catcarlo
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venerdì 11 dicembre 2015
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la felicità è un sistema complesso
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Nel cinema italiano sono davvero troppi i casi in cui, al tirar delle somme, manca sempre un centesimo – o anche più, ma non è questo il caso – per fare un euro. Alla categoria si iscrive pure il film di Zanasi, che, pur mostrando maggior coraggio della media sotto svariati aspetti, si ritrova a fare i conti con alcuni punti deboli che ne pregiudicano il risultato complessivo. Lo spunto è interessante: Enrico (Valerio Mastandrea) è un curioso tagliatore di teste per amministratori che convince inetti rampolli a cedere l’azienda di famiglia prima di condurla allo sfascio e non pare molto preoccupato che la stessa cada nelle mani rapaci di chi la rivenderà al miglior offerente.
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Nel cinema italiano sono davvero troppi i casi in cui, al tirar delle somme, manca sempre un centesimo – o anche più, ma non è questo il caso – per fare un euro. Alla categoria si iscrive pure il film di Zanasi, che, pur mostrando maggior coraggio della media sotto svariati aspetti, si ritrova a fare i conti con alcuni punti deboli che ne pregiudicano il risultato complessivo. Lo spunto è interessante: Enrico (Valerio Mastandrea) è un curioso tagliatore di teste per amministratori che convince inetti rampolli a cedere l’azienda di famiglia prima di condurla allo sfascio e non pare molto preoccupato che la stessa cada nelle mani rapaci di chi la rivenderà al miglior offerente. L’incontro con Filippo e Camilla, giovanissimi eredi di un piccolo gruppo industriale dopo la morte improvvisa dei genitori, pian piano lo porta a riconsiderare la propria vita facendogli, in un certo senso, aprire agli occhi, anche se la realtà non è una favola e il retrogusto rimane amaro. Il tema viene messo in immagini in modo tutto meno che banale grazie a una parte visiva che si sforza di volare ben al disopra della piattezza televisiva: ambientato su di una sponda trentina del lago di Garda per la quale non brilla quasi mai il sole (oramai le location le fanno le film commissions regionali, qui a sborsare è soprattutto la Provincia di Trento), l’opera di Zanasi si fa ricordare per la ricerca dell’inquadratura sempre originale e per i numerosi spunti che spesso si rivelano assai brillanti - la fotografia è di Vladan Radovic. Se la sequenza iniziale e quella della grotta, entrambe afflitte da un eccesso di sorrentinismo, faticano a cogliere nel segno, la morte dei genitori (più il funerale), la psichedelica cavalcata in skateboard del sottofinale, la graziosissima ‘scena di sesso’ tra Enrico e Achrinoam (Hadas Yaron) rappresentano sottolineature davvero efficaci. La figura della ragazza israeliana che il fratello sbologna tra i piedi del protagonista è, però, uno dei motivi di insoddisfazione: se è vero che contribuisce alla crescita del personaggio principale e che la storia del Chiapas è divertente, risulta comunque poco integrata con il resto della vicenda tanto che, a volte, non si capisce perché agisca in questo o in quel modo. Il ruolo della giovane può essere allora preso a simbolo di ciò che funziona a fatica in una sceneggiatura che perde a tratti la sua compattezza facendo calare l’attenzione: sarebbe forse stato il caso di rinunciare a qualcosa riducendo il minutaggio (non lontano dalle due ore) a favore della tensione e della coesione narrativa. Se ne sarebbero di certo giovati il tema sociale e quello del rapporto tra padri e figli (con relativo ribaltamento finale), ma l’insieme dei difetti non riesce a compromettere un esito che nel complesso si può dire positivo. A esso contribuiscono in modo significativo la colonna sonora e la prova degli attori. La prima assembla un buon numero di canzoni, ripescando anche She’s A Rainbow degli Stones, affiancate alla partitura originale scritta da Niccolo Contessa e suonata dal suo gruppo I Cani (incluso il brano-simbolo sulla torta della nonna), mentre il cast si muove senza sbavature sia che si tratti dei due ragazzi Filippo De Carli e Camilla Martini, sia riguardo all’interpretazione dei nomi più noti. Se Battiston rende al meglio la sgradevole patina di squalesca viscidezza del suo personaggio, il peso principale ricade tuttavia sulle spalle di Mastandrea, come sempre molto bravo a rappresentare figure che si sentono fuori posto, ma che non hanno la forza di ribellarsi: una maschera di sordiana (ovvero italica) viltà che ha bisogno di uno stimolo esterno per reagire e provare a riscattarsi.
