fiction....l'ispirazione nel produrre Killing Zoe ...Sin City... L'immaginario Kill Bill.... Bastardi senza gloria...Dio Mio... quanto siamo lontani da allora.
Forse,l'opinione resta la mia, troppi omaggi rendono l'uomo gobbo... e i western all'italiana restano una prerogativa del nostro geniale Sergio, tanto amato e odiato e poco riconosciuto...ai tempi.... Caro sig. Tarantino... I western non sono pallottole che puoi sparare, ecco l'ho detto !!
Resta un Buon film... ma senza arte ne parte, ben girato, belli gli scenari e le ambientazioni... resta il rammarico di un a storia che non ha detto nulla di quanto forse avrebbe dovuto o forse è stato detto in modo sbagliato... quando le aspettative sono alte si rischia sempre di fare il flop.. e qui c'è riuscito ... ahimè !!
Finite le cartucce ? Speriamo di no !
Come sempre non racconto niente della trama del film, per criticarlo va visto, io l'ho fatto... pentito? No...non mi pento mai di aver visto un film... anzi spesso rivedo anche quelli brutti per riuscire a farmeli piacere...rivedrò anche questo... magari in seconda serata, sul divano, mentre fuori nevica...sperando di non addormentarmi !!
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francesco2
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martedì 9 febbraio 2016
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tarantino, attento alla cinefilia
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Dopo un inizio didascalico e "crocifisso", che già non promette nulla di buono, Tarantino
prosegue le sue in-cursioni ed es-cursioni nella Storia; quella -ufficialmente- con la
"S" maiuscola, quella che in "Inglorious Bastards" si prende(va) la sua rivincita,
complice ed al contempo schiacciata dal cinema (scritto, in una scena, coi caratteri
maiuscoli) durante l'incendio finale. Agli interrogativi etici di "Django"si mescolano quelli
filosofici, tuttavia nient'affatto lontani da dilemmi morali ( La legittimità della pena di
morte, per esempio). Piuttosto cambia il tipo di tensione, più vicina a quella del film
con Brad Pitt: ogni scena sottindendeva un'angoscia latente, fino all"ending"
precedentemente accennato dove l'ingiustizia e l'effimero ( Il cinema, appunto)
sembravano -sembravano?- averla spuntata.
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Dopo un inizio didascalico e "crocifisso", che già non promette nulla di buono, Tarantino
prosegue le sue in-cursioni ed es-cursioni nella Storia; quella -ufficialmente- con la
"S" maiuscola, quella che in "Inglorious Bastards" si prende(va) la sua rivincita,
complice ed al contempo schiacciata dal cinema (scritto, in una scena, coi caratteri
maiuscoli) durante l'incendio finale. Agli interrogativi etici di "Django"si mescolano quelli
filosofici, tuttavia nient'affatto lontani da dilemmi morali ( La legittimità della pena di
morte, per esempio). Piuttosto cambia il tipo di tensione, più vicina a quella del film
con Brad Pitt: ogni scena sottindendeva un'angoscia latente, fino all"ending"
precedentemente accennato dove l'ingiustizia e l'effimero ( Il cinema, appunto)
sembravano -sembravano?- averla spuntata. Né i dilemmi, per chi sia protagonista del film
come per noi spettatori, scompaiono dopo la "scena del caffé", anzi: diventano solo
dilemmi di tutt'altra natura, come a sottolineare che in questo film di certo non esiste nulla,
fuorché il fatto che i primi due-tre protagonisti maschili si conoscano ( Volendo mettere i
puntini sulle "i", la stessa "colpevolezza" del personaggio femminile ci viene raccontata,
anche se una taglia su di lei dà sicuramente da pensare).
A questo punto tuttavia sorgono i "ma", e riguardano quanto di cinefilo -nel senso negativo-
ci sia negli ultimi due Tarantino: paradossalmente, si, partendo proprio da "Django", in linea
teorica il suo film più esplicitamente sociale. La parte che comincia col citato "caffé",
decisamente ampia, aggiunge veramente qualcosa che non sia la crudeltà degli aguzzini e la
"lettera", fra l'altro forse un tantino retorica per essere tarantiniana? E anche sul molto che
"avviene" prima è legittimo nutrire qualche dubbio. Questa struttura modello "dieci piccoli
indiani", dove tutti potrebbero mentire, non riflette quanto visto in casi precedenti, è un
insieme di personaggi che ci e si pongono interrogativi sparsi, dove lui sembra divertirsi
a mostrare un'abilità negli incastri modello "I soliti sospetti". Tarantino è un grande uomo
di cinema, anche se di cinema postmoderno, ma la cinefilia è un potenziale vizio che rischia
di nuocergli.
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