gurthang
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venerdì 6 gennaio 2017
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scade progressivamente nel polpettone
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Film che inizia benissimo e scade progressivamente nel polpettone hollywoodiano. La situazione di partenza è emozionante e suscita in qualsiasi persona onesta un senso di ammirazione per il vigore con cui il socialismo sovietico sapeva proteggersi da traditori, sabotatori e delinquenti; la vita nel gulag è rappresentata realisticamente e la prima parte della fuga è al tempo stesso verosimile e coinvolgente.
Purtroppo il film scade poco a poco in un giro del mondo in 80 giorni tanto irrealistico quanto imbevuto dell’ottusa moralità americana, che tutto stravolge sulla base di canoni sufficientemente insulsi da risultare introiettabili al gregge.
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Film che inizia benissimo e scade progressivamente nel polpettone hollywoodiano. La situazione di partenza è emozionante e suscita in qualsiasi persona onesta un senso di ammirazione per il vigore con cui il socialismo sovietico sapeva proteggersi da traditori, sabotatori e delinquenti; la vita nel gulag è rappresentata realisticamente e la prima parte della fuga è al tempo stesso verosimile e coinvolgente.
Purtroppo il film scade poco a poco in un giro del mondo in 80 giorni tanto irrealistico quanto imbevuto dell’ottusa moralità americana, che tutto stravolge sulla base di canoni sufficientemente insulsi da risultare introiettabili al gregge.
Già nell’ambiente del gulag tutti e dico tutti i prigionieri politici sono anime candide come un lenzuolo fresco di bucato. Non c’è una spia, un sabotatore, un ufficiale zarista a cercarlo oro; evidentemente i bolscevichi si divertivano a incarcerare gl’innocenti e lasciare i veri nemici in libertà. Si sa: l’anticomunismo d’accatto è il secondo mito di regime diffuso dalle demoplutocrazie (dopo quello antifascista) e un cineasta avveduto gli presterà dovuto e puntuale ossequio.
Il pastrocchio prosegue colla compagnia di fuggiaschi che sfoggia a ogni fotogramma altissime (e altamente inverosimili) virtù morali: tutti aiutano tutti a rischio della vita; nessuno deruba nessuno; non ci sono liti né controversie per cibo e acqua; nessuno vuol derubare o danneggiare i civili incontrati lungo il cammino; quando incontrano una (ovviamente bella) ragazza fuggitiva la accolgono e la proteggono a proprio rischio senza che a nessuno sfiori la mente di pretendere in cambio prestazioni sessuali; quando qualcuno muore ha il buon gusto di cadere a terra e morire nell’arco di pochi minuti in modo che gli altri non debbano incrinare i propri elevati standard morali abbandonandolo durante l’agonia. E via scretinando. Il film si risolve in un quadretto di genere che non fa alcun tentativo di rappresentare realisticamente le problematiche psicologiche che sorgono in situazioni veramente estreme.
Nemmeno poteva mancare – scherziamo? – l’insopportabile happy end all’americana.
Nel contesto del polpettone anche la motivazione per proseguire il viaggio fino in India dopo essere arrivati in Mongolia e poi in Cina è assolutamente carente: qualsiasi persona ragionevole avrebbe puntato verso l’interno della Cina (all’epoca nazionalista e anticomunista) e lì si sarebbe rivolto alla prima rappresentanza commerciale o diplomatica occidentale.
Con i film americani raramente si sbaglia a buttarli nel cestino della spazzatura.
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folignoli
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sabato 23 aprile 2016
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bellissimo
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Visto ieri sera su Rai 3. Emozionante, ogni film dovrebbe raccontare un'emozione, più che una storia. Le atmosfere dell'est a noi occidentali sconosciute, diventano il simbolo di questo film. Gli spazi sconfinati ti fanno addentrare in un universo in cui la natura era (è) veramente padrona. La cosa che più mi ha colpito è che il film attraversa diverse condizioni metereologiche; dal freddo estremo della Siberia al caldo del deserto, dove la ragazza e il disegnatore perdono la vita. Anche Mr. Smith sta per morire, ma una provvidenziale oasi nel deserto lo salva. Superato il deserto torna la neve... l'Himalaya dove probablmente finisce la loro fuga in un villaggio dove vengono accolti amichevolmente.
