Non ereditiamo la terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli. (proverbio navajo)
Si può lottare contro le mafie con piccole cooperative agricole dedite all’agricoltura dei terreni confiscati ai mafiosi? Si può opporsi alla lupara e alle intimidazioni con la coltivazione di zucchine e pomodori biologici? Si può parlare di mafia senza sangue e morti ammazzati ma con leggerezza e ironia, senza peraltro annacquare un forte messaggio di impegno civile e sociale?
Certo cheSi può fare, risponderebbe senza dubbi a queste domande il regista Giulio Manfredonia riprendendo il titolo del suo esilarante e fortunatissimo film di qualche anno fa sulla storia (vera) di una comunità di pazienti di un manicomio che negli anni ottanta sperimentò innovativi programmi di lavoro e di reinserimento sociale. Anche La nostra terra affronta un tema difficile, di cui si sa poco o nulla, con il sorriso e con la leggerezza di una commedia “etica”, a tratti quasi una favola. Anche in questo caso al centro della storia c’è una goffa cooperativa composta da personaggi strampalati, ciascuno a modo suo in cerca di un riscatto personale.
La cooperativa agricola a cui viene affidata la gestione e la coltivazione del podere e delle terre confiscate al boss in carcere Nicola Sansone è infatti composta da Rossana, una giovane attivista antimafia con un oscuro passato, Piero e Salvo, una coppia omosessuale, un immigrato congolese disoccupato, un disabile in carrozzina, una ecologista un po’ invasata e, infine, il personaggio più complesso e importante della storia, Cosimo, l’ex fattore del boss, sfuggente e ambiguo. I “nostri” si trovano del tutto impreparati ad affrontare i boicottaggi e le intimida-zioni dell’omertosa cultura mafiosa, come se non bastasse l’ingarbugliata burocrazia italiana non aiuta certo l’imprenditorialità in contesti difficili e ostili come questo. Viene quindi inviato dal nord il sindacalista Filippo, esperto di normative antimafia ma timoroso e paranoico, dipendente dagli ansiolitici.
Ostacoli e difficoltà, nonché colpi di scena come la concessione dei domiciliari al boss mafioso, riusciranno a vincere l’entusiasmo e la determinazione della sgangherata cooperativa?
La cultura della legalità e quella della terra possono cambiare veramente il modo di pensare e diventare il punto di partenza del riscatto del meridione?
L’associazione Libera di don Ciotti, ispiratrice del film e della legge che permette la confisca dei beni alle famiglie mafiose e la loro assegnazione a cooperative agricole, ne è fermamente convinta. L’agricoltura biologica “dal basso”, il lavoro cooperativistico nelle proprietà confiscate alle cosche, più in generale l’educazione alla legalità e la cultura del lavoro, devono e possono essere il motore della nuova antimafia.
La nostra terraraccoglie il testimone da Pif (Pierfrancesco Diliberto) che con il suo La mafia uccide solo d’estate è stato la vera sorpresa italiana della scorsa stagione cinematografica. Come quello di Pif anche il film di Manfredonia parla di mafia con il sorriso sulle labbra, riuscendo a confezionare una sceneggiatura garbata, divertente e intelligente. Certamente alcuni personaggi appaiono un po’ troppo caricaturali e alcuni passaggi eccessivamente didascalici, ritengo però che nell’insieme vada riconosciuta al regista romano una sincerità di fondo e una buona dose di originalità nell’affrontare con i toni della commedia una tematica mai portata sullo schermo. Stefano Accorsi è bravissimo nel dar vita a un irrequieto Filippo, paladino rigoroso dell’antimafia dal suo ufficio bolognese ma pavido e incerto quando si trova nella masseria del boss.
Straordinario è anche Sergio Rubini, autentico mattatore nella storia, capace di impersonare con il personaggio di Cosimo sia le radicate contraddizioni che l’esuberanza e la voglia di riscatto del nostro meridione.
Ma la vera protagonista del film è la terra, quella dell’ancestrale cultura contadina e dell’agricoltura biologica. La stessa terra troppo spesso violata, avvelenata e cementificata in modo irresponsabile, al sud come al nord.
La nostra terra, da cui, inevitabilmente, bisogna ripartire.
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