revine1995
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domenica 7 febbraio 2016
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mmm... ni
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Otto uomini in una baita, tanta neve, molta tensione e una valanga di stereotipi sono gli elementi portati sul grande schermo da Q. Tarantino, che torna dopo tre anni da Django con una pellicola che aveva tutti gli elementi per diventare un pilastro portante del cinema.
The hateful eight (dal mio punto di vista) non soddisfa le aspettative.
Al cinema si vede un film di quasi tre ore che mantiene un ritmo lento e noioso per i primi tre capitoli (come spesso nei film di Q. T. il film è diviso per capitoli), che mette in scena dialoghi lunghi e scontati tra persone che si conoscono, i quali si incontrano per caso nel mezzo di una bufera di neve sulle montagne sperdute del Wayoming.
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Otto uomini in una baita, tanta neve, molta tensione e una valanga di stereotipi sono gli elementi portati sul grande schermo da Q. Tarantino, che torna dopo tre anni da Django con una pellicola che aveva tutti gli elementi per diventare un pilastro portante del cinema.
The hateful eight (dal mio punto di vista) non soddisfa le aspettative.
Al cinema si vede un film di quasi tre ore che mantiene un ritmo lento e noioso per i primi tre capitoli (come spesso nei film di Q. T. il film è diviso per capitoli), che mette in scena dialoghi lunghi e scontati tra persone che si conoscono, i quali si incontrano per caso nel mezzo di una bufera di neve sulle montagne sperdute del Wayoming.
Il quarto capitolo, come d’improvviso, tramuta il film in un horror pieno di sangue e tensione psicologica tra i personaggi e tra gli spettatori in sala, lasciando senza fiato le persone che già chiudevano gli occhi appoggiate alle poltrone.
Dal quinto capitoli la trama inizia a districarsi spiegando i legami che fino a due minuti prima erano solo nell’aria.
Non è il film di Tarantino che ti aspetti; o meglio, si vedono chiaramente tutti i tratti che hanno fatto di Tarantino un grande, ma enfatizzati e mescolati tra di loro senza un’apparante logica e giusto per far vedere chi è il regista.
Tra tutto questo spicca come una luce nella notte la prestazione di Samuel Jackson, unico uomo di colore nella combricola degli odiabili otto, che, tirate le somme, permette al film di avere un minimo di fattore WOW. #RV1995
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jdalco
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mercoledì 10 febbraio 2016
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azzardo ben riuscito
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Mi sono riservato questa pellicola senza nemmeno vedere un trailer, mi sono limitato ad osservare qualche immagine come la locandina di lancio, giusto per avere qualche informazione sugli attori. Non sono un amante dei film di Tarantino, forse a causa della mia ancor giovane età: ho apprezzato negli ultimi anni Django e Bastardi Senza Gloria (sangue, sangue, forse a causa della mia giovane età ?). La prima mezz'ora è stata molto lenta: una lunga introduzione alla parte centrale immersa nella neve e nel vento gelido delle montagne americane. Prime scene in cui vengono presentati i personaggi e con qualche clichè viene fatto presente che tutti hanno i loro segreti e il dubbio inizia ad entrare nella mente di colui che guarda il film.
