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lavandaroma
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lunedì 9 giugno 2014
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da non perdere!
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Era tempo che non vedevo un film cosi' gradevole, intelligente, ben congegnato con un cast superlativo. Naturalmente pero', Ralph Fiesses e' insuperabile! Per chi puo' farlo, assolutamente da vedere nella versione originale, per coglierne ulteriormente i dettagli.
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paride86
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sabato 7 giugno 2014
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molto carino
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Ad oggi credo che "Grand Budapest Hotel" sia il miglior film di Anderson per il riuscito mix di ironia, spirito naif e coinvolgimento narrativo.
Davvero un bel risultato.
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giuliog02
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domenica 1 giugno 2014
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commedia dell'arte: il mondo di ieri rivisitato
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Ho letto, giusto lo scorso anno, " Il mondo di ieri " di Stefan Zweig. Libro piacevolissimo, di grande raffinatezza ed intelligenza,scritto in modo divino. Una vera lezione sull'arte del narrare. La lettura, é un vero piacere dell'anima, pur essendo una profonda analisi storico-sociale, oltre che il racconto attento delle vicende di un mondo che non c'é più. Il film, ispirato a un'opera di tale valore letterario, é una brillante commedia, molto ben recitata da ecellenti attori. Scenografia e ambientazione molto curate. La fotografia é degna di nota, visionaria, con riprese di favolosi panorami, che portano la creatività dello spettatore in un mondo fantastico.
Un gran bel film, che probabilmente spingerà a riprendere in mano il libro.
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veritasxxx
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venerdì 16 maggio 2014
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strampalato, divertente e visivamente accattivante
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Wes Anderson è famoso per i suoi film bizzarri con una fotografia molto curata al limite della perfezione ossessiva. Qui supera se stesso in quanto a simmetria delle inquadrature (lo schermo è quadrato e le carrellate sono sempre fatte a 90 gradi, come per dare una precisione matematica al racconto). La storia è buffa e surreale e la quantità di attori noti sorprendente (ce ne sono più di dieci, a partire da Ralph Fennies, Edward Norton, Jude Law, F. Murray Abraham...). Strampalato, divertente e visivamente accattivante. Da vedere.
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rainbow74
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venerdì 16 maggio 2014
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poetico
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poetico, mostra l'amore puro e la devozione
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firewalkwithme
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venerdì 16 maggio 2014
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anderson senza antitesi e senza sintesi
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Quando la pellicola di un regista si rivela in grado di offrire ai suoi più spietati detratto ri una (quanto mai prima) numerosa quantità di frecce da scagliare col loro attento e sempre vigile arco,non è quasi mai un segno positivo e rasserenante. Significa che,presumibilmente,il regista si è lasciato placidamente trasportare dai suoi tratti più caratteristici e universalmente riconosciuti,in una sorta di parossismo estetico e visivo dal quale la sua personalità non è uscita accentuata,risaltata,ma piuttosto annullata,ammuttolita. Se questo fosse stato il mio primo film di Anderson,sarei direttamente saltata a delle conclusioni critiche poco lusinghiere,e probabilmente velate da quella superficialità di cui la pellicola stessa risulta fastidiosamente avvolta.
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Quando la pellicola di un regista si rivela in grado di offrire ai suoi più spietati detratto ri una (quanto mai prima) numerosa quantità di frecce da scagliare col loro attento e sempre vigile arco,non è quasi mai un segno positivo e rasserenante. Significa che,presumibilmente,il regista si è lasciato placidamente trasportare dai suoi tratti più caratteristici e universalmente riconosciuti,in una sorta di parossismo estetico e visivo dal quale la sua personalità non è uscita accentuata,risaltata,ma piuttosto annullata,ammuttolita. Se questo fosse stato il mio primo film di Anderson,sarei direttamente saltata a delle conclusioni critiche poco lusinghiere,e probabilmente velate da quella superficialità di cui la pellicola stessa risulta fastidiosamente avvolta. Riprese perfettamente centrate,attenzione maniacale al dettaglio,ossessione quasi patologica per i contrasti cromatici allucinogeni tutt'altro che calibrati,sono da sempre le cifre stilistiche di Wes Anderson,a partire da Rushmore,permeano trasversalmente ogni s ua opera e raggiungono ne I Tenenbaum un difficile ma perfetto equilibrio con l'aspetto contenustico e tematico. E' forse con il recente Moonrise Kingdom,che tale delicato equilibrio aveva iniziato a dare chiari segni di sbilanciamento,indungiando in un autocompiacimento estetico decisamente eccessivo e adombrante nei