La felicità è un sistema complesso |
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Un film di Gianni Zanasi.
Con Valerio Mastandrea, Hadas Yaron, Giuseppe Battiston, Filippo De Carli.
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Commedia,
Ratings: Kids+13,
durata 117 min.
- Italia 2015.
- Bim Distribuzione
uscita giovedì 26 novembre 2015.
MYMONETRO
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Troppi colori mal fusi fanno un grigio continuo
di ZararFeedback: |
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martedì 8 dicembre 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Un unico, interminabile sbadiglio per questo film pretenzioso e improbabile, con pochissimi momenti di grazia. La favoletta di base è semplicistica ma - tutto sommato – non priva di una certa tensione e capace di creare aspettative: un complice dei predatori dell’alta finanza ha fatto una professione dell’eliminazione di dirigenti d’azienda incapaci e/o sull’orlo del fallimento così da consegnare le aziende ancora recuperabili in mano a pescecani dell’industria spregiudicati e spietati che sanno – loro sì – far funzionare l’economia. Vendica in questo modo la profonda frustrazione di avere avuto un padre fallito e irresponsabile come i personaggi di cui si sbarazza. Senonchè comincia ad avere dei dubbi su quel che fa, lo tormentano gli scrupoli di una coscienza via via sempre più infelice. Una spinta in più gliela dà una ‘fatina turchina’ di turno, una ragazza sbandata ma piena di una sua saggezza del cuore capitatagli tra capo e collo. Infine si arriva ad un momento chiave, in cui la crisi esploderà: chiamato ad ‘affogare’ more solito due ricchi e giovanissimi orfani eredi di una grande azienda, due ragazzi autentici e ‘puri’, su cui immediatamente si sono lanciati i soliti avvoltoi, comincerà a fare stranezze, fino a maturare un rifiuto del suo ruolo e a mandare all’aria le trame dei predatori: non si sa se si salveranno, i ragazzi e lui, ma usciranno insieme da un tunnel (metaforicamente e nell’immagine filmica) verso una realtà nebbiosa, ma comunque liberatoria. Il protagonista potrà così recuperare in modo positivo il ruolo paterno e buttare alle ortiche una perversa scelta professionale che non ha più ragione di essere. Le ambizioni del regista sono grandi e possono essere riassunte nella pretesa di tradurre in un film simbolicamente dissociato tra reale e surreale, tra commedia e dramma, tra diversi modi espressivi e diversi ritmi (lentissimo/velocissimo), tra immagine e invadente colonna sonora, la dissociazione interiore del personaggio principale, fino ad una ricomposizione finale che dovrebbe ricostruire l’unità della coscienza sua e dello spettatore partecipe . Sfortunatamente non ci riesce. L’azione filmica non è ‘simbolicamente dissociata’, è solo rovinosamente e noiosamente disarticolata e implausibile, lenta e verbosa. Gli attori sono deboli (Mastandrea per la maggior parte del film sembra non sapere bene che parte recitare, raggiungendo il suo peggio quando – nel registro ‘commedia’ - imita Verdone e persino arieggia un certo Troisi; la fatina turchina, mal diretta, ha due espressioni in tutto e più che straniera sembra balbuziente (che differenza dalla Yaron de “La sposa promessa”!), gli orfani sono misticamente inespressivi; i caratteri secondari fin troppo espressivi, macchiettistici…) Come tutte le opere mal riuscite, è troppo piena di troppe cose: proliferazione di temi e storie intrecciate, piccole e grandi sperimentazioni tecniche, contaminazioni di genere, citazioni, simbologie a gogo, ecc. ecc., il tutto mal cucito insieme. Per sfondo e argomento il film richiama alla memoria “Il capitale umano” di Virzì; ma – come si suol dire – non c’è confronto. Una scena almeno merita una citazione: quella del protagonista che – ignaro di essere già licenziato, si vede troncare sul più bello quella che dovrebbe essere la scena madre delle sue dimissioni: un piccolo pezzo di bravura registica
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