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Mi sono riservato questa pellicola senza nemmeno vedere un trailer, mi sono limitato ad osservare qualche immagine come la locandina di lancio, giusto per avere qualche informazione sugli attori. Non sono un amante dei film di Tarantino, forse a causa della mia ancor giovane età: ho apprezzato negli ultimi anni Django e Bastardi Senza Gloria (sangue, sangue, forse a causa della mia giovane età ?). La prima mezz'ora è stata molto lenta: una lunga introduzione alla parte centrale immersa nella neve e nel vento gelido delle montagne americane. Prime scene in cui vengono presentati i personaggi e con qualche clichè viene fatto presente che tutti hanno i loro segreti e il dubbio inizia ad entrare nella mente di colui che guarda il film. E' proprio ascoltando le storie dei primi personaggi che mi sono accorto che il film si sarebbe trasformato in un grande Cluedo all'interno dello spazio ristretto di una bottega. Il mio primo pensiero è stato Assassinio sull'Orient Express: gli ambienti claustrofobici e l'analisi dei personaggi mi hanno portato a questa conclusione. La presenza del sangue caratterizzante le ultime pellicole di Tarantino citate è stata un interrogativo nella prima parte del film ma l'incognita si è risolta (AMPIAMENTE) negli ultimi segmenti della pellicola. In definitiva, ho apprezzato molto questo film: l'inizio molto lento, seppur necessario ad inserire i personaggi in un contesto, è reso piacevole dalle riprese, che, senza esagerare, mi sono rimaste impresse. Ricordo con piacere le montagne innevate e i cavalli della diligenza. La colonna sonora di Ennio Morricone si inserisce bene nel film, dando un tocco disturbante e maligno oltre che western al punto giusto; anch'essa, inoltre, contribuisce a rendere la prima parte meno noiosa. Riguardo alle vicende nella bottega, mi limito a dire che i dialoghi sono ben riusciti; una nota di merito va sicuramente a Samuel L. Jackson, ormai coinquilino di Taratino, a Tim Roth e Walton Goggins, di gran lunga il mio preferito. Ultima citazione particolare ai loro doppiatori italiani: a dir poco sublimi, in particolare nel caso di Goggins.
Pellicola variegata e consigliata!
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des esseintes
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giovedì 25 febbraio 2016
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bello, ma si ferma un passo prima della verità
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La cosa che sorprende sono le critiche degli interpreti autorizzati. Un sacco di parole messe molto bene insieme per dire non si sa bene che. In sostanza nulla, come sempre quando non sanno cosa dire ossia nella maggior parte dei casi.
Di che diavolo parla questo film? Secondo loro non si sa.
E non si sa davvero, non è chiarissimo.
Di certo c'è che è fatto molto bene, che finalmente è cinema "parlato" in cui il dialogo ha la parte più importante e dove le scene grandguignolesche sono solo di complemento, non servono solamente a vellicare gli istinti animaleschi dei bovini che pagano il biglietto per provare "la sensazione forte", sono anzi la drammatica rivelazione del non significato di fondo delle azioni umane quali che siano le loro motivazioni.
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La cosa che sorprende sono le critiche degli interpreti autorizzati. Un sacco di parole messe molto bene insieme per dire non si sa bene che. In sostanza nulla, come sempre quando non sanno cosa dire ossia nella maggior parte dei casi.
Di che diavolo parla questo film? Secondo loro non si sa.
E non si sa davvero, non è chiarissimo.
Di certo c'è che è fatto molto bene, che finalmente è cinema "parlato" in cui il dialogo ha la parte più importante e dove le scene grandguignolesche sono solo di complemento, non servono solamente a vellicare gli istinti animaleschi dei bovini che pagano il biglietto per provare "la sensazione forte", sono anzi la drammatica rivelazione del non significato di fondo delle azioni umane quali che siano le loro motivazioni.
Perché nel gelo desolato del Wyoming non hanno più senso gli ideali, i sentimenti, la lealtà, la famiglia e l'amicizia, nemmeno il riscatto razziale.
Là dove il Cristo crocifisso è abbandonato e negletto in mezzo all'indifferenza del paesaggio da dantesco inferno ghiacciato nulla significa più nulla e la motivazione vera di fondo, l'unica giustificabile, la lettera di Abraham Lincoln, è solo un misero falso da accartocciare e buttare senza rimpianti di fronte alla crudezza di una realtà dei rapporti umani ormai senza radici, che si aggrappa a inesistenti tradizioni e in cui anche i rapporti familiari si riducono a semplici scuse per potere liberamente esercitare quella menzogna e quella violenza di chi non sa più quali siano i suoi scopi, di chi ha definitivamente perso "il senso" del mondo e della propria esistenza.
Un messaggio nichilista? Non come può essere nel caso dei fratelli Coen cioè con un compiacimento estetizzante della intuizione del non senso dell'esistenza e della imminenza del redde rationem ("Non è un paese per vecchi" e "A Serious Man") ma come rivelazione hard boiled, sbattuta brutalmente in faccia allo spettatore.