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melandri
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giovedì 10 dicembre 2015
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una torta di noi
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poteva essere un film capolavoro; non lo è. resta un buon tentativo di fare cinema , con il connubio introspezione personale-critica socio economica in primo piano. delle parti andavano smussate ed altre prese più di petto. i soldi del biglietto sono comunque ben spesi. la storia non si dimentica facilmente, gli attori sono in buona forma, alcune ricerche stilistiche d'immagine fanno pensare di non essere nemmeno in un film italiano. ottima poi la colonna sonora (nouvelle vague, the turtles,dead can dance...) con brani ispirati ed utili alla bisogna.
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maumauroma
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martedì 8 dicembre 2015
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la felicita' e' un sistema complesso
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Si dice:la felicita' e' nelle piccole cose; oppure: i soldi non fanno la felicita'. Modi di dire,certo,ma in fondo rappresentano abbastanza l'essenza di questo film. Enrico Giusti e' quello che di dice un tagliatore di teste,risana aziende in crisi "convincendo" giovani manager inetti e incapaci a licenziarsi e a cercare nuove opportunita',magari all'estero, e funge da intermediario per l'acquisto delle medesime aziende a prezzi stracciati da parte di quella per cui lavora.Un lavoro cinico,duro,senza sentimentalismi o sensi di colpa,un lavoro che alla lunga asciuga la sensibilita' dell'anima e cristallizza le emozioni che la vita propone.
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Si dice:la felicita' e' nelle piccole cose; oppure: i soldi non fanno la felicita'. Modi di dire,certo,ma in fondo rappresentano abbastanza l'essenza di questo film. Enrico Giusti e' quello che di dice un tagliatore di teste,risana aziende in crisi "convincendo" giovani manager inetti e incapaci a licenziarsi e a cercare nuove opportunita',magari all'estero, e funge da intermediario per l'acquisto delle medesime aziende a prezzi stracciati da parte di quella per cui lavora.Un lavoro cinico,duro,senza sentimentalismi o sensi di colpa,un lavoro che alla lunga asciuga la sensibilita' dell'anima e cristallizza le emozioni che la vita propone.Sara' l'incontro occasionale con una ragazza israeliana pura come acqua di fonte e senza alcuna necessita' materiale e con due fratelli giovanissimi messi improvvisamente a capo dell'azienda per la tragica morte dei genitori,e decisi a portare una ventata di umanita nella gestione della multinazionale,ha fungere da catalizzatore nel risvegliare in Enrico quei sentimenti a lungo repressi e dare un senso vero alla sua vita. Per essere felici a volte puo' bastare fare una torta di mele,oppure allevare un pesciolino,o impegnarsi in una partitella a rugby con dei ragazzi,o cimentarsi in una corsa sui pattini, o decidere di fare un tuffo in piscina vestiti. La tematica che il lavoro di Zanasi propone e' interessante,bella e moderna la sua regia,belle le musiche,convincente la non-interpetazione di Mastrandrea e Yaron, peccato pero' per i dialoghi,spesso troppo costruiti,didascalici e pedagogici allo svolgimento della sceneggiatura,spesso noiosa e farraginosa.
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zarar
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martedì 8 dicembre 2015
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troppi colori mal fusi fanno un grigio continuo
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Un unico, interminabile sbadiglio per questo film pretenzioso e improbabile, con pochissimi momenti di grazia. La favoletta di base è semplicistica ma - tutto sommato – non priva di una certa tensione e capace di creare aspettative: un complice dei predatori dell’alta finanza ha fatto una professione dell’eliminazione di dirigenti d’azienda incapaci e/o sull’orlo del fallimento così da consegnare le aziende ancora recuperabili in mano a pescecani dell’industria spregiudicati e spietati che sanno – loro sì – far funzionare l’economia. Vendica in questo modo la profonda frustrazione di avere avuto un padre fallito e irresponsabile come i personaggi di cui si sbarazza.