confronti delle relazioni intra ed interpsichice degli individui e della coerenza concettuale della trama. Con The Grand Budapest Hotel,i person,aggi e la storia non fanno altro che progredire in questo sbiadimento psicologico e narrativo,autoimmolandosi sull'altare dell'apparrenza,dell'ingranaggio esteriormente impeccabile,di un involucro perfettamente lucido sul quale Andserson può rimirarsi soddisfatto. E dunque,in quella sorta di epifania onirica che è il Budapest Hotel,gli ambienti superficialmente perfetti ma interiormente marci e corrotti di famiglie tempestose,di equipaggi instabili,di accademie altalenanti riemergono solo appar entemente sanati,in realtà negati proprio nella loro essenza,in quel conflitto così interessante perchè reale,forse l'unica parcella di reale in tanta ricercatezza e artificiosità. Alle individualità maschili sempre così affascinanti perchè scisse e inquiete si sostituisce la plasticità impenetrabile quanto sorniona di Monsier Gustave,tanto innamorato del suo albergo da essere del tutto estraneo a quella voglia di emancipazione,di cambiamento,di svolta brulicante in tutti i burattini semoventi di Anderson,e che adesso non è più rintracciabile. Una tesi,quella dell'apparenza armonica e riposante in se stessa,che qua non incontra l'esperienza formativa dell'antitesi segnalatrice di conflitti e scossoni substratificati,e che quindi non può evolversi in niente,rimanendo chiusa nel proprio alveo tanto rassicurante da risultare irreale,alla stregua di Monsier Gustave e del suo tanto (troppo) agogna to albergo.
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firewalkwithme
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martedì 13 maggio 2014
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anderson senza antitesi e senza sintesi
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Quando la pellicola di un regista si rivela in grado di offrire ai suoi più spietati detrattori una (quanto mai prima) numerosa quantità di frecce da scagliare col loro attento e sempre vigile arco,non è quasi mai un segno positivo e rasserenante. Significa che,presumibilmente,il regista si è lasciato placidamente trasportare dai suoi tratti più caratteristici e universalmente riconosciuti,in una sorta di parossismo estetico e visivo dal quale la sua personalità non è uscita accentuata,risaltata,ma piuttosto annullata,ammuttolita. Se questo fosse stato il mio primo film di Anderson,sarei direttamente saltata a delle conclusioni critiche poco lusinghiere,e probabilmente velate da quella superficialità di cui la pellicola stessa risulta fastidiosamente avvolta.
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Quando la pellicola di un regista si rivela in grado di offrire ai suoi più spietati detrattori una (quanto mai prima) numerosa quantità di frecce da scagliare col loro attento e sempre vigile arco,non è quasi mai un segno positivo e rasserenante. Significa che,presumibilmente,il regista si è lasciato placidamente trasportare dai suoi tratti più caratteristici e universalmente riconosciuti,in una sorta di parossismo estetico e visivo dal quale la sua personalità non è uscita accentuata,risaltata,ma piuttosto annullata,ammuttolita. Se questo fosse stato il mio primo film di Anderson,sarei direttamente saltata a delle conclusioni critiche poco lusinghiere,e probabilmente velate da quella superficialità di cui la pellicola stessa risulta fastidiosamente avvolta. Riprese perfettamente centrate,attenzione maniacale al dettaglio,ossessione quasi patologica per i contrasti cromatici allucinogeni tutt'altro che calibrati,sono da sempre le cifre stilistiche di Wes Anderson,a partire da Rushmore,permeano trasversalmente ogni sua opera e raggiungono ne I Tenenbaum un difficile ma perfetto equilibrio con l'aspetto contenustico e tematico. E' forse con il recente Moonrise Kingdom,che tale delicato equilibrio aveva iniziato a dare chiari segni di sbilanciamento,indungiando in un autocompiacimento estetico decisamente eccessivo e adombrante nei confronti delle relazioni intra ed interpsichice degli individui e della coerenza concettuale della trama. Con The Grand Budapest Hotel,i person,aggi e la storia non fanno altro che progredire in questo sbiadimento psicologico e narrativo,autoimmolandosi sull'altare dell'apparrenza,dell'ingranaggio esteriormente impeccabile,di un involucro perfettamente lucido sul quale Andserson può rimirarsi soddisfatto. E dunque,in quella sorta di epifania onirica che è il Budapest Hotel,gli ambienti superficialmente perfetti ma interiormente marci e corrotti di famiglie tempestose,di equipaggi instabili,di accademie altalenanti riemergono solo apparentemente sanati,in realtà negati proprio nella loro essenza,in quel conflitto così interessante perchè reale,forse l'unica parcella di reale in tanta ricercatezza e artificiosità. Alle individualità maschili sempre così affascinanti perchè scisse e inquiete si sostituisce la plasticità impenetrabile quanto sorniona di Monsier Gustave,tanto innamorato del suo albergo da essere del tutto estraneo a quella voglia di emancipazione,di cambiamento,di svolta brulicante in tutti i burattini semoventi di Anderson,e che adesso non è più rintracciabile. Una tesi,quella dell'apparenza armonica e riposante in se stessa,che qua non incontra l'esperienza formativa dell'antitesi segnalatrice di conflitti e scossoni substratificati,e che quindi non può evolversi in niente,rimanendo chiusa nel proprio alveo tanto rassicurante da risultare irreale,alla stregua di Monsier Gustave e del suo tanto (troppo) agognato albergo.