E poi?
Manca qualcosa, manca una prospettiva e questo è il limite del film, il solito limite dei film contemporanei.
E' fatto bene comunque e vale la pena di vederlo, la colonna sonora di Morricone è molto discreta in mancanza di un'idea melodica importante e rispetto al livello attuale è una piacevole sorpresa.
La chiave secondo me è la lettera di Lincoln e il suo destino finale ossia per le azioni umane non è restato nulla di valido se non la fittizia giustificazione fornita dal potere ma solo per i propri fini che ovviamente non sono quelli autentici dei subalterni che li hanno persi irrimediabilmente; il popolo non riesce a immaginare nulla di più se non il permesso dell'autorità per sentirsi in grado di concepire un significato per la propria esistenza che si ridurrà all'esercizio di una violenza assurda, apparentemente liberatoria ma che intrinsecamente è il suggello della propria condizione alienata di schiavi senza redenzione.
Se fosse veramente così sarebbe interessante perché in sostanza si tratterebbe della rivelazione del misterioso contenuto della valigetta che non viene mai mostrato in "Pulp Fiction".
Bravo Tarantino ma si è fermato a un passo dal dire ciò che davvero andrebbe detto e forse è questo il motivo del profluvio di sangue e vomito che in sostanza serve a nascondere il timore di compiere l'ultimo passo verso la verità.
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stefano capasso
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lunedì 1 febbraio 2016
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intrattenimento di altissima qualità di un maestro
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Un cacciatore di taglie sta portando la sua prigioniera a Red Rock per consegnarla alla giustizia. Durante il viaggio incontra due uomini bloccati dalla tormenta di neve e con loro trova rifugio presso una locanda dove ci saranno altri uomini che li attendono per liberare la prigioniera.
Un soggetto semplice che racconta tutto il film. Questa è la grandezza di Quentin Tarantino cha sviluppa su una storia che si riassume ini poche righe un racconto avvincente raccontandolo con la maestria e la cura nei dettagli che gli conosciamo. Il risultato è un film di grande intrattenimento, intelligente e di grande qualità, grazie anche alla colonna sonora di Ennio Moricone.
Tarantino conosce alla perfezione le regole del cinema; le usa, rivedendole, a suo piacimento e gioca con la sceneggiatura per ricreare in modo sapiente una storia allo stesso tempo improbabile e assolutamente convincente, compiendo in pieno quella che è la magia del cinema.
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Un cacciatore di taglie sta portando la sua prigioniera a Red Rock per consegnarla alla giustizia. Durante il viaggio incontra due uomini bloccati dalla tormenta di neve e con loro trova rifugio presso una locanda dove ci saranno altri uomini che li attendono per liberare la prigioniera.
Un soggetto semplice che racconta tutto il film. Questa è la grandezza di Quentin Tarantino cha sviluppa su una storia che si riassume ini poche righe un racconto avvincente raccontandolo con la maestria e la cura nei dettagli che gli conosciamo. Il risultato è un film di grande intrattenimento, intelligente e di grande qualità, grazie anche alla colonna sonora di Ennio Moricone.
Tarantino conosce alla perfezione le regole del cinema; le usa, rivedendole, a suo piacimento e gioca con la sceneggiatura per ricreare in modo sapiente una storia allo stesso tempo improbabile e assolutamente convincente, compiendo in pieno quella che è la magia del cinema.
Ricorre, tra gli altri, il tema razziale; il percorso della difficile integrazione tra bianchi e neri che seppure a buon punto non è del tutto completato.
Ho visto il film in anteprima presso lo Studio 5 di Cinecittà dove rimarrà fino a fine Febbraio. Lo studio è allestito come sala cinematografica per apprezzare al meglio il film girato in 70mm, un formato speciale.
Lo schermo sterminato e un audio potentissimo rendono la proiezione ancora più coinvolgente. Inoltre è allestita fuori la sala, la ricostruzione della casa innevata del Wyoming dove si svolgono i fatti.