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Un unico, interminabile sbadiglio per questo film pretenzioso e improbabile, con pochissimi momenti di grazia. La favoletta di base è semplicistica ma - tutto sommato – non priva di una certa tensione e capace di creare aspettative: un complice dei predatori dell’alta finanza ha fatto una professione dell’eliminazione di dirigenti d’azienda incapaci e/o sull’orlo del fallimento così da consegnare le aziende ancora recuperabili in mano a pescecani dell’industria spregiudicati e spietati che sanno – loro sì – far funzionare l’economia. Vendica in questo modo la profonda frustrazione di avere avuto un padre fallito e irresponsabile come i personaggi di cui si sbarazza. Senonchè comincia ad avere dei dubbi su quel che fa, lo tormentano gli scrupoli di una coscienza via via sempre più infelice. Una spinta in più gliela dà una ‘fatina turchina’ di turno, una ragazza sbandata ma piena di una sua saggezza del cuore capitatagli tra capo e collo. Infine si arriva ad un momento chiave, in cui la crisi esploderà: chiamato ad ‘affogare’ more solito due ricchi e giovanissimi orfani eredi di una grande azienda, due ragazzi autentici e ‘puri’, su cui immediatamente si sono lanciati i soliti avvoltoi, comincerà a fare stranezze, fino a maturare un rifiuto del suo ruolo e a mandare all’aria le trame dei predatori: non si sa se si salveranno, i ragazzi e lui, ma usciranno insieme da un tunnel (metaforicamente e nell’immagine filmica) verso una realtà nebbiosa, ma comunque liberatoria. Il protagonista potrà così recuperare in modo positivo il ruolo paterno e buttare alle ortiche una perversa scelta professionale che non ha più ragione di essere. Le ambizioni del regista sono grandi e possono essere riassunte nella pretesa di tradurre in un film simbolicamente dissociato tra reale e surreale, tra commedia e dramma, tra diversi modi espressivi e diversi ritmi (lentissimo/velocissimo), tra immagine e invadente colonna sonora, la dissociazione interiore del personaggio principale, fino ad una ricomposizione finale che dovrebbe ricostruire l’unità della coscienza sua e dello spettatore partecipe . Sfortunatamente non ci riesce. L’azione filmica non è ‘simbolicamente dissociata’, è solo rovinosamente e noiosamente disarticolata e implausibile, lenta e verbosa. Gli attori sono deboli (Mastandrea per la maggior parte del film sembra non sapere bene che parte recitare, raggiungendo il suo peggio quando – nel registro ‘commedia’ - imita Verdone e persino arieggia un certo Troisi; la fatina turchina, mal diretta, ha due espressioni in tutto e più che straniera sembra balbuziente (che differenza dalla Yaron de “La sposa promessa”!), gli orfani sono misticamente inespressivi; i caratteri secondari fin troppo espressivi, macchiettistici…) Come tutte le opere mal riuscite, è troppo piena di troppe cose: proliferazione di temi e storie intrecciate, piccole e grandi sperimentazioni tecniche, contaminazioni di genere, citazioni, simbologie a gogo, ecc. ecc., il tutto mal cucito insieme. Per sfondo e argomento il film richiama alla memoria “Il capitale umano” di Virzì; ma – come si suol dire – non c’è confronto. Una scena almeno merita una citazione: quella del protagonista che – ignaro di essere già licenziato, si vede troncare sul più bello quella che dovrebbe essere la scena madre delle sue dimissioni: un piccolo pezzo di bravura registica
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alberto58
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lunedì 7 dicembre 2015
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il potere e la sua influenza sulla felicità
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La frase che più mi ha colpito è quella del giovane Filippo quando parlando dei suoi quasi 5.000 dipendenti aggiunge pure "altrettante famiglie", e poi la risposta di Enrico Giusti/Mastrandrea "pensaci, è un quartiere di una città, una cosa inimmaginabile...". Ecco, forse sarà perchè io queste cose le pensavo quando, impiegato di una multinazionale, aspiravo a fare carriera e mi rendevo conto che chi carriera l'aveva fatta molto spesso sembrava completamente inconsapevole di questo...forse sarà per questo, ma a me sembra questa l'essenza del film. I due protagonisti si rendono ben conto di questo, ne sentono l'enorme peso, mentre chi il potere lo detiene se la cava dando tutto la colpa alle irrefrenabili forze del mercato, contro cui loro, "non si possono opporre".
