Advertisement
Bradley Cooper, il ruolo dell'anno

Intervista al protagonista de Il lato positivo, candidato a 8 premi Oscar.
di Marianna Cappi

In foto l'attore Bradley Cooper in una scena del film.
Bradley Cooper (49 anni) 5 gennaio 1975, Filadelfia (Pennsylvania - USA) - Capricorno. Interpreta Pat Solitano nel film di David O. Russell Il lato positivo - Silver Linings Playbook.

lunedì 18 febbraio 2013 - Incontri

Bradley Cooper ha i nonni italiani, la passione per la cucina e il talento per la recitazione. Alias lo aveva reso popolare tra gli ammiratori della serie televisiva, ma è con Una notte da leoni che ha trovato il successo al cinema, un successo inaspettato e grande, grazie al quale avrebbe potuto vivere di rendita, continuando ad interpretare commedie brillanti. Ma gli è stato offerto il ruolo di Pat Solitano ne Il lato positivo, ragazzo bipolare che lotta per rifarsi una vita dopo aver perso il controllo e scontato un ricovero in una clinica psichiatrica, e Bradley ha detto sì. Ora, per quel ruolo, è candidato all'Oscar.

Nel film affronti diversi registri interpretativi, dal comico al drammatico. Come hai lavorato a questi cambi di tono?
È qualcosa che avevamo ben presente e che era molto importante: dovevo muovermi con la stessa velocità di una macchina sportiva, con fulminei cambi di marcia. Non è stato facile piangere e gridare e ridere nell'arco di un tempo brevissimo, è difficile farlo e farlo sentire vero, spontaneo, non recitato. Siamo stati fortunati nel riuscirci. O forse non è stata fortuna, ma è stato il fatto che abbiamo lavorato con un regista fantastico, capace di mettere assieme un gruppo di attori che sapeva poteva rendere possibile questa magia. Perché mentre lavoravamo, ci sentivamo vivi e gratificati, ed è stato meraviglioso per me avere questa parte e recitare con un gruppo di attori così talentuosi.

Pur mostrandone la problematicità, il film non demonizza la psicologia borderline ma anzi, in un certo senso, la fa passare anche per una ricchezza. Cosa ne pensi?
Ho imparato tantissimo dal personaggio di Pat, molto più di quanto potevo immaginare di fare. Mi sono reso conto di quanti pregiudizi avessi nei confronti di certe patologie, come appunto la sindrome bipolare o maniaco depressiva. È cultura? È natura? Se le circostanze della mia vita fossero state diverse, avrei processato certe informazioni in modo diverso? Perché tutto sta nel come si processano le informazioni. Il cervello di questo ragazzo segue un percorso diverso. Non ha la capacità di passare oltre certe cose quando gli capitano, e quindi va incontro alla distruzione o alla sua paralisi. È qualcosa in cui mi ritrovo? Sì, un po' sì, ci sono delle cose nella vita che si riescono a superare, anche se in lui avviene ad un livello macro, che penalizza la qualità della sua vita, ma ho cercato di capirlo e renderlo umano. Forse è proprio per questo che il film funziona: molta gente viene da noi e ci racconta di essersi rivista in questi personaggi.

Che tipo di sfida è stata ballare con Jennifer Lawrence in scene tanto realistiche?
Sono realistiche perché quelli siamo noi davvero! Non avevamo controfigure, nessuno con una parrucca o un sacco della spazzatura addosso al posto nostro, eravamo noi. È stato molto gratificante ed un modo fantastico per donare fisicità a questi personaggi. Ho imparato molto di Pat attraverso il modo in cui lui imparava a ballare, attraverso il modo in cui si muoveva. E per me è commovente vederlo quando si muove dal solo nella sala prove, è così vulnerabile, guarda lei per cercare la sua approvazione ed ogni volta che lo rivedo mi si spezza il cuore. Per me, come attore, essere Pat mentre faceva quelle esperienze è stato molto importante.

Quando hai letto il copione hai pensato che, da un'occasione del genere, sarebbe arrivata anche una possibile nomination all'Oscar?
Ho subito notato la sfida, più che l'opportunità: una sfida rischiosa. Quando ho saputo che potevo avere il ruolo, che mi era stato proposto, ho tirato un sospiro di sollievo perché non so se avrei avuto il coraggio di riprendermi e mandare una cassetta come provino. Anche se è folle pensarci, visto che anch'io sono di Philadelphia, sono mezzo italiano e mezzo irlandese, tifo per gli Eagles ... c'erano tutti i presupposti perché ci provassi. Ma interpretare un ragazzo della classe operaia con problemi mentali ed emotivi... non so se l'avrei mai fatto. Perciò ringrazio David O. Russell per avermi voluto, per avermi dato una fiducia inedita: nessun altro mi ha mai offerto un ruolo del genere, mi ha mai regalato una sfida del genere. Io penso che il personaggio meriti tutta l'attenzione che ha avuto, e l'avrebbe meritata chiunque l'avesse interpretato. C'è almeno un ruolo, ogni anno, che è facile individuare come il più duro e affascinante e questo era sicuramente uno di quelli. Quindi sono davvero contento che questo ruolo sia stato riconosciuto per quello che vale, per me è già abbastanza come riconoscimento del mio lavoro, perché il personaggio lo merita, perché Pat lo merita.