Ed è la versione estesa che non sarà quella proiettata ai cinema. Ultima chicca, l’intervallo di 15 minuti tra primo e secondo tempo come si usava un tempo
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catcarlo
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giovedì 11 febbraio 2016
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the h8ful 8
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Anche se è citazionista fin dal titolo (8½ di Fellini), il nuovo film di Quentin Tarantino va guardato – come del resto i suoi predecessori – per sè così da poter apprezzare appieno la capacità del regista di saper integrare gli spunti altrui nella propria visione cinematografica. Se la consistenza di quest’ultima fosse di poco valore, il patchwork di ispirazioni finirebbe per risolversi in uno sconclusionato accumulo invece di riuscire a tenere sulla corda lo spettatore per tre ore malgrado l’impianto quasi teatrale in cui le chiacchiere sono per lungo tratto più importanti dell’azione. Come nel lavoro precedente, il cineasta di Knoxville parte dal western e poi divaga: là c’erano la blaxploitation e il melodramma sudista, qui se l’ispirazione prende le mosse dal cinema horror ben presto ci si sposta nei territori del giallo e del noir in cui si dipana la mortale partita a scacchi (o, visti il tempo e i luoghi, a poker) tra i protagonisti.
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Anche se è citazionista fin dal titolo (8½ di Fellini), il nuovo film di Quentin Tarantino va guardato – come del resto i suoi predecessori – per sè così da poter apprezzare appieno la capacità del regista di saper integrare gli spunti altrui nella propria visione cinematografica. Se la consistenza di quest’ultima fosse di poco valore, il patchwork di ispirazioni finirebbe per risolversi in uno sconclusionato accumulo invece di riuscire a tenere sulla corda lo spettatore per tre ore malgrado l’impianto quasi teatrale in cui le chiacchiere sono per lungo tratto più importanti dell’azione. Come nel lavoro precedente, il cineasta di Knoxville parte dal western e poi divaga: là c’erano la blaxploitation e il melodramma sudista, qui se l’ispirazione prende le mosse dal cinema horror ben presto ci si sposta nei territori del giallo e del noir in cui si dipana la mortale partita a scacchi (o, visti il tempo e i luoghi, a poker) tra i protagonisti. Lo stesso autore ha indicato ne ‘La cosa’ (da cui Morricone recupera un brano per una colonna sonora bella ma non invadente) l’influenza principale e certo c’è molto dei temi cari a Carpenter in un gruppo di persone che non si fidano l’una dell’altra costrette a convivere per una minaccia esterna in uno spazio ristretto, ma la sceneggiatura, oltre a richiamare l’abusato ‘Dieci piccoli indiani’ (di cui riprende – attenzione, spoiler! – alla lettera il titolo originale), mostra tratti che sarebbero piaciuti all’Hitchcock più claustrofobico, magari dalle parti di ‘Nodo alla gola’. Al maestro inglese strizza l’occhio inoltre la narrazione di Tarantino medesimo con la voce sopra, specie nella sequenza del caffè che ha funzione di contrappunto a uno dei momenti di più alta tensione, ovvero il riconoscibilissimo marchio di fabbrica tarantiniano che fa seguire uno scoppio di selvaggia violenza a una lunghissima tirata in crescendo pronunciata da Samuel L. Jackson. Mentre la struttura a capitoli non si può dire una novità, sebbene in questo caso siano delimitati da didascalie laddove altrove era presente una scansione più che altro logica, colpisce che nessuno ci lasci la pelle per novanta minuti più recupero, periodo impiegato ad accumulare un’ostilità pressoché palpabile che si scatena nella seconda metà del film in cui le ragioni e i torti si incrociano e si accavallano perché tutti hanno un segreto da nascondere. Siccome però, al dilà delle divagazioni, sempre di un western si tratta, l’inizio è dedicato a una diligenza che avanza nella coltre bianca che ricopre il Colorado (i panorami sono mozzafiato): il cacciatore di taglie John Ruth (Kurt Russell) sta scortando alla forca Daisy (Jennifer Jason Leigh), ma per strada è costretto a raccattare il collega Warren (Jackson) e il sedicente sceriffo Mannix (Walton Goggins). Il maltempo li costringe a riparare in un trading post dove si sono rifugiati altri quattro