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Visto ieri sera su Rai 3. Emozionante, ogni film dovrebbe raccontare un'emozione, più che una storia. Le atmosfere dell'est a noi occidentali sconosciute, diventano il simbolo di questo film. Gli spazi sconfinati ti fanno addentrare in un universo in cui la natura era (è) veramente padrona. La cosa che più mi ha colpito è che il film attraversa diverse condizioni metereologiche; dal freddo estremo della Siberia al caldo del deserto, dove la ragazza e il disegnatore perdono la vita. Anche Mr. Smith sta per morire, ma una provvidenziale oasi nel deserto lo salva. Superato il deserto torna la neve... l'Himalaya dove probablmente finisce la loro fuga in un villaggio dove vengono accolti amichevolmente. Dopo diversi mesi , potranno finalmente dormire tranquilli, senza paura di essere arrestati o sbranati da qualche bestia. Il finale è commovente.
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ginopipillo
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venerdì 22 aprile 2016
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si volta pagina sulla storia.
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Finalmente esce in parte la verità, dopo 70 anni di film e documentari ossessivi sulla shoa e la "resistenza" e di silenzio sui crimini del comunismo.
I gulag non sono stati niente di meno grave dei lager nazisti, con la differenza che gli internati in Siberia non hanno mai avuto il potere economico degli ebrei, oltre al fatto che Stalin aveva vinto la guerra.
Una correzione importantissima è però che il GULag (l'organizzazione dell'arcipelago dei campi) l'ha inventato Lenin ed è andato avanti per molto tempo dopo la morte di Stalin (1953).
Quindi dare la colpa al criminale Stalin è troppo semplice; è il COMUNISMO la vera ideologia ed organizzazione a delinquere.
Lo dimostra il fatto che mentre la tv di stato ci annega nei presunti documentari su Hitler "per non dimenticare" e "perché non succeda mai più", nella Cina del 2016 ci sono i Laogai; cercate su Google questa parola e ne vedrete delle belle sulla crudeltà dell'ideologia comunista.
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Finalmente esce in parte la verità, dopo 70 anni di film e documentari ossessivi sulla shoa e la "resistenza" e di silenzio sui crimini del comunismo.
I gulag non sono stati niente di meno grave dei lager nazisti, con la differenza che gli internati in Siberia non hanno mai avuto il potere economico degli ebrei, oltre al fatto che Stalin aveva vinto la guerra.
Una correzione importantissima è però che il GULag (l'organizzazione dell'arcipelago dei campi) l'ha inventato Lenin ed è andato avanti per molto tempo dopo la morte di Stalin (1953).
Quindi dare la colpa al criminale Stalin è troppo semplice; è il COMUNISMO la vera ideologia ed organizzazione a delinquere.
Lo dimostra il fatto che mentre la tv di stato ci annega nei presunti documentari su Hitler "per non dimenticare" e "perché non succeda mai più", nella Cina del 2016 ci sono i Laogai; cercate su Google questa parola e ne vedrete delle belle sulla crudeltà dell'ideologia comunista. E leggete i meravigliosi saggi di Alexander Soljenitzyn e Varlam Salamov.
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iuriv
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lunedì 9 novembre 2015
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uomini in fuga.
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Si dice ultimamente che le serie televisive stiano diventando il nuovo cinema. Forse è vero. Di sicuro c'è che, probabilmente, i produttori di questo The Way Back avrebbero potuto pensare di realizzarne una, visto l'ampio respiro di questa narrazione. O magari no, data l'importanza del finale circolare, atto a provocare commozione e labbra tremanti negli spettatori e che aveva bisogno di essere consumato a stretto giro.