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martedì 13 maggio 2014
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grand hotel europa
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«Forse il suo mondo era già finito da un pezzo ma lui ne creava l'illusione con inarrivabile grazia» A memoria più o meno recita così la battuta chiave di un film che è per la cifra estetica un monumento dell'arte stessa del narrare come è stato detto. Basato sulla scolpitura minuta dei personaggi Grand Hotel Budapest si presta a diverse chiavi di lettura. La prima è fornita dal sovvertimento dei ruoli sociali. Figura servile per eccellenza il concierge dell'hotel di lusso diviene paradigma dell'hegeliana servitù di chi dipende dai servizi ...del concierge. Le ultraottantenni divengono tagli di carne meno appetiti delle giovani equiparate a "filetti" e purtuttavia per il palato del concierge le vegliarde restano pezzi saporiti cui si dedica con prestazioni sessuali entusiaste.
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«Forse il suo mondo era già finito da un pezzo ma lui ne creava l'illusione con inarrivabile grazia» A memoria più o meno recita così la battuta chiave di un film che è per la cifra estetica un monumento dell'arte stessa del narrare come è stato detto. Basato sulla scolpitura minuta dei personaggi Grand Hotel Budapest si presta a diverse chiavi di lettura. La prima è fornita dal sovvertimento dei ruoli sociali. Figura servile per eccellenza il concierge dell'hotel di lusso diviene paradigma dell'hegeliana servitù di chi dipende dai servizi ...del concierge. Le ultraottantenni divengono tagli di carne meno appetiti delle giovani equiparate a "filetti" e purtuttavia per il palato del concierge le vegliarde restano pezzi saporiti cui si dedica con prestazioni sessuali entusiaste. Il concierge stesso ammette di non essere mai stato sospettato di essere un "vero uomo" e accetta senza battere ciglio l'epiteto di "chiappe dolci" ma si dedica con passione alla frequentazione carnale dell'altro sesso: non solo vegliarde ma le puttane con cui teme di dissipare un cospicuo incasso. Il padrone dell'hotel è rimasto in cuor suo l'ultimo dei garzoncelli... E così via... un gioco al sovvertimento consolatorio e narrativamente collaudato che costella l'intero film di battute e di gusto per il curioso e per il meraviglioso. Di fondo l'idea di un luogo immaginario al di fuori e al di sopra degli steccati. Un mondo ideale che, come accade quando il cinema funziona, ci crea intorno una bolla da cui al termine dispiace uscire. Alla fine la platea resta silenziosa, seduta per tutto lo scorrere dei titoli di coda, incantata. Ma le metafore cui Hotel Budapest offre il fianco non finiscono qui. La "concierge connection" che unisce in un unica organizzazione transnazionale i concierge di tutt'Europa fornisce una bella metafora di cosa potrebbe essere l'accolita dei governanti del vecchio continente se entrassero nell'ottica di servizio implicita nella parola "ministro" e di quale angolo di esperienze, aperture e confronto potrebbe assurgere questo nostro pezzo di pianeta. Il mondo eurocentrico forse è già finito da un pezzo, ci vorrebbe un concierge di grazia inarrivabile.
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rita branca
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lunedì 12 maggio 2014
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“una carriera da amare” di rita branca
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The Gran Budapest Hotel (2014) film di Wes Anderson con Ralph Fiennes, Tony Revolori, Saoirse Ronan, Bill Murray, Adrien Brody, Tilda Swinton, Jude Law, Harvey Keitel e molti altri
Tanti nomi famosi per questo film ambientato all’inizio del 1900, in una repubblica dell’est europeo, frutto della fantasia dello scrittore Stefan Sweig, al cui romanzo omonimo l’opera si ispira.