figuri, tra i quali l’ex generale sudista Smithers (Bruce Dern) e un sussiegoso ometto che si dice di professione boia (Tim Roth evidenzia il richiamo al clima paranoico de ‘Le iene’). La circostanza che a gestire la locanda non sia la consueta padrona, ma il messicano Bob (Demian Bichir), fa nascere qualche dubbio a Warren, ma è una scelta obbligata adattarsi a trascorrere assieme una notte assai movimentata. L’intera vicenda si svolge infatti nel giro di ventiquattr’ore, incluso l’ampio flashback che occupa il quarto segmento consentendo di allacciare un po’ di fili; presenza un po’ ingombrante, ma capace di lasciare il fiato sospeso pur sapendo ciò che sta per accadere, oltre a regalare al bel faccino di Channing Tatum un ruolo di efferato sadismo. Se il racconto funziona, il merito va condiviso con le immagini che lo illustrano, grazie alla fotografia di Bob Richardson e al montaggio di Fred Raskin: se i bianchi esterni affascinano a partire dall’innevato crocifisso d’apertura, l’ambientazione in un’unica, grande stanza è realizzata con un utilizzo davvero ammirevole degli spazi e delle inquadrature – peccato solo che le riprese siano state effettuate in 70mm e nelle sale normali qualcosa vada perso. Alla parte visiva si possono ascrivere i migliori fra gli spunti dell’abituale umorismo più o meno urticante, dal capitombolo nella neve di Ruth e Warren al punching-ball in cui il bounty killer trasforma il viso della sua prigioniera, dalla porta senza chiavistello al cesso lontano nella tormenta, mentre un discorso particolare merita la lettera di Lincoln. In aggiunta al costituire il filo rosso che percorre la trama, la missiva sottolinea di nuovo il critico punto di vista del regista sulla storia del suo Paese, in cui ha notevole rilievo la questione del razzismo: la stolida rozzezza mentale dell’uomo bianco, specie dei sudisti Mannix e Smithers, rende quasi sopportabile la vendetta di Warren sul figlio di quest’ultimo, episodio di pura ferocia al netto dello humour nero che ne caratterizza lo svolgimento. Alle prese con personaggi dotati di un variegato livello di sgradevolezza, gli attori brillano per convinzione e affiatamento, sia tra i fedelissimi sia tra i nuovi arrivati: se Jackson domina la scena con il consueto tocco di gigioneria (per la prima volta ha il nome più alto in cartellone), va sottolineata almeno la prova di Jennifer Jason Leigh costretta a imbruttirsi nei panni di un personaggio che si va definendo nella sua centralità con il procedere della storia.
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il critico 89
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sabato 13 febbraio 2016
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originale mix tra teatro e splatter
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Anche stavolta come quasi in tutti i suoi film Tarantino stupisce e se l'originalità del film western poteva venire meno dopo il bellissimo Django (forse il suo miglior film) in The Hateful Eight è solo il periodo storico ad essere lo stesso perchè il film è completamente diverso.
Il film si divide praticamente in 2 metà:la prima parte del film è fatta tutta da dialoghi in cui conosciamo i personaggi,la seconda è sangue (tanto sangue) e proiettili ed assistiamo al colpo di scena.
La recitazione è ottima e nonostante qualcuno abbiamo criticato la prima parte del film perchè troppo noiosa e lenta devo dire invece che a mio parere è la parte che mi è piaciuta di più,un mix tra frasi crude,citazioni e momenti esilaranti.
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Anche stavolta come quasi in tutti i suoi film Tarantino stupisce e se l'originalità del film western poteva venire meno dopo il bellissimo Django (forse il suo miglior film) in The Hateful Eight è solo il periodo storico ad essere lo stesso perchè il film è completamente diverso.
Il film si divide praticamente in 2 metà:la prima parte del film è fatta tutta da dialoghi in cui conosciamo i personaggi,la seconda è sangue (tanto sangue) e proiettili ed assistiamo al colpo di scena.
La recitazione è ottima e nonostante qualcuno abbiamo criticato la prima parte del film perchè troppo noiosa e lenta devo dire invece che a mio parere è la parte che mi è piaciuta di più,un mix tra frasi crude,citazioni e momenti esilaranti.
