g.m.87
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domenica 10 gennaio 2016
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troppo tecnico
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Ho appena visto questo film al cinema e devo dire che, come si capisce già dal titolo del mio commento, l'ho trovato veramente troppo tecnico. Usano un linguaggio che solo chi sa qualcosa di economia capisce. Per mia fortuna sono andata a vederlo con un'amico che su questo argomento ci ha scritto la tesi di laurea e che, alla fine del film, mi ha spiegato in altre parole un pò più chiare e semplici tutti i meccanismi di questo sistema. Ma se non sai niente di economia, non capirai niente. Ma nonostante questo grosso disagio, devo dire che non mi ha annoiata per niente (sarò che mi arrovellavo il cervello per saltarci fuori e capire qualcosa).
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andreamontinaro
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martedì 19 gennaio 2016
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non solo un manuale di economia, anzi...
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Era compito arduo analizzare la crisi economica esplosa nel 2008 negli Stati Uniti. Ancora più arduo spiegare e far capire le varie sfumature della stessa e le 'macchiette' delle potenti banche americane sul mercato immobiliare a milioni di spettatori. Missione ben riuscita dal regista Adam McKay, che con ''La Grande Scommessa'' ha saputo rendere possibile 'l'impossibile'. Questo non è assolutamente il tipico film che colpisce per trama, fotografia o effetti speciali, anzi è tutt'altro. Lo considero un film per 'la società', La scelta di presentarlo quasi come un documentario, attraverso specifiche scelte e inquadrature è azzeccata, conferendogli quell'alone di vericidità che è fondamentale per un film del genere.
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Era compito arduo analizzare la crisi economica esplosa nel 2008 negli Stati Uniti. Ancora più arduo spiegare e far capire le varie sfumature della stessa e le 'macchiette' delle potenti banche americane sul mercato immobiliare a milioni di spettatori. Missione ben riuscita dal regista Adam McKay, che con ''La Grande Scommessa'' ha saputo rendere possibile 'l'impossibile'. Questo non è assolutamente il tipico film che colpisce per trama, fotografia o effetti speciali, anzi è tutt'altro. Lo considero un film per 'la società', La scelta di presentarlo quasi come un documentario, attraverso specifiche scelte e inquadrature è azzeccata, conferendogli quell'alone di vericidità che è fondamentale per un film del genere. A primo impatto il film sembra proibitivo e ristretto a una piccola cerchia di persone, ma quei termini tecnici del campo economico, quei concetti e i complessi movimenti bancari vengono successivamente spiegati come si spiegherebbe una lezione di scienze a dei bambini: parole semplici e 'illustrazioni'. Questa è stata una delle strategie vincenti del film, ma non l'unica. Non ci sono solo oggettività e numeri in questo film: certo, la crisi del mercato immobiliare è in primo piano e per la prima volta viene analizzata con la lente di ingrandimento (cosa che può rendere il film anche 'scomodo'?) , ma McKay ha voluto far vedere anche i danni, i risvolti e le conseguenze, non solo della crisi, che il mondo capitalistico ha su uomini che vivono per questo mondo. Qui c'è il distacco con quello che sarebbe stato un banale e noioso documentario. La 'scommessa' fa venire fuori il vero essere di questi uomini che vivono per i soldi, il cui motto è 'far soldi per far soldi'. La domanda vedendo il film sorge spontanea:'Ma dove sono questi soldi?'. Credo che il regista abbia avuto l'obiettivo di far rendere conto lo spettatore dell'astratezza del mondo finanziaro, un mondo virtuale nel quale non c'è moneta materiale, ci sono solo numeri su numeri e il capitalismo da valore a questi numeri. Questo film è la storia di uomini che vivono in alienazione controllando numeri, solo numeri, davanti a uno schermo, lasciando alle spalle emozioni, sentimenti, la stessa essenza della vita. Un grande cast, Christian Bale (straordinario), uno Steve Carell che non ti aspetti, Ryan Gosling e Brad Pitt, contribuiscono a rendere una perfetta idea di tutto ciò e di una società che sta diventando fin troppo 'virtuale'. ''State scommettendo contro i gli Stati Uniti d'America e i suoi cittadini. Non c'è niente da festeggiare'' - Questa la frase pronunciata da Ben Rickert (Brad Pitt), forse l'unico che può incarnare il simbolo del rifiuto del mondo capitalistico dove l'uomo, il cittadino passa in secondo piano rispetto al dio denaro. Film da vedere. Voto:8,5
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tumau
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venerdì 29 gennaio 2016
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una scommessa , in parte persa
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Una scommessa, il film, che dal punto di vista dell'incasso sicuramente sarà vinta, ma non dal punto di vista della denuncia di un sistema corrotto e predatorio che credo fosse negli obiettivi del regista. Un occasione mancata per illuminare la gente comune sul devasto creato dai sistemi finanziari che hanno portato alla crisi attuale mondiale. Un vero peccato che la regia abbia scelto la strada del ritmo forsennato ( cosa ormai, purtroppo, frequente ) rinunciando ad un minimo di spiegazioni dal punto di vista, appunto finanziario. Spiritosa l'idea di far spiegare da personaggi famosi estrapolati dal contesto di fiction (avrebbe meritato più ampio uso) certe alchimie truffaldine del mondo della finanza.