Che differenza c'è tra il recitare in un film come questo, che mescola dramma e commedia, e fare una commedia pura, come Una notte da leoni?
La verità è: "non tanta", reciti con impegno e lasci che la commedia venga da ciò. Sono le circostanze e il personaggio che devono far nascere la commedia, tu devi interagire, come se suonassi del jazz, perché è tutta una questione di musica. In questo film siamo riusciti a far nascere la commedia grazie alla musica di Tiffany e quella di Pat, al ritmo che tengono fra loro nelle battute. È una questione di matematica, ma - ed è questo il segreto della commedia - deve sembrare ed essere spontanea. L'approccio in realtà è lo stesso. Quando, nell'altro film, compare una tigre nel bagno, non abbiamo pensato a come avremmo reso divertente la scena, ma abbiamo recitato in base ai nostri personaggi e alle loro reazioni. Perciò Stu dà di testa, perché ha perso il dente e non pensa a nient'altro, Alan ha paura degli animali e Phil trova che sia divertente. I tre interagiscono, recitando sinceramente, ed ecco che scaturisce la commedia. In questo film è lo stesso, per esempio quando Pat e Tiffany si mettono a discutere dei farmaci che prendono: è la stessa cosa.

Ma c'è una differenza nella regia, tra questo film e le commedie più leggere. Com'è stato lavorare con David O. Russell?
Sì, certo, per l'attore è un conto, per il regista un altro. Io penso che Amori & disastri sia una delle migliori commedie degli ultimi trent'anni. Era il suo secondo film. E penso che Il lato positivo abbia almeno altrettante battute e sia altrettanto divertente. Ma è un film composto da moltissimi aspetti, diversi stilisticamente. Il film inizia e il suo ritmo è come quello di Pat: bipolare, inarrestabile. Poi arriva Tiffany e il film rallenta, possiamo sederci con i personaggi un po' di più. Inizia a cambiare e questa è una decisione molto cosciente da parte del regista, con uno stile visivo e un ritmo paralleli a quelli dei suoi personaggi, del racconto. Non ha nulla a che vedere con il fare una commedia o un dramma, ha a che fare con il come raccontare una storia. La sua domanda era: "come faccio a raccontare questa storia?". Voleva raccontare una storia vera e autentica. The Fighter non era un film su un combattente, era un film sulla famiglia, e questo non è un film sulla malattia mentale ma un film su quei personaggi e sul loro tentativo di sopravvivere in quelle circostanze, come la crisi economica, i licenziamenti, la vita, la morte.

Come definiresti il messaggio del film?
Il libro è diverso, ma il film dice soprattutto: "attenti alle etichette che mettete", le cose non sono sempre quelle che sembrano e tutti, in un modo o nell'altro, siamo messi male. Tutti abbiamo bisogno l'uno dell'altro.

In questo periodo storico è forse più facile ammettere che siamo tutti incasinati...
Sì, penso sia vero e penso che per questo il film capiti ad hoc, in un momento fertile per far capire quanto sono comuni le nostre follie.

Ami di più la fedeltà alle battute o la possibilità di improvvisare?
Quando lavoro a teatro imparo a memoria le mie battute, ma nel cinema è diverso. David O. Russell è per me uno dei migliori cinque sceneggiatori viventi ed è uno che apprezza l'improvvisazione. Woody Allen apprezza l'improvvisazione ed è un magnifico sceneggiatore. Scorsese e Paul Thomas Anderson, che forse oggi è il miglior sceneggiatore al mondo, apprezzano l'improvvisazione. Dipende dalla tecnica narrativa del regista con cui lavori: se Quentin Tarantino non lo apprezza, non lo fai. Se lavori con un regista come David O. Russell e lui la incoraggia, lo fai. Lui stesso improvvisa sul set, riscrive le battute mentre stai recitando una scena e te le passa. Riscrive continuamente, pensa continuamente: è il modo in cui funziona la sua mente creativa. Per questo riesce a uscirsene con dialoghi originalissimi, che sembrano naturalissimi e al contempo sono molto sofisticati. Nessun dialogo nel film sembra mai "pigro", è sempre acuto e ragionato, ed è nato sul momento.

Il tuo personaggio odia alcuni classici della letteratura. Quale classico lanceresti dalla finestra?
Io non lo farei, ma se rileggi i classici della letteratura con gli occhi di qualcuno che cerca solo il buono nella gente, perché la vita è già così dura... è una lente interessante. Prendete "Il signore delle mosche"... perché cavolo uno dovrebbe leggerlo? O "Addio alle Armi" o "Il Grande Gatsby": il poveraccio fa tutta quella fatica e poi gli sparano? Cos'è, uno scherzo? È una lente interessante, e quando lo fai, ti ritrovi a pensare che in fondo Pat non ha tutti i torti.

Gallery


{{PaginaCaricata()}}

Home | Cinema | Database | Film | Calendario Uscite | MYMOVIESLIVE | Dvd | Tv | Box Office | Prossimamente | Trailer | Colonne sonore | MYmovies Club
Copyright© 2000 - 2024 MYmovies.it® - Mo-Net s.r.l. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale. P.IVA: 05056400483
Licenza Siae n. 2792/I/2742 - Credits | Contatti | Normativa sulla privacy | Termini e condizioni d'uso | Accedi | Registrati