Le quasi 3 ore di film sono volate.
Probabilmente non il miglior film di Tarantino ma sicuramente un altro suo grande film,da vedere.
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vautrin
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domenica 14 febbraio 2016
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otto motivi per non vedere the hateful eight
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Otto dannati motivi per non vedere The Hateful Eight:
1) Dura troppo ed è quasi completamente ambientato in un emporio, cosa che non giustifica l’uso dei 70 millimetri.
2) Pieno di deja vue. Tarantino continua a saccheggiato sceneggiature, inquadrature, idee dai grandi del passato e ora arriva a pescare nella sua filmografia e quello che ne esce è una brutta parodia del suo stile.
3) Vuole essere un film antirazzista ma così non è. C'è del razzismo e del moralismo nella scelta di Tarantino di far perdere al maggiore i suoi "gioielli di famiglia".
4) Violenza fine a se stessa e stragi inutili che non hanno ragione d'essere. Ci si chiede, perché? Era necessario o era solo perché a Tarantino avanzava un po' di vernice rossa? Al film le scene pulp non aggiungono nulla, sono posticce e neanche originali.
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Otto dannati motivi per non vedere The Hateful Eight:
1) Dura troppo ed è quasi completamente ambientato in un emporio, cosa che non giustifica l’uso dei 70 millimetri.
2) Pieno di deja vue. Tarantino continua a saccheggiato sceneggiature, inquadrature, idee dai grandi del passato e ora arriva a pescare nella sua filmografia e quello che ne esce è una brutta parodia del suo stile.
3) Vuole essere un film antirazzista ma così non è. C'è del razzismo e del moralismo nella scelta di Tarantino di far perdere al maggiore i suoi "gioielli di famiglia".
4) Violenza fine a se stessa e stragi inutili che non hanno ragione d'essere. Ci si chiede, perché? Era necessario o era solo perché a Tarantino avanzava un po' di vernice rossa? Al film le scene pulp non aggiungono nulla, sono posticce e neanche originali. Se vuole continuamente ribadire che l'essere umano è peggio di una bestia gli manca solo di far schizzare il cervello di qualche infante sulla faccia della madre. Non c'è ironia a stemperare le scene splatter, sembra di vedere un film orror di serie B.
5) Dialoghi lunghi a volte nonsense ma senza spessore. Il carattere dei personaggi non viene approfondito. Non c'è suspense non ci si immedesima, non si partecipa alle vicende dei personaggi. Un film per essere definito bello o capolavoro ti deve rimanere in testa, ti devono rimanere in testa le immagini, le idee. A me ha lasciato solo un mal di testa è l'immagine della condannata a morte sdentata che si pulisce la faccia imbrattata del cervello del fratello.
6) Film ridondante. Scene come quella della porta inchiodata, ripetute alla nausea e senza nessun motivo irritano e distraggono e costringono lo spettatore a chiedersi: cosa avrà voluto dire Tarantino, quale messaggio nascosto, quale metafora si nasconda dietro quella scena? Nessun messaggio recondito... è solo un trucco per nascondere il vuoto assoluto, per dare originalità ad un opera che originale non è.
7) Neanche la colonna sonora di Morricone, che pure ha vinto il Golden Globe, salva il film. Per me Morricone ha composto colonne sonore ben più ispirate e imperiture.
8) Non è un film western, ci sono le pistole, le diligenze, lo sceriffo, i fuorilegge i cacciatori di taglie, manca l'indiano, è vero, ma non è questo il motivo per cui il film non può rientrare nel filone western. Manca il pathos dei film western, e l'aver voluto mischiare i generi e saccheggiato le opere di Alfred Hitchcock, Agatha Christie, John Carpenter, Brian De Palma,Andrè De Toth e Sergio Corbucci non gli è stato di grande aiuto.