Bravi tutti i protagonisti coinvolti nelle fin troppo numerose e rocambolesche avventure che si svolgono dentro ed intorno ad un ormai decadente grand hotel di montagna; divertenti gli ironici, eleganti ed a volte iperbolici dialoghi, conditi di dosi sapienti di romanticismo.
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The Gran Budapest Hotel (2014) film di Wes Anderson con Ralph Fiennes, Tony Revolori, Saoirse Ronan, Bill Murray, Adrien Brody, Tilda Swinton, Jude Law, Harvey Keitel e molti altri
Tanti nomi famosi per questo film ambientato all’inizio del 1900, in una repubblica dell’est europeo, frutto della fantasia dello scrittore Stefan Sweig, al cui romanzo omonimo l’opera si ispira.
Bravi tutti i protagonisti coinvolti nelle fin troppo numerose e rocambolesche avventure che si svolgono dentro ed intorno ad un ormai decadente grand hotel di montagna; divertenti gli ironici, eleganti ed a volte iperbolici dialoghi, conditi di dosi sapienti di romanticismo.
Spiccano fra tutti i personaggi di M.Gustave, interpretato da Ralph Fienne, e quello del garzoncello Zero Mustafa, suo fedelissimo allievo, simbolo dell’immigrato da sempre maltrattato, interpretato sia da Toni Revolori (in giovane età) che da F.Murray Abraham (in tarda età).
M.Gustave rappresenta l’orgogliosa colonna su cui si regge il prestigioso albergo, perfetto coordinatore di tutte le attività offerte a facoltosi ospiti, nonché dispensatore di servizi speciali per anziane signore sole che dice di amare e che, colme di gratitudine, non gli lesinano segni concreti di riconoscenza, come nel caso di Madame D. che gli destina un quadro di immenso valore, scatenando l’ira dei parenti e la persecuzione del destinatario.
Molto bella la colonna sonora che sottolinea alla perfezione la costante ironia della narrazione e che trasforma scene, altrimenti drammatiche, in situazioni comiche.
Rita Branca
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barone di firenze
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domenica 11 maggio 2014
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godibike fino in fondo
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Io non ricordo bene ma credo di aver visto con la palpebra calante dal sonno l'originale in TV e mi chiedevo avendo visto il solito titolo come potevo averlo visto prima che nella sala. Sono andato a vederlo e mi sono accorto che altro non era che un remaik in chiave satirica di quello che avevo intravisto in TV, insomma, un po’ come "l'aereo più pazzo del mondo" che dileggiava la serie infinita degli "Airport".
Ma la quantità di mostri della celluloide come Abraham, Dafoe, e lo stesso Fiennes coadiuvati da comprimari che sono tutti dei grandi attori hanno dato un valore aggiunto alla pellicola.
Mi hanno entusiasmato i paradossi come le torce elettriche, la lampadina in un lume a petrolio assieme a una cabina telefonica in un deserto di neve negli anni 30 e un'improbabile sparatoria nelle balconate dell’albergo e l'allusione alle SS che li le chiamano ZZ Ziga Zag ne fanno un film piacevole in cui più che ridere si sorride alla fine satira antinazista alla scenografia favolesca e l'interpretazione dei grandi attori inglesi e yankee hanno contribuito a costruire con il bravo regista Wes Anderson un capolavoro unico nel suo genere.
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Io non ricordo bene ma credo di aver visto con la palpebra calante dal sonno l'originale in TV e mi chiedevo avendo visto il solito titolo come potevo averlo visto prima che nella sala. Sono andato a vederlo e mi sono accorto che altro non era che un remaik in chiave satirica di quello che avevo intravisto in TV, insomma, un po’ come "l'aereo più pazzo del mondo" che dileggiava la serie infinita degli "Airport".
Ma la quantità di mostri della celluloide come Abraham, Dafoe, e lo stesso Fiennes coadiuvati da comprimari che sono tutti dei grandi attori hanno dato un valore aggiunto alla pellicola.
Mi hanno entusiasmato i paradossi come le torce elettriche, la lampadina in un lume a petrolio assieme a una cabina telefonica in un deserto di neve negli anni 30 e un'improbabile sparatoria nelle balconate dell’albergo e l'allusione alle SS che li le chiamano ZZ Ziga Zag ne fanno un film piacevole in cui più che ridere si sorride alla fine satira antinazista alla scenografia favolesca e l'interpretazione dei grandi attori inglesi e yankee hanno contribuito a costruire con il bravo regista Wes Anderson un capolavoro unico nel suo genere.
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