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La frase che più mi ha colpito è quella del giovane Filippo quando parlando dei suoi quasi 5.000 dipendenti aggiunge pure "altrettante famiglie", e poi la risposta di Enrico Giusti/Mastrandrea "pensaci, è un quartiere di una città, una cosa inimmaginabile...". Ecco, forse sarà perchè io queste cose le pensavo quando, impiegato di una multinazionale, aspiravo a fare carriera e mi rendevo conto che chi carriera l'aveva fatta molto spesso sembrava completamente inconsapevole di questo...forse sarà per questo, ma a me sembra questa l'essenza del film. I due protagonisti si rendono ben conto di questo, ne sentono l'enorme peso, mentre chi il potere lo detiene se la cava dando tutto la colpa alle irrefrenabili forze del mercato, contro cui loro, "non si possono opporre". Comodo alibi per fare tranquillamente carne di porco di posti di lavoro, speranze....possibili felicità. Quando Filippo aggredisce lo zio colpevole di aver chiuso uno stabilimento senza neanche averlo avvertito, è Giusti/Mastrandrea ad intervenire spiegando pacatamente a Filippo che "Le cose sono più complicate di come sembra", ma il ragazzo non ci sta, per lui il discorso invece è semplice, e se ne va...Giusti si vede che non sa che pesci pigliare perchè sa che in fondo è proprio il ragazzo ad avere ragione e non è vero che la Felicità è un sistema complesso...rimane per un pò in imbarazzo e poi si butta in piscina con tutto il suo vestito aziendale, davanti agli stupefatti "Managers"..e con quel gesto strappa un sorriso ai due ragazzetti orfani. Forse il film è tutto lì.
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flyanto
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venerdì 4 dicembre 2015
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dalla crisi alla ricerca della propria felicità
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Sarebbe facile poter mollare tutto e rifarsi un'esistenza secondo i propri principi morali e desideri, abolendo anche ogni compromesso ma, purtroppo, nella vita reale ciò non è sempre possibile, quando affatto realizzabile, soprattutto nel campo del lavoro.
Ed è così che, invece, si comporta il personaggio del film "La Felicità è un Sistema Complesso" , interpretato da Valerio Mastrandrea, il quale è un giovane ed abile uomo assunto al servizio di importanti aziende al fine di indurre al licenziamento i dirigenti poco operativi. Molto stimato nel proprio ambiente lavorativo, il suddetto uomo, pur non approvando completamente i meccanismi e le azioni dei suoi capi ed, in generale, di tutto un sistema produttivo quanto mai spietato e menefreghista e teso solo al successo ed al fatturato, egli però riesce a "convivere" con tutto ciò ed a mantenere un certo agiato status sociale.
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Sarebbe facile poter mollare tutto e rifarsi un'esistenza secondo i propri principi morali e desideri, abolendo anche ogni compromesso ma, purtroppo, nella vita reale ciò non è sempre possibile, quando affatto realizzabile, soprattutto nel campo del lavoro.
Ed è così che, invece, si comporta il personaggio del film "La Felicità è un Sistema Complesso" , interpretato da Valerio Mastrandrea, il quale è un giovane ed abile uomo assunto al servizio di importanti aziende al fine di indurre al licenziamento i dirigenti poco operativi. Molto stimato nel proprio ambiente lavorativo, il suddetto uomo, pur non approvando completamente i meccanismi e le azioni dei suoi capi ed, in generale, di tutto un sistema produttivo quanto mai spietato e menefreghista e teso solo al successo ed al fatturato, egli però riesce a "convivere" con tutto ciò ed a mantenere un certo agiato status sociale. L'arrivo di una ragazza israeliana nella propria casa e la conoscenza con due ragazzi giovani, figli di una coppia di imprenditori morti improvvisamente in un incidente stradale, gli farà cambiare piano piano e radicalmente la visone d'insieme della propria esistenza e delle proprie personali aspirazioni.
La trama in sè, avrebbe degli spunti e delle considerazioni alquanto interessanti, ma la vicenda, così come si evolve e come, soprattutto, si conclude in realtà fa precipitare parecchio il film in quanto poco realistico e molto, appunto, idealista. Si è tutti d'accordo che il mondo dell'imprenditoria, soprattutto ad altissimi livelli, sia quanto mai spietato e crudele e pertanto noncurante del destino di quei lavoratori che, senza alcuna pietà saranno licenziati improvvisamente, ma, a mio parere, tutto ha un limite e nel caso specifico non credo affatto che in tempi di profonda crisi economica una situazione si risolva con soluzioni così drastiche e, a dir poco, idealiste sul piano pratico, come, invece, qui proposte.
