maxseven
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mercoledì 2 marzo 2011
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film di john wayne o film dei coen
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"Chissa come saranno i film di John Waine tra 40 anni ?" Avrebbero potuto chiedersi i nostri padri o i nostri nonni fantasticando sul futuro del cinema. Si perchè la forza dell' attore americano era tale che i film non erano semplicemente western ma erano i film di Wayne! La domanda che invece dobbiamo farci oggi e' come avranno adattato oggi i Coen un romanzo di Portis? E la risposta è prontamente data: con una fotografia meravigliosa capace di riportarci a quella epoca sospesa tra l'onore e la viltà , tra l'onestà e l' avidità , tra il coraggio e la rassegnazione; con l'ironia tipica dei fratelli; con un pizzico di crudezza fatta di lingue quasi mozzate e altre mutilazioni.
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"Chissa come saranno i film di John Waine tra 40 anni ?" Avrebbero potuto chiedersi i nostri padri o i nostri nonni fantasticando sul futuro del cinema. Si perchè la forza dell' attore americano era tale che i film non erano semplicemente western ma erano i film di Wayne! La domanda che invece dobbiamo farci oggi e' come avranno adattato oggi i Coen un romanzo di Portis? E la risposta è prontamente data: con una fotografia meravigliosa capace di riportarci a quella epoca sospesa tra l'onore e la viltà , tra l'onestà e l' avidità , tra il coraggio e la rassegnazione; con l'ironia tipica dei fratelli; con un pizzico di crudezza fatta di lingue quasi mozzate e altre mutilazioni. Il limite di questo film sta nel fatto di non aver saputo o voluto osare un pochino dando foraza al simbolismo che la storia avrebbe potuto svelare cosi che il film scorre semplice semplice senza invadere troppo la mente di chi lo guarda ma sfiorandola soltanto. Nonostanzte ciò la mano dei Coen si vede e si sente ; alzi la mano ad esempio chi non ha , fosse anche per un solo istante, rivisto nel personaggio che fu di Wayne un pizzico del Drugo di Lebowskyana memoria. Insomma non faciamo paragoni perchè questo non è un film di John Waine e non è certo un film di Jeff Bidges ma è decisamente un film dei Coen.
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nino pell.
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lunedì 7 marzo 2011
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in viaggio verso la vendetta
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Film dei fratelli Coen sicuramente di buona fattura. Stilisticamente ineccepibile sia per il livello interpretativo che per l'ambientazione solida e matura attraverso la quale si respira e si assapora tutto il fascino dell'epoca del west. La giovanissima Mattie Ross intraprende, con lucida testardaggine e convinzione, un viaggio, in compagnia dello sceriffo Rooster Cogburn (vecchia volpe) e del texano LaBoeuf alla ricerca dell'assassino di suo padre. Un viaggio fatto soprattutto di ricordi e anche di attriti e disparità di vedute tra i tre protagonisti. Ma, alla fine, proprio quando l'ardua impresa di trovare il famigerato criminale, sembra dover essere abbandonata a causa del sopravvenire di un certo sconforto nel poter concretizzare tale intento, ecco che, in un laghetto e dinnanzi allo sguardo sorpreso della giovane Mattie, ecco comparire, come d'incanto, proprio il ricercato Tom Chaney.
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Film dei fratelli Coen sicuramente di buona fattura. Stilisticamente ineccepibile sia per il livello interpretativo che per l'ambientazione solida e matura attraverso la quale si respira e si assapora tutto il fascino dell'epoca del west. La giovanissima Mattie Ross intraprende, con lucida testardaggine e convinzione, un viaggio, in compagnia dello sceriffo Rooster Cogburn (vecchia volpe) e del texano LaBoeuf alla ricerca dell'assassino di suo padre. Un viaggio fatto soprattutto di ricordi e anche di attriti e disparità di vedute tra i tre protagonisti. Ma, alla fine, proprio quando l'ardua impresa di trovare il famigerato criminale, sembra dover essere abbandonata a causa del sopravvenire di un certo sconforto nel poter concretizzare tale intento, ecco che, in un laghetto e dinnanzi allo sguardo sorpreso della giovane Mattie, ecco comparire, come d'incanto, proprio il ricercato Tom Chaney. Film dalla regia di classe, come ribadito sopra, ma tanto carico di attesa nella ricerca della vendetta, quanto evanescente e sbrigativo negli attimi in cui essa si realizza. Un film, appunto, che sembra essere stato costruito più sui sentimenti e sui svariati labirinti mentali dell'animo umano piuttosto che sull'azione e sugli esiti conseguenziali ad essa. Commento complessivo? Pellicola discreta.
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fabio1957
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mercoledì 17 giugno 2015
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bello
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Bel remake di un film già di suo notevole, che aveva Wayne per protagonista,effettivamente concordo con i critici, i fratelli Coen hanno adattato in maniera esemplare il romanzo da cui è tratto ,forse addirittura superando l'originale.L'interpretazione di Bridges è eccellente e credibile.Naturalmente il paragone con il nostro leggendario eroe è improponibile.Il mito su cui poggia la fama di Waine è intramontabile
Da vedere
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renato c.
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martedì 3 novembre 2015
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ottimo remake!