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Una scommessa, il film, che dal punto di vista dell'incasso sicuramente sarà vinta, ma non dal punto di vista della denuncia di un sistema corrotto e predatorio che credo fosse negli obiettivi del regista. Un occasione mancata per illuminare la gente comune sul devasto creato dai sistemi finanziari che hanno portato alla crisi attuale mondiale. Un vero peccato che la regia abbia scelto la strada del ritmo forsennato ( cosa ormai, purtroppo, frequente ) rinunciando ad un minimo di spiegazioni dal punto di vista, appunto finanziario. Spiritosa l'idea di far spiegare da personaggi famosi estrapolati dal contesto di fiction (avrebbe meritato più ampio uso) certe alchimie truffaldine del mondo della finanza. Insomma le idee c'erano tutte ma non credo che siano oltre una percentuale misurabile in pochi punti percentuali coloro che , avendo visto il film, abbiano capito di cosa si trattasse di cosa sia veramente successo e perché. Cds cdo swap termini buttati lì, come la violenza ed il sangue in un film di Tarantino, non servono ad altro se non a suscitare una generica sensazione di estraneità, di esclusione e riprovazione, ma appunto generica senza cambiare nulla, direi anzi, creando condizioni affinché si riproduca. ( “è tutto un casino, non capisco niente per cui rinuncio” ) Un ritmo da film di azione che mescola accadimenti che avrebbero meritato una migliore spiegazione con inutili momenti di puro spettacolo ansiogeno ( S. Carrell sempre al telefono in modo compulsivo ) oppure per strizzare l'occhio allo spettatore ( che dire altrimenti dell'intervista alla spogliarellista ) . Ottima interpretazione di C. Bale cosi come quella di R. Goslin, ma quello che manca è proprio un più serio approfondimento nel racconto e nell'analisi (anche io, che di finanza ho la passione, ho fatto fatica a governare quel turbinio di termini a raffica ), figuriamoci chi non ne è avvezzo. Ed allora perché perdere un occasione d'oro per spiegarlo ? Ma, nonostante ciò, ben vengano film con cast che attraggono; film che denuncino l'ingordigia di chi ha come traguardo solo la ricchezza predatoria. Un ingordigia che possiede anche i “nostri “ protagonisti sia ben inteso. Ma c'è speranza nel futuro ? Sembra di no, guardando tutti i personaggi.
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jacopo b98
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sabato 6 febbraio 2016
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un non-film interessante, che difetta di pathos.
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2005. Michael Burry (Bale), manager di un fondo investimenti, si rende conto che il mercato immobiliare americano è molto meno stabile di quel che sembra ed è destinato a crollare entro pochi anni. Un impiegato (Gosling) della Deutsche Bank viene a sapere delle previsioni di Burry, indaga e ne comprende la veridicità. L’uomo allerta allora il trader Mark Baum (Carell) riguardo a quello che sta per succedere e lo convince ad unirsi a lui nella scommessa sul crollo del mercato immobiliare. Basandosi sul romanzo di Michael Lewis (Moneyball), McKay e il suo co-sceneggiatore Charles Randolph hanno messo in scena in maniera dettagliata gli eventi che portarono alla terribile crisi del 2008.