Per quanto gli attori protagonisti, da Valerio Mastrandrea. a Giuseppe Battiston, per citarne solo due, ecc., risultino tutti bravi ed efficaci nella resa dei propri personaggi, essi però, non riescono affatto a risollevare le sorti di questa pellicola che via via assume dei connotati sempre più poco plausibili risultando così, nel suo complesso, quanto mai deludente e con un messaggio anche un poco fuorviante.
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nanni
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giovedì 3 dicembre 2015
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la felicità è un sistema complesso
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Un giovanissimo rampollo borghese si ritroverà, suo malgrado, alla testa dell'importante gruppo multinazionale di famiglia.
In quello stesso mondo vive e lavora Enrico Giusti (Valerio Mastrandrea)che nel tentativo di espiare le colpe del genitore vivrà un altro se stesso.
Sullo sfondo, il fratello di Enrico Giusti e la sua ex fidanzata sono rappresentativi delle giovani, spaesate confuse, fragili, generazioni che o tentano di suicidarsi o, nella migliore delle ipotesi, si danno alla fuga.
Tutto il film ruota intorno all'idea precisa che non sono gli uomini a fare la Storia ma è la Storia che, invece, utilizzandoli realizza i suoi scopi.
A partire da quel presupposto il film ha la pretesa, riuscendoci, di indagare le contraddizioni insanabili che nascono dall'incrocio di quel piano con quello personale, intimo e privato della vita di tutti i giorni.
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Un giovanissimo rampollo borghese si ritroverà, suo malgrado, alla testa dell'importante gruppo multinazionale di famiglia.
In quello stesso mondo vive e lavora Enrico Giusti (Valerio Mastrandrea)che nel tentativo di espiare le colpe del genitore vivrà un altro se stesso.
Sullo sfondo, il fratello di Enrico Giusti e la sua ex fidanzata sono rappresentativi delle giovani, spaesate confuse, fragili, generazioni che o tentano di suicidarsi o, nella migliore delle ipotesi, si danno alla fuga.
Tutto il film ruota intorno all'idea precisa che non sono gli uomini a fare la Storia ma è la Storia che, invece, utilizzandoli realizza i suoi scopi.
A partire da quel presupposto il film ha la pretesa, riuscendoci, di indagare le contraddizioni insanabili che nascono dall'incrocio di quel piano con quello personale, intimo e privato della vita di tutti i giorni.
Si può essere persone perbene, capaci di prendersi cura degli altri mentre allo stesso tempo si è attori incolpevoli del massacro sociale planetario?
L'importante, centrale e oramai ineludibile riflessione di Zanasi si rivela anche fortemente contraddittoria (la cosa non ci preoccupa anzi ha il merito di arricchire il dibattito)perchè mentre prova a fare , definitivamente, il funerale a quel soggettivismo rivoluzionario novenetesco che, oggi possiamo dire, tanti danni ha fatto, allo stesso tempo, come portatore di un'offerta politica largamente assimilabile a quella della decrescita felice, volente o nolente lo riesuma.
Le scene del ballo alla stazione ed, ancor di più, quella di Enrico che, finalmente , dorme a terra sono rivelatrici di quell'offerta politica.
Il film, bello, che tenta per la prima volta di sciogliere gli equivoci intorno a queste difficili problematiche, con un Mastrandrea in grande forma, soave e "quasi" mattatore è da vedere!!
Ciao Nanni
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in a manner of speaking
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martedì 1 dicembre 2015
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bellissimo da non perdere, da vedere e ascoltare !
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Comico e drammatico, splendida Regia ! Anche se qualcosa nella storia a volte non convince nessun problema perchè atmosfere, immagini bellissime e la musica completano la visione di un bellisimo Film. Attori super.......primi piani elegantissimi, insisteni e profondi. Inediti ! Un paio di scene di questo Film sono già sui banchi delle scuole di cinema ......grazie!