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mirko l
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lunedì 28 dicembre 2015
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passa il natale con qualcuno che odi
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Qualche commento sul film che fortunatamente ho visto in originale
Film non leggerissimo per il fatto che dura circa 2 ore e 50 minuti e come sempre è molto crudo e crudele, per circa un ora e mezza succede poco niente di azione ma sono quasi tutti dialoghi che il tutto serve per preparare il terreno dei 7 personaggi, comunque i dialoghi non annoiano e sono molto grezzi, diretti e graffianti.
In un film del genere dove presenta molti dialoghi la recitazione degli attori è fondamentale e devo dire che qui la scelta del cast è stata ottima e hanno recitato benissimo, mi sono piaciuti anche se quello che mi ha convinto meno è stato Channing Tatum.
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Qualche commento sul film che fortunatamente ho visto in originale
Film non leggerissimo per il fatto che dura circa 2 ore e 50 minuti e come sempre è molto crudo e crudele, per circa un ora e mezza succede poco niente di azione ma sono quasi tutti dialoghi che il tutto serve per preparare il terreno dei 7 personaggi, comunque i dialoghi non annoiano e sono molto grezzi, diretti e graffianti.
In un film del genere dove presenta molti dialoghi la recitazione degli attori è fondamentale e devo dire che qui la scelta del cast è stata ottima e hanno recitato benissimo, mi sono piaciuti anche se quello che mi ha convinto meno è stato Channing Tatum.
Il film cambia direzione narrativa diventando più avvincente dopo l’ora e mezza quando c’è un colpo di scena (non che prima non ce ne siano stati), bello anche il fatto che il film torna indietro di qualche minuto con il narratore che rispiega la sequenza da un’altro punto di vista (passaggio chiave).
Come sempre il film viene diviso in capitoli, musiche perfette (Morricone), fotografia bellissima (girato in 70mm) e su questo Tarantino non delude mai, trama come sempre intrecciata con un finale col botto.
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robert eroica
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domenica 7 febbraio 2016
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bugiardi, bastardi e assassini: il teatro splatter
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Il film di un adolescente. Che vorrebbe riscrivere la Storia attraverso duelli verbali, rivincite razziali e compiaciute esplosioni di violenza. “The Hateful Eight”, ottava opera di Quentin Tarantino (ma c’è anche l’episodio di “Four Rooms” a dover essere inserito nel conteggio) è tutto qui. 167 minuti in cui un gruppo di passeggeri di una diligenza diretta nel villaggio di Red Rock fa tappa forzata, causa una tempesta di neve, nella locanda di una certa Millie (che pero’ non si trova). Tra di loro c’è anche una pericolosa fuorilegge, Daisy Domergue che sta per essere accompagnata alla forca da un cacciatore di taglie (Kurt Russel) detto “il Boia”. Ma i personaggi non sono quello che sembrano e ad un certo punto, nel west, si sa, occorre giocare a carte scoperte.
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Il film di un adolescente. Che vorrebbe riscrivere la Storia attraverso duelli verbali, rivincite razziali e compiaciute esplosioni di violenza. “The Hateful Eight”, ottava opera di Quentin Tarantino (ma c’è anche l’episodio di “Four Rooms” a dover essere inserito nel conteggio) è tutto qui. 167 minuti in cui un gruppo di passeggeri di una diligenza diretta nel villaggio di Red Rock fa tappa forzata, causa una tempesta di neve, nella locanda di una certa Millie (che pero’ non si trova). Tra di loro c’è anche una pericolosa fuorilegge, Daisy Domergue che sta per essere accompagnata alla forca da un cacciatore di taglie (Kurt Russel) detto “il Boia”. Ma i personaggi non sono quello che sembrano e ad un certo punto, nel west, si sa, occorre giocare a carte scoperte. Come il “colored” maggiore Warren (Samuel L. Jackson), al tempo in causa contro i sudisti nella guerra di Secessione, ora mezzo ricercato e mezzo tagliagole, che non si pone scrupoli nel dichiarare il proprio odio per l’uomo bianco. Se nella prima parte la sceneggiatura regge con un inizio che contempla ancora gli spazi aperti e innevati e un proseguio che pur