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2005. Michael Burry (Bale), manager di un fondo investimenti, si rende conto che il mercato immobiliare americano è molto meno stabile di quel che sembra ed è destinato a crollare entro pochi anni. Un impiegato (Gosling) della Deutsche Bank viene a sapere delle previsioni di Burry, indaga e ne comprende la veridicità. L’uomo allerta allora il trader Mark Baum (Carell) riguardo a quello che sta per succedere e lo convince ad unirsi a lui nella scommessa sul crollo del mercato immobiliare. Basandosi sul romanzo di Michael Lewis (Moneyball), McKay e il suo co-sceneggiatore Charles Randolph hanno messo in scena in maniera dettagliata gli eventi che portarono alla terribile crisi del 2008. Il film è pieno di invenzioni registiche ed è interpretato molto bene, ma ha il suo indubbio punto debole nella sceneggiatura: McKay sceglie di spiegare il tutto tramite fluviali dialoghi di natura economica, di indubbia attendibilità, ma di ben poca comprensibilità. Non che il film non si segua, ma alla lunga i dialoghi macchinosi, gli strambi esempi che vengono sfruttati per la spiegazione e questo marasma dialogico finisce per annoiare. Anche perché guardare La grande scommessa equivale più o meno a leggere una pagina di Wikipedia che talvolta riesce a strappare qualche sorriso. Il problema essenziale del film è il suo essere non-cinematografico: è documentaristico, preciso, puntiglioso (troppo), ma difetta di senso cinematografico, di pathos, di emozione (quell’emozione che pervadeva ad esempio Margin Call, il capolavoro di J.C. Chandor, in cui il crollo della borsa diventava tragedia umana). Qui ci sono solo parole, numeri, e ancora parole e numeri e lo spettatore, pur comprendendo il senso della vicenda, finisce per essere travolto e conseguentemente annoiato. E non bastano i siparietti (peraltro geniali) in cui Selena Gomez, Margot Robbie e Anthony Bourdain spiegano complessi concetti economici per rendere La grande scommessa appetibile o riuscito. Inoltre i personaggi non sono minimamente approfonditi: sono macchine che producono fluviali dialoghi incomprensibili anche allo spettatore più ben disposto, mancano di tridimensionalità e, se si esclude forse il personaggio di Baum (interpretato da uno Steve Carell in stato di grazia, senza dubbio il migliore tra i pur bravi interpreti), sono sostanzialmente personaggi inesistenti e piatti: il Michael Burry di Bale sfiora quasi la macchietta, sempre chiuso in ufficio a effettuare complesse operazioni economiche, immerso nella musica rock più dura. Non mancano le sequenze riuscite: i già citati siparietti, la partenza delle automobili da Las Vegas, ecc., ma La grande scommessa rimane un film superficialmente interessante, specie a livello puramente storico e teorico, ma assolutamente inesistente dal punto di vista cinematografico. Sicuramente è stata una scelta ponderata, ma purtroppo ci troviamo a non condividerla assolutamente. Una delusione inaspettata. Incomprensibili le molte nomination agli Oscar e, se si voleva nominare uno degli attori, toccava senza dubbio a Carell e non a Bale. VOTO 5½
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xerox
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giovedì 21 gennaio 2016
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avidità fa rima con stupidità...
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Veramente bello, questo The Big Short. Ormai il catalogo di films che trattano le crisi o meglio il funzionamento del più avanzato "turbocapitalismo" del mondo, quello americano, è più che nutrito: valga per tutti Wall Street con Douglas... The Big Short ci fa capire molto meglio di tanti altri films perchè prima o poi il turbocapitalismo americano, e noi appresso, andrà a sbattere su un solidissimo muro. E' solo questione di tempo... Questo capitalismo andrà a sbattere per il semplicissimo motivo che non ha nessuna regola... Non avere nessuna regola significa che gli uomini operano secondo natura, cioè mors tua, vita mea... Il mercato, ricordate: "Lo vuole il mercato!!!". La storia del capitalismo, dal '29 ad oggi, è la storia dell'avidità umana.
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Veramente bello, questo The Big Short. Ormai il catalogo di films che trattano le crisi o meglio il funzionamento del più avanzato "turbocapitalismo" del mondo, quello americano, è più che nutrito: valga per tutti Wall Street con Douglas... The Big Short ci fa capire molto meglio di tanti altri films perchè prima o poi il turbocapitalismo americano, e noi appresso, andrà a sbattere su un solidissimo muro. E' solo questione di tempo... Questo capitalismo andrà a sbattere per il semplicissimo motivo che non ha nessuna regola... Non avere nessuna regola significa che gli uomini operano secondo natura, cioè mors tua, vita mea... Il mercato, ricordate: "Lo vuole il mercato!!!". La storia del capitalismo, dal '29 ad oggi, è la storia dell'avidità umana. Uomini che in tutti i modi cercano di fottere (perdonatemi il termine, ma quando ce vò ce vò) altri uomini. E non gli basta mai: hanno 10 e vogliono 100, 1000 e vogliono un milione... Mi pare che nel nostro piccolo, in Italia ultimamente abbiamo avuto l'esempio di un uomo così... E' questa avidità infinita che porterà il capitalismo alla sua implosione. Fino a quando le masse umane decideranno di sopportare un sistema economico che ha al vertice un centinaio di persone che possiede più di tutto il resto dell'umanità messa insieme? Nota del film: ma avete notato come tutte queste persone che lavorano con i soldi SIANO INFELICI? Come dormono nei pavimenti in mezzo ai rifiuti, ma con gli immancabili monitors accesi 24/h al giorno? Sempre col fuoco sotto il sedere nella paura di perdere i loro ADORABILI SOLDI? E penso che la forza, la qualità del film consista nel fatto che non ci sia (forse Bale come eccezione) una star... Una storia veramente ed ottimamente corale.
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leonard moonlight
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sabato 9 gennaio 2016
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la grande scommessa? vinta!!!
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Ho dato 5 stelle a questo film, non perchè sia un capolavoro, (anzi tutt'altro), ma perchè lo considero un film che nel bene e nel male va visto.
Mentre 'The Wolf Of Wall Street' voleva mettere in luce gli eccessi e gli aspetti poco etici del mondo della finanza ma da un punto di vista prettamente cinematografico e umano, senza cercare di spiegare come funziona realmente il mondo degli affari ma volendo solo suscitare emozioni forti e spettacolarizzarle mostrando i deliri di onnipotenza dei personaggi, e Inside Job cerca di spiegare il crollo di Wall Street del 2008 con interviste e spiegazioni focalizzandosi sui temi e la connivenza di un certo sistema istituzionale-bancario, questo film si pone a metà tra i due cioè tra il documentario e la commedia nera.
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Ho dato 5 stelle a questo film, non perchè sia un capolavoro, (anzi tutt'altro), ma perchè lo considero un film che nel bene e nel male va visto.
Mentre 'The Wolf Of Wall Street' voleva mettere in luce gli eccessi e gli aspetti poco etici del mondo della finanza ma da un punto di vista prettamente cinematografico e umano, senza cercare di spiegare come funziona realmente il mondo degli affari ma volendo solo suscitare emozioni forti e spettacolarizzarle mostrando i deliri di onnipotenza dei personaggi, e Inside Job cerca di spiegare il crollo di Wall Street del 2008 con interviste e spiegazioni focalizzandosi sui temi e la connivenza di un certo sistema istituzionale-bancario, questo film si pone a metà tra i due cioè tra il documentario e la commedia nera.
Si percepisce durante il film è che il regista sia un comico, e le battute e l'utilizzo dell'umorismo contribuisce sicuramente a rendere il film più accessibile.
Vorrei fare alcune critiche al film per sottolineare pecche che possono essere evidenti, ma che secondo me non influiscono sul valore complessivo del film, che è comunque interessante e godibile.
Le parti criticabili del film possono essere:
- Non sempre impeccabile il montaggio, e le scelte delle inquadrature e dei primi piani che sicuramente potevano essere migliori.
- Dovrebbero esserci dei problemi di traduzione delle frasi, per esempio la citazione iniziale del film, precisamente quella di Mark Twain, per come è stata tradotta nel film, è priva di senso.
- La sceneggiatura ha un andamento altalenante, dove discorsi efficaci e dialoghi ben scritti si alternano a vecchie battute e gag davvero banali e già viste.
- Dialoghi a volte un pò troppo complessi, per chi non ha già alcune conoscenze di base sui fatti della crisi del 2007-2008.
- La visione politica degli autori viene fuori e questo può essere poco apprezzato da alcuni. Personalmente apprezzo quando un autore si espone.
Ma se da un punto di vista tecnico il film poteva essere migliorabile, credo che i registi e gli sceneggiatori siano riusciti comunque nei loro intenti, quello di rendere accessibile un film che tratta tematiche complesse e non convenzionali.
Questo film dimostra che il cinema a suo modo può raccontare anche temi importanti e soprattutto scomodi e può farlo senza spiegare per filo e per segno i fatti nella loro complessità ma trascinando lo spettatore grazie anche alla bravura degli attori, nelle situazioni e nelle storie dei personaggi per lasciare qualcosa nello spettatore e renderlo comunque più consapevole di prima.
Confido in qualche riconoscimento, anche se il tema scomodo potrebbe far si che sia snobbato da un certo tipo di critica più politicizzata e legata ai poteri forti e sono convinto che la risonanza che ha avuto sia merito del cast stellare, Brad Pitt, Christian Bale, Steve Carrell, Ryan Gosling, ma ce ne sono anche altri di attori importanti maschili e femminili.
Spero che questo film possa aprire le porte in futuro ad altri film di questo tipo.
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