The Way Back

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La durezza della natura e la tenacia del perdono Valutazione 4 stelle su cinque

di Giorpost


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venerdì 26 settembre 2014

Peter Weir rappresenta una ristretta categoria di cineasti sognatori e visionari che non amano la banalità. Ha diretto Robin Williams nella perla de L’ attimo fuggente e Jim Carrey nel capolavoro The Truman Show fino ad arrivare, nel 2010, a dirigere un cast di ottimo profilo in una storia avventurosa e drammatica: The way back (USA).
 
Ambientato in un gulag situato nel mezzo della steppa siberiana, il film racconta di un gruppo di prigionieri, catturati più o meno per giusta causa dai russi, che si ritrovano in un campo di concentramento lontano migliaia di kilometri dalla civiltà, al freddo, con cibo scarso e di poca qualità. Un buco recintato ove le guardie si contano su una mano visto che chi dovesse pensare di scappare troverebbe morte certa per fame, perché sbranati dai lupi o, nella migliore delle ipotesi, per ipotermia. E se si dovesse sopravvivere, ci sarebbero i fidi e ligi cittadini a denunciare i fuggiaschi dietro lauto compenso.
Stalin è però solo  lo sfondo in quest’ opera dove chi la fa da padrona è la natura in tutto il suo maestoso splendore, attraverso il quale l’ uomo si prefigura pedina minuscola in costante ricerca di protezione dalla sua ira.
 
Janusz è un soldato polacco accusato di spionaggio, condannato a 20 anni a causa della testimonianza della moglie, probabilmente torturata dai generali sovietici. Interpretato dal promettente Jim Sturgess, già apprezzato in 21, il tenente riesce a raggruppare uno stuolo di uomini disposti a rischiare il tutto per tutto pur di lasciare quel posto, se non altro per ‘morire da uomini liberi’. Siamo nel 1941 in pieno sconvolgimento geopolitico mondiale e nel campo di prigionia convivono russi, polacchi, sinti, americani, inglesi. Uno di essi, l’ ingegnere statunitense Mr Smith (un intenso e pragmatico Ed Harris) dopo alcuni tentennamenti si fa convincere nell’ organizzare un piano di fuga dettagliato quanto spregiudicato. Alla fine saranno sette i componenti e tra essi spiccano un artista polacco, un prete lituano ed un delinquente russo, Valka (Colin Farrell). Il cammino inizia correndo a perdifiato tra i boschi, in una fuga all’ ultimo respiro. Superato il primo pericolo, si presenta dinnanzi agli impavidi protagonisti l’ immensa vastità siberiana, le montagne mongole, il Lago Baikal ed il deserto del Gobi, non prima di aver attraversato i binari della tratta Transiberiana. Il sentiero è quasi casuale, in quanto Janusz calcola volta per volta (in un modo molto particolare) da che parte si trova il Sud e la relativa destinazione finale, ovvero l’ India, in quegli anni ancora colonizzata dai britannici.
 
Di belle sequenze ce ne sono molte in questa pellicola, come il bagno nel lago, dove tutti si ripuliscono dalle fatiche e dove si fanno la barba per non essere riconosciuti come prigionieri in fuga, o come per la simpatica risoluzione del problema zanzare, raggiunta con l’ ausilio di un collare. Ma ciò che colpisce maggiormente è il legame e l’ empatia che si crea tra persone così diverse tra loro, attraverso gesti di solidarietà e comprensione reciproca, anche quando fa il suo ingresso nel gruppo la fuggiasca Irena, in fuga da Varsavia, alla quale i russi hanno sterminato l’ intera famiglia. L’ unico che appare freddo decisionista senza scrupoli e moralità è proprio Volka, col suo fido coltello pronto a trasformarsi anche in cannibale, se necessario. Farrell veste bene quei panni, ma il volto scavato e sofferente di Harris provoca emozione, trasmette efficacemente il disagio provocato da una natura ostile che non perdona gli sbagli. Il deserto, ad esempio, metafora di una vita nella quale l’ uomo spesso non sa se andare verso un’ oasi incerta oppure seguire la stella sicura, ma più lontana. La scena dell’ arrivo alla pozza d’ acqua in pieno territorio desertico (Gobi, nord della Cina) è straordinaria. La morte arriverà presto, vuoi per incidente, vuoi per disidratazione o per malattia, tanto che, a un certo punto del cammino, la speranza si affievolisce e si trasformerà in un delicato soffio d’ aria lontana mille miglia. Ma Janusz (che spesso sogna una porta di casa che sta per aprirsi) ha dalla sua una determinazione incessante: spiega a Mr Smith di continuare a crederci, perché deve riuscire a ritrovare sua moglie per poterla perdonare, in quanto da sola non riuscirà mai a trovare la pace. Sarà grazie a questa tenacia che in quattro riusciranno a trovare l’ insperata quanto incredibile salvezza, raggiunta dopo migliaia di kilometri percorsi tutti a piedi, riuscendo anche a sormontare l’ Himalaya. L’ India li accoglie a braccia aperte e senza neanche chiedere i passaporti, dopodiché ogni uno prenderà la sua strada. Seguirà un time lapse che riassumerà gli sviluppi successivi alla Seconda Guerra Mondiale, dalla spartizione europea in due blocchi, alla creazione del muro, fino ad arrivare a quel fatidico 1989 e al crollo del regime comunista sovietico. Sarà soltanto allora, dopo aver atteso quasi 50 anni, che Janusz riuscirà a riabbracciare la sua amata, la quale gli riserverà uno sguardo di immensa gratitudine.
 
Una storia appassionante con un finale sorprendente, girato con onestà intellettuale e senza troppe alchimie tecniche. Un film che trasmette la grandiosità della natura e di quanto possa distruggere le pretese dell’ uomo, ma anche di come può donarti la possibilità di un’ insperata via di fuga trovando anche il tempo per scoprire i reali valori dell' amicizia e di cosa siamo capaci di fare per amore, avendo dentro una tenacia più dura della natura stessa.
 
Voto: 8

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