scontando una certa teatralità mantiene una buona suspense, il film deflagra in maniera paurosa quando per alzare la tensione si ricorre alla solita ridda di teste esplose, stomaci dilaniati, arti mozzati. Con il consueto sadismo che connota le rivendicazioni di un regista che rimarrà un eterno immaturo, pronto a scambiare i gangli complessi e ambigui della storia come una barzelletta di cui si può rovesciare il senso o come un cartoon che risolve tutto schiacciando un masso sulla testa del Willy Coyote di turno. La violenza ormai non è più abrasiva (ma lo è forse mai stata in Tarantino ?) e oltrepassa il ridicolo. Trenta anni fa, in questo senso un regista come il Sam Raimi de “La casa” era molto più avanzato di lui. E comunque, anche quando sembra “tenere”, “The Hateful Eight” a noi ha ricordato un vecchio western di Lucio Fulci (idolo di Quentin) del 1975, “I Quattro dell’Apocalisse” dagli strani tempi dilatati, sadico ed efferato il giusto, ma senza derive verso l’humor macabro. Con Tarantino si torna sempre a quel genere dell’italico cinema: la maschera di sangue di Jennifer Jason Leight (l’unica presenza davvero straordinaria) è roba da Ruggero Deodato e Umberto Lenzi, altro che citazioni da Sam Peckinpah o Michael Cimino. E infine Morricone: gli toccherà fare come Paul Newman ne “Il colore dei soldi”: vincere l’Oscar per la sua performance meno memorabile. VOTO: 4
Robert Eroica
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(di francescav)
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dinoroar
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lunedì 8 febbraio 2016
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senza lode ne' infamia
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Forse ci si aspetta sempre troppo o forse abbiamo visto già molto, per stupirsi ogni volta e questo film ha veramente molte facce per poter esprimere un giudizio univoco.
I dialoghi molto, troppo lunghi (ben lontani dalla potenza dei sermoni di Pulp Fiction) che nella prima metà del film, profilano la storia, sono a tratti soporiferi e troppo scontati. Si indugia su pause e luoghi comuni che non aiutano certo a creare e sostenere quella tensione che ci si aspetta dal regista. Si passano interminabili minuti sospesi nel nulla. Meno male che la fotografia e le scene sono di altissimo livello.
Tutte composte accuratamente, Non c'è un angolo dell'immenso angolo di ripresa dove non si svolga un'azione.
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Forse ci si aspetta sempre troppo o forse abbiamo visto già molto, per stupirsi ogni volta e questo film ha veramente molte facce per poter esprimere un giudizio univoco.
I dialoghi molto, troppo lunghi (ben lontani dalla potenza dei sermoni di Pulp Fiction) che nella prima metà del film, profilano la storia, sono a tratti soporiferi e troppo scontati. Si indugia su pause e luoghi comuni che non aiutano certo a creare e sostenere quella tensione che ci si aspetta dal regista. Si passano interminabili minuti sospesi nel nulla. Meno male che la fotografia e le scene sono di altissimo livello.
Tutte composte accuratamente, Non c'è un angolo dell'immenso angolo di ripresa dove non si svolga un'azione. Se le scene in esterna sono di per se suggestive visto il paesaggio bellissimo, gli interni sono gestiti realmente con maestria. Se distogliete lo sguardo dal soggetto principale ci sarà sempre nella penombra del secondo piano un movimento di sottofondo funzionale all'atmosfera. Il cast non ha bisogno di commenti e tutti (quasi) assolvono egregiamente il loro compito. Ma, si ha l’impressione di déjà-vu, di un “Invito a cena con delitto” in chiave western, dove buoni e cattivi si scambiano continuamente il ruolo e se all’inizio parteggi per la povera prigioniera maltrattata, poi finirai per pensarla completamente all’opposto, così come per buona parte dei personaggi … detestabili appunto … Anche le musiche del Maestro Morricone, sono troppo preannunciate e date per vincenti, per poi rivelarsi ben al di sotto di suoi capolavori di altri tempi. Avevo letto che questo è il film più politico di Tarantino, ma onestamente l’ho trovato un filo debole ed autoreferenziale e se Django era stato realmente un pugno allo stomaco nel riportare a galla un’America tutt’oggi razzista e violenta, questo non mi è sembrato all’altezza delle aspettative.
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