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kimkiduk
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martedì 1 dicembre 2015
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non mi è piaciuto
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Non mi è piaciuto, delusione. Adoro ... oddio adoro ... mi piace Mastandrea, ha saputo ritagliarsi il suo spazio in un mondo che secondo me fatica a comprendere ed ha cercato anche di farselo piacere. Mi piace Battiston che se interpreta film di nicchia tipo Zoran, Io Sono Li o La Passione è sicuramente bravissimo. Mi era piaciuto anche Zanasi in Non Pensarci e quindi ero pronto a ridere e vedere un bel film. Ma una domanda alla fine mi sorge spontanea. Perchè dopo un inizio brillante, divertente e dinamico ha inserito il capovolgimento della vita come effetto con acqua e macchina nel lago/fiume che girano a 360°, Mastandrea gira, e girano tutti ...... per far capire che la vita stava cambiando per tutti e poi altre scene di tre mnuti con musica a palla tipo la salita con i ragazzi in skate e bici e la discesa rallentata nel tunnel.
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Non mi è piaciuto, delusione. Adoro ... oddio adoro ... mi piace Mastandrea, ha saputo ritagliarsi il suo spazio in un mondo che secondo me fatica a comprendere ed ha cercato anche di farselo piacere. Mi piace Battiston che se interpreta film di nicchia tipo Zoran, Io Sono Li o La Passione è sicuramente bravissimo. Mi era piaciuto anche Zanasi in Non Pensarci e quindi ero pronto a ridere e vedere un bel film. Ma una domanda alla fine mi sorge spontanea. Perchè dopo un inizio brillante, divertente e dinamico ha inserito il capovolgimento della vita come effetto con acqua e macchina nel lago/fiume che girano a 360°, Mastandrea gira, e girano tutti ...... per far capire che la vita stava cambiando per tutti e poi altre scene di tre mnuti con musica a palla tipo la salita con i ragazzi in skate e bici e la discesa rallentata nel tunnel. Voleva copiare Sorrentino negli effetti? Ormai pensiamo che Sorrentino sappia fare cinema da essere copiato? Voleva essere particolare? Voleva farci capire cosa? A me è sembrato tutto un pò inutile e anche noioso alla fine. I figli che dalla disgrazia diventano uomini e donne ..... per cosa nemmeno si capisce. L'amicizia della israeliana con la figlia evidenziata solo da una collaborazione dolciaria. Il paese che si ribella alla chiusura della fabbrica con una fila tipo biglietto della partita e non salutando il cattivo figlio oppure con un bonzo bruciante nella piazza centrale. Mi è sembrato un'idea buona sprecata, con degli attori niente male arrivati barcollanti alla fine e con una resa pari all'insufficienza Peccato. Però ho riso quando ha dormito per terra o ci dormiva lei e mi è piaciuto l'incontro con il fratello. Troppo poco
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alex2044
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martedì 1 dicembre 2015
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zanasi mastandrea che accoppiata !
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Il titolo è bellissimo ed il film non tradisce le premesse . Gianni Zanasi si conferma regista di razza e con l'aiuto importante di un Valerio Mastandrea sempre più bravo confeziona un film intelligente ,ironico , spiritoso ma anche profondo . Dimostrando ai retori di turno che si può fare critica sociale senza cadere nel piagnisteo banale con concetti quali : come è cattivo il mondo oppure come fa schifo questa società . Riuscendo anzi ad essere più accattivanti narrando i fatti anche i più dolorosi con il sorriso sulle labbra e senza per questo rinunciare alla denuncia anche dura delle esagerazioni insite nel sistema in cui viviamo .
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Il titolo è bellissimo ed il film non tradisce le premesse . Gianni Zanasi si conferma regista di razza e con l'aiuto importante di un Valerio Mastandrea sempre più bravo confeziona un film intelligente ,ironico , spiritoso ma anche profondo . Dimostrando ai retori di turno che si può fare critica sociale senza cadere nel piagnisteo banale con concetti quali : come è cattivo il mondo oppure come fa schifo questa società . Riuscendo anzi ad essere più accattivanti narrando i fatti anche i più dolorosi con il sorriso sulle labbra e senza per questo rinunciare alla denuncia anche dura delle esagerazioni insite nel sistema in cui viviamo . Il cinismo è bandito ed anzi è additato come uno dei peggiori atteggiamenti dell'animo umano . Detto della interpretazione capolavoro di Mastandrea si può aggiungere che gli altri attori anche i più periferici sono all'altezza della situazione . Con una menzione particolare per Giuseppe Battiston , una spalla perfetta e non solo , e la conferma della bravura di Hadas Yaron , tenera e sensibile , per la quale non penso ci si sbagli a prefigurare un futuro luminoso . Insomma Gianni Zanasi ha fatto di nuovo centro . Un'ottima notizia, la sua riconferma , per il cinema italiano.
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