La scelta di Peter Weir nel raccontare questa storia è stata quella di prendersi tutto il tempo per esaltare l'ambientazione. Ed è una scelta giusta, visto che la natura è un personaggio attivo nella trama (direi il villain, ma è un sostantivo molto inadeguato). I ritmi sono sempre compassati per consentire la minuziosa descrizione dei fuggitivi in progressivo decadimento, e, soprattutto, del loro rapporto con un ambiente avaro di ricompense.
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Si dice ultimamente che le serie televisive stiano diventando il nuovo cinema. Forse è vero. Di sicuro c'è che, probabilmente, i produttori di questo The Way Back avrebbero potuto pensare di realizzarne una, visto l'ampio respiro di questa narrazione. O magari no, data l'importanza del finale circolare, atto a provocare commozione e labbra tremanti negli spettatori e che aveva bisogno di essere consumato a stretto giro.
La scelta di Peter Weir nel raccontare questa storia è stata quella di prendersi tutto il tempo per esaltare l'ambientazione. Ed è una scelta giusta, visto che la natura è un personaggio attivo nella trama (direi il villain, ma è un sostantivo molto inadeguato). I ritmi sono sempre compassati per consentire la minuziosa descrizione dei fuggitivi in progressivo decadimento, e, soprattutto, del loro rapporto con un ambiente avaro di ricompense.
Però l'esigenza di contenere il tutto in due ore di pellicola ha costretto Weir a più di un compromesso. A pagare le scelte stilistiche del regista sono le dinamiche della sopravvivenza. Costretto a sintetizzare il più possibile, spesso Weir fa uso di salti temporali di intere settimane, togliendo il sapore di un'impresa che, oltre alla fatica e al dramma (resi bene sullo schermo) ha portato via anche tempo.
Ai personaggi con capita mai di avere bisogni biologici, che può sembrare una stupidaggine detta così. Eppure, in un racconto che non ha il sapore eroistico di storie analoghe (come La Grande Fuga, per esempio), la dimensione più brutalmente umana delle feci poco solide avrebbe fatto gran bene nel descrivere le difficoltà di un viaggio pressoché impossibile (anche se si tratta di una storia, dicono, vera).
I personaggi in gioco sono (almeno inizialmente) parecchi. Gioco forza il regista punta i riflettori solo su alcuni di loro, tentando di far emergere dal magma qualche pietra solida su cui scolpire. Il risultato è altalenante. Lo schema a eliminazione aiuta la narrazione a far risaltare qualche caratteristica importante o, nel caso del protagonista, un obbiettivo superiore alla mera fuga dal gulag, ma il retrogusto che lascia è quello di caratteri dalla grana grossa (il cuoco, il comico, il criminale, il misterioso e tutta questa roba qui).
Certo, Weir non è un regista da poco, quindi riesce a contrastare il tutto con spettacolari panoramiche del deserto mongolo, nelle quali appare evidente la potenza della natura rispetto a quei puntini scuri che sono gli umani mentre ci camminano in mezzo. E, del resto, le cose migliori del film vengono fuori tutte alla distanza, quando la pattuglia inizia ad assottigliarsi ed emergono alcuni tratti ulteriori, splendidamente evidenziati dalla cura che il regista mette nell'esaltare il paesaggio.
Tanti i temi trattati, più o meno in sottofondo. Le brutture dei regimi totalitari, l'importanza del gruppo nell'esaltare le qualità individuali, la determinazione nel raggiungere uno scopo, la volontà come forza trainante e qualche schiaffo ai pregiudizi qui e la. Ci sarebbe anche la lotta tra l'umanità e la disumanizzazione, argomento che in un survival funziona sempre. Ma qui no. Magari perché trattasi di eventi realmente accaduti, il regista ci va piano con le brutalità degli uomini spinti allo stremo, forse perdendosi una chanche narrativa. Del resto il tempo era quello che era.
Un film tutto sommato interessante ma dall'andamento altalenante. Nella seconda metà, e giù verso il finale, emotivamente da il meglio. Comunque due ore ben spese.
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kondor17
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lunedì 12 gennaio 2015
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bella fotografia.