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Fare un remake del film che ha fatto vincere l'oscar come miglior attore protagonista a John Wayne non è cosa semplice, specialmente con un regista specialista del western come Henry Hataway! Eppure i fratelli Coen ci sono riusciti molto bene! Hanno diretto un western dei nostri giorni che, John Wayne a parte, supera l'originale! L'atmosfera western non manca Jeff Bridges rende forse il protagonista un po' più umano, ed anche Matt Damon e Josh Brolin reggono bene la loro parte! Hailee Steinfeld impersona una Mattie Ross col carattere giusto ma ha proprio l'aspetto da bambina, col visino tondo e tanto di trecce!! Kim Darby, nel film originale ha più l'aspetto della ragazza, giovane sì che già dall'aspetto dimostra sicurezza, freddezza e sapeva perfettamente cosa voleva! Il resto scorre bene
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Fare un remake del film che ha fatto vincere l'oscar come miglior attore protagonista a John Wayne non è cosa semplice, specialmente con un regista specialista del western come Henry Hataway! Eppure i fratelli Coen ci sono riusciti molto bene! Hanno diretto un western dei nostri giorni che, John Wayne a parte, supera l'originale! L'atmosfera western non manca Jeff Bridges rende forse il protagonista un po' più umano, ed anche Matt Damon e Josh Brolin reggono bene la loro parte! Hailee Steinfeld impersona una Mattie Ross col carattere giusto ma ha proprio l'aspetto da bambina, col visino tondo e tanto di trecce!! Kim Darby, nel film originale ha più l'aspetto della ragazza, giovane sì che già dall'aspetto dimostra sicurezza, freddezza e sapeva perfettamente cosa voleva! Il resto scorre bene ed il finale è diverso dall'originale il protagonista muore ad età ben avanzata; mentre il "grinta" di John Wayne sopravvive e torna in un sequel! Ottima comunque la scena con Mattie Ross cresciuta, è molto significativa!
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giovanni morandi
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giovedì 17 novembre 2022
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jeff bridges vs john wayne giovanni morandi
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Il racconto è narrato dalla protagonista Mattie Ross, la quale, da adulta, spiega come suo padre sia stato ucciso da un uomo della zona, Tom Chaney, quando ella aveva appena 14 anni. Chaney si diede alla fuga dopo l'assassinio con i cavalli del padre di Mattie e due dei suoi pezzi d'oro "della California". Mentre riconosce il corpo del padre, la giovane Mattie cerca di trovare qualcuno che la aiuti a vendicare la morte del padre, rintracciando e uccidendo Chaney. Ella riceve tre raccomandazioni, ma sceglie di ingaggiare Rooster Cogburn (Jeff Bridges), in quanto le è stato descritto come il più spietato.
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Il racconto è narrato dalla protagonista Mattie Ross, la quale, da adulta, spiega come suo padre sia stato ucciso da un uomo della zona, Tom Chaney, quando ella aveva appena 14 anni. Chaney si diede alla fuga dopo l'assassinio con i cavalli del padre di Mattie e due dei suoi pezzi d'oro "della California". Mentre riconosce il corpo del padre, la giovane Mattie cerca di trovare qualcuno che la aiuti a vendicare la morte del padre, rintracciando e uccidendo Chaney. Ella riceve tre raccomandazioni, ma sceglie di ingaggiare Rooster Cogburn (Jeff Bridges), in quanto le è stato descritto come il più spietato. Egli però inizialmente rifiuta più volte i suoi tentativi di ingaggiarlo. Nel frattempo, nella casa in cui sta soggiornando Mattie, giunge il ranger texano La Boeuf (Matt Damon), anch'egli sulle tracce di Chaney. La Boeuf lo sta inseguendo da diversi mesi dopo l'omicidio di un senatore in Texas. Egli le propone di formare una squadra con Cogburn, unendo così chi conosce il territorio e chi conosce bene il fuggitivo. Ma Boef non accetta l'offerta: anche a causa del caratteraccio di Cogburn.Il vecchio sceriffo e la ragazza si metteranno comunque alla caccia, e dopo mille peripezie, anche aiutati dal Ranger che, scelta un'altra strada, sarà salvato dal vecchio sceriffo, e poi, ricambiera' il favore tornando, dopo una nuova divisione a dar manforte alla ragazzina ed allo sceriffo. Purtroppo, nonostante che lei stessa uccidera' l'assassino del padre cadrà in una grotta e sarà morsa da un serpente. Qui il vecchio Cogburn darà il suo meglio, in una lotta contro il tempo per portare la ragazzina in salvo, che, però, subirà l'imputazione del braccio.
Il film anche se è un remake del film di Hataway con John Wayne, nella parte di Bridges, a distanza di quaranta anni, e, per il piglio più drammatico e cruento, grazie all'impegno sia nella sceneggiatura, ma soprattutto nella regia dei fratelli Coen, risulta molto più realistico e convincente del film con Wayne, ed anche il personaggio, protagonista insieme alla ragazzina, molto più interessante, la storia è avvincente e piacevole anche per un pubblico che non stravede per il genere Western.
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andaland
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sabato 19 febbraio 2011
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bello
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Una regia e sceneggiatura senza sbavature, un Jeff Bridges immenso, con tanta azione e ironia. Degno della fama che lo sta pubblicizzando. Bravi i fratelli Coen a riproporre in modo adeguato un classico rivisitato.
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ultimoboyscout
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sabato 26 febbraio 2011
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il tempo che ci sfugge.
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Più che un remake del film con John Wayne è un fedele adattamento del romanzo da cui è tratto. Grande Bridges, attore icona per i Cohen, finalmente preso in considerazione per molti film importanti, nei panni di uno sceriffo che varrà preso per mano dalla ragazzina Hailee Steinfeld, autentica protagonista del film, in un viaggio in cui la ragazzina cercava la legge trovando in parte giustizia ma soprattutto vendetta. Sceriffo ben diverso da quello di Wayne, meno classico, meno rassicurante, più antieroe, d'altri tempi lo si potrebbe definire e decisamente coheniano. E il grande merito dei registi è quello di aver ripreso un grande successo e averlo fