La felicità è un sistema complesso |
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Un film di Gianni Zanasi.
Con Valerio Mastandrea, Hadas Yaron, Giuseppe Battiston, Filippo De Carli.
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Commedia,
Ratings: Kids+13,
durata 117 min.
- Italia 2015.
- Bim Distribuzione
uscita giovedì 26 novembre 2015.
MYMONETRO
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La felicità è un sistema complesso
di catcarloFeedback: |
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venerdì 11 dicembre 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Nel cinema italiano sono davvero troppi i casi in cui, al tirar delle somme, manca sempre un centesimo – o anche più, ma non è questo il caso – per fare un euro. Alla categoria si iscrive pure il film di Zanasi, che, pur mostrando maggior coraggio della media sotto svariati aspetti, si ritrova a fare i conti con alcuni punti deboli che ne pregiudicano il risultato complessivo. Lo spunto è interessante: Enrico (Valerio Mastandrea) è un curioso tagliatore di teste per amministratori che convince inetti rampolli a cedere l’azienda di famiglia prima di condurla allo sfascio e non pare molto preoccupato che la stessa cada nelle mani rapaci di chi la rivenderà al miglior offerente. L’incontro con Filippo e Camilla, giovanissimi eredi di un piccolo gruppo industriale dopo la morte improvvisa dei genitori, pian piano lo porta a riconsiderare la propria vita facendogli, in un certo senso, aprire agli occhi, anche se la realtà non è una favola e il retrogusto rimane amaro. Il tema viene messo in immagini in modo tutto meno che banale grazie a una parte visiva che si sforza di volare ben al disopra della piattezza televisiva: ambientato su di una sponda trentina del lago di Garda per la quale non brilla quasi mai il sole (oramai le location le fanno le film commissions regionali, qui a sborsare è soprattutto la Provincia di Trento), l’opera di Zanasi si fa ricordare per la ricerca dell’inquadratura sempre originale e per i numerosi spunti che spesso si rivelano assai brillanti - la fotografia è di Vladan Radovic. Se la sequenza iniziale e quella della grotta, entrambe afflitte da un eccesso di sorrentinismo, faticano a cogliere nel segno, la morte dei genitori (più il funerale), la psichedelica cavalcata in skateboard del sottofinale, la graziosissima ‘scena di sesso’ tra Enrico e Achrinoam (Hadas Yaron) rappresentano sottolineature davvero efficaci. La figura della ragazza israeliana che il fratello sbologna tra i piedi del protagonista è, però, uno dei motivi di insoddisfazione: se è vero che contribuisce alla crescita del personaggio principale e che la storia del Chiapas è divertente, risulta comunque poco integrata con il resto della vicenda tanto che, a volte, non si capisce perché agisca in questo o in quel modo. Il ruolo della giovane può essere allora preso a simbolo di ciò che funziona a fatica in una sceneggiatura che perde a tratti la sua compattezza facendo calare l’attenzione: sarebbe forse stato il caso di rinunciare a qualcosa riducendo il minutaggio (non lontano dalle due ore) a favore della tensione e della coesione narrativa. Se ne sarebbero di certo giovati il tema sociale e quello del rapporto tra padri e figli (con relativo ribaltamento finale), ma l’insieme dei difetti non riesce a compromettere un esito che nel complesso si può dire positivo. A esso contribuiscono in modo significativo la colonna sonora e la prova degli attori. La prima assembla un buon numero di canzoni, ripescando anche She’s A Rainbow degli Stones, affiancate alla partitura originale scritta da Niccolo Contessa e suonata dal suo gruppo I Cani (incluso il brano-simbolo sulla torta della nonna), mentre il cast si muove senza sbavature sia che si tratti dei due ragazzi Filippo De Carli e Camilla Martini, sia riguardo all’interpretazione dei nomi più noti. Se Battiston rende al meglio la sgradevole patina di squalesca viscidezza del suo personaggio, il peso principale ricade tuttavia sulle spalle di Mastandrea, come sempre molto bravo a rappresentare figure che si sentono fuori posto, ma che non hanno la forza di ribellarsi: una maschera di sordiana (ovvero italica) viltà che ha bisogno di uno stimolo esterno per reagire e provare a riscattarsi.
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