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Il film è lento e succede pochissimo. l'attenzione resta sveglia grazie a immagini splendide di boschi e montagne e grotte e laghi. La storia, che inizialmente si credeva vera ma che vera poi non è, fece vendere a Rawicz oltre mezzo milione di copie. Anche il libro, come la pellicola, è pieno di pause e di incrongruenze, con una serie interminabile di interrogativi senza risposta.
Parlando del film, manca di ritmo e, visto che si tratta di plausibile realtà, non capisco come un regista come Peter Weir non sia riuscito a renderlo più interessante inserendo scene d'azione che svegliassero dal sonno polare lo spettatore accoccolato sulla poltrona.
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Il film è lento e succede pochissimo. l'attenzione resta sveglia grazie a immagini splendide di boschi e montagne e grotte e laghi. La storia, che inizialmente si credeva vera ma che vera poi non è, fece vendere a Rawicz oltre mezzo milione di copie. Anche il libro, come la pellicola, è pieno di pause e di incrongruenze, con una serie interminabile di interrogativi senza risposta.
Parlando del film, manca di ritmo e, visto che si tratta di plausibile realtà, non capisco come un regista come Peter Weir non sia riuscito a renderlo più interessante inserendo scene d'azione che svegliassero dal sonno polare lo spettatore accoccolato sulla poltrona. Gli attori, l'ambientazione, la storia, 7 anni di tempo per prepararlo... tutto giocava a suo vantaggio. Peccato, un'occasione sprecata. 6-
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giorpost
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venerdì 26 settembre 2014
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la durezza della natura e la tenacia del perdono
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Peter Weir rappresenta una ristretta categoria di cineasti sognatori e visionari che non amano la banalità. Ha diretto Robin Williams nella perla de L’ attimo fuggente e Jim Carrey nel capolavoro The Truman Show fino ad arrivare, nel 2010, a dirigere un cast di ottimo profilo in una storia avventurosa e drammatica: The way back (USA).
Ambientato in un gulag situato nel mezzo della steppa siberiana, il film racconta di un gruppo di prigionieri, catturati più o meno per giusta causa dai russi, che si ritrovano in un campo di concentramento lontano migliaia di kilometri dalla civiltà, al freddo, con cibo scarso e di poca qualità.
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Peter Weir rappresenta una ristretta categoria di cineasti sognatori e visionari che non amano la banalità. Ha diretto Robin Williams nella perla de L’ attimo fuggente e Jim Carrey nel capolavoro The Truman Show fino ad arrivare, nel 2010, a dirigere un cast di ottimo profilo in una storia avventurosa e drammatica: The way back (USA).
Ambientato in un gulag situato nel mezzo della steppa siberiana, il film racconta di un gruppo di prigionieri, catturati più o meno per giusta causa dai russi, che si ritrovano in un campo di concentramento lontano migliaia di kilometri dalla civiltà, al freddo, con cibo scarso e di poca qualità. Un buco recintato ove le guardie si contano su una mano visto che chi dovesse pensare di scappare troverebbe morte certa per fame, perché sbranati dai lupi o, nella migliore delle ipotesi, per ipotermia. E se si dovesse sopravvivere, ci sarebbero i fidi e ligi cittadini a denunciare i fuggiaschi dietro lauto compenso.
Stalin è però solo lo sfondo in quest’ opera dove chi la fa da padrona è la natura in tutto il suo maestoso splendore, attraverso il quale l’ uomo si prefigura pedina minuscola in costante ricerca di protezione dalla sua ira.
Janusz è un soldato polacco accusato di spionaggio, condannato a 20 anni a causa della testimonianza della moglie, probabilmente torturata dai generali sovietici. Interpretato dal promettente Jim Sturgess, già apprezzato in 21, il tenente riesce a raggruppare uno stuolo di uomini disposti a rischiare il tutto per tutto pur di lasciare quel posto, se non altro per ‘morire da uomini liberi’. Siamo nel 1941 in pieno sconvolgimento geopolitico mondiale e nel campo di prigionia convivono russi, polacchi, sinti, americani, inglesi. Uno di essi, l’ ingegnere statunitense Mr Smith (un intenso e pragmatico Ed Harris) dopo alcuni tentennamenti si fa convincere nell’ organizzare un piano di fuga dettagliato quanto spregiudicato. Alla fine saranno sette i componenti e tra essi spiccano un artista polacco, un prete lituano ed un delinquente russo, Valka (Colin Farrell). Il cammino inizia correndo a perdifiato tra i boschi, in una fuga all’ ultimo respiro. Superato il primo pericolo, si presenta dinnanzi agli impavidi protagonisti l’ immensa vastità siberiana, le montagne mongole, il Lago Baikal ed il deserto del Gobi, non prima di aver attraversato i binari della tratta Transiberiana. Il sentiero è quasi casuale, in quanto Janusz calcola volta per volta (in un modo molto particolare) da che parte si trova il Sud e la relativa destinazione finale, ovvero l’ India, in quegli anni ancora colonizzata dai britannici.
Di belle sequenze ce ne sono molte in questa pellicola, come il bagno nel lago, dove tutti si ripuliscono dalle fatiche e dove si fanno la barba per non essere riconosciuti come prigionieri in fuga, o come per la simpatica risoluzione del problema zanzare, raggiunta con l’ ausilio di un collare. Ma ciò che colpisce maggiormente è il legame e l’ empatia che si crea tra persone così diverse tra loro, attraverso gesti di solidarietà e comprensione reciproca, anche quando fa il suo ingresso nel gruppo la fuggiasca Irena, in fuga da Varsavia, alla quale i russi hanno sterminato l’ intera famiglia. L’ unico che appare freddo decisionista senza scrupoli e moralità è proprio Volka, col suo fido coltello pronto a trasformarsi anche in cannibale, se necessario. Farrell veste bene quei panni, ma il volto scavato e sofferente di Harris provoca emozione, trasmette efficacemente il disagio provocato da una natura ostile che non perdona gli sbagli. Il deserto, ad esempio, metafora di una vita nella quale l’ uomo spesso non sa se andare verso un’ oasi incerta oppure seguire la stella sicura, ma più lontana. La scena dell’ arrivo alla pozza d’ acqua in pieno territorio desertico (Gobi, nord della Cina) è straordinaria. La morte arriverà presto, vuoi per incidente, vuoi per disidratazione o per malattia, tanto che, a un certo punto del cammino, la speranza si affievolisce e si trasformerà in un delicato soffio d’ aria lontana mille miglia. Ma Janusz (che spesso sogna una porta di casa che sta per aprirsi) ha dalla sua una determinazione incessante: spiega a Mr Smith di continuare a crederci, perché deve riuscire a ritrovare sua moglie per poterla perdonare, in quanto da sola non riuscirà mai a trovare la pace. Sarà grazie a questa tenacia che in quattro riusciranno a trovare l’ insperata quanto incredibile salvezza, raggiunta dopo migliaia di kilometri percorsi tutti a piedi, riuscendo anche a sormontare l’ Himalaya. L’ India li accoglie a braccia aperte e senza neanche chiedere i passaporti, dopodiché ogni uno prenderà la sua strada. Seguirà un time lapse che riassumerà gli sviluppi successivi alla Seconda Guerra Mondiale, dalla spartizione europea in due blocchi, alla creazione del muro, fino ad arrivare a quel fatidico 1989 e al crollo del regime comunista sovietico. Sarà soltanto allora, dopo aver atteso quasi 50 anni, che Janusz riuscirà a riabbracciare la sua amata, la quale gli riserverà uno sguardo di immensa gratitudine.
Una storia appassionante con un finale sorprendente, girato con onestà intellettuale e senza troppe alchimie tecniche. Un film che trasmette la grandiosità della natura e di quanto possa distruggere le pretese dell’ uomo, ma anche di come può donarti la possibilità di un’ insperata via di fuga trovando anche il tempo per scoprire i reali valori dell' amicizia e di cosa siamo capaci di fare per amore, avendo dentro una tenacia più dura della natura stessa.
Voto: 8
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francesco izzo
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sabato 20 settembre 2014
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un altro bel film di peter weir
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Non c'è alcun dubbio: per me è un bel film. Complimenti al regista e a tutto il cast.
Il gruppo di evasi - al quale poi si aggiunge una ragazza polacca - solidarizza nonostante le forti diversità essenzialmente per sopravvivere.
La diffidenza- anch'essa finalizzata alla sopravvivenza- del gulag si trasforma in coesione umano-animale. Superano così il pericolo di congelamento,lupi,ghiacci,fame e sete - con la perdita di uno solo di loro,affetto da cecità - per arrivare ai deserti della Mongolia. Il criminale comune non se la sente di lasciare la Russia (ha più paura dei debiti che della schiavitù,dice ) e si congeda dagli altri.
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Non c'è alcun dubbio: per me è un bel film. Complimenti al regista e a tutto il cast.
Il gruppo di evasi - al quale poi si aggiunge una ragazza polacca - solidarizza nonostante le forti diversità essenzialmente per sopravvivere.
La diffidenza- anch'essa finalizzata alla sopravvivenza- del gulag si trasforma in coesione umano-animale. Superano così il pericolo di congelamento,lupi,ghiacci,fame e sete - con la perdita di uno solo di loro,affetto da cecità - per arrivare ai deserti della Mongolia. Il criminale comune non se la sente di lasciare la Russia (ha più paura dei debiti che della schiavitù,dice ) e si congeda dagli altri.Che invece non mollano,vanno ancora avanti.
La Mongolia fa anch'essa ormai parte dell'URSS, ma la forza della disperazione ed il profondo anelito alla libertà dei poveri evasi li porta ad andare ancora avanti,attraverso monasteri buddisti devastati e deserti, verso la Cina,il Tibet e l 'India,che per loro rappresenta la libertà.
E l'inquadratura delle stupende catene himalayane nel cielo azzurro -dopo aver perso anche la giovane compagna di viaggio polacca (la natura non ha pietà) - è l'immagine della meta tanto agognata,per la quale da sempre tanti uomini in tutto il mondo si battono,soffrono e lottano : la libertà.
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gadman
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domenica 5 gennaio 2014
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la vita e'una lotta continua
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Un film bellissimo dove c'è la lotta dell'uomo contro l'uomo (politica e ideologia), c'è la lotta dell'uomo contro la natura (la natura ha le sue regole e'l'uomo che per sopravvivere si deve adattare), c'è la lotta dell'uomo con se stesso(ogni uomo ha una sua ragione di vita che ti da' la forza di lottare fino alla fine e vincere le sfide apparentemente impossibili).Grande REGISTA, bellissimo FILM!
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tom vet
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mercoledì 14 agosto 2013
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un altro capolavoro targato peter weir
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Un film meraviglioso quello di Peter Weir!!! Emozionante e coinvolgete; spettacolari i paesaggi e la fotografia, i dialoghi e il trucco!! Tutti gli attori interpretano alla grande il proprio personaggio facendoci immedesimare nella storia e provocando in noi stessi un sentimento di solidarietà verso quegli eroi!!!
Eccezionale anche la rapidità delle scene che nulla toglie alla trama ne incorre nel pericolo di appesantirla...
Un film toccante che consiglio a tutti!!!
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rick_76
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domenica 28 luglio 2013
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bella scenografia
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E' un film godibile, soprattutto per chi prova un certo interesse (non morboso) per la realtè ex-comunista e per come venivano trattati i prigionieri politici (magari qualcuno ha letto anche il libro l'uomo del gulag). Le scene iniziali del film sono realistiche su cosa accadeva in quelle terre.
Apprezzabile davvero la scenografia, straordinaria dall'inizio alla fine. Film un po' lungo, ma cmq non pesante. Bravi gli attori, vi lascerà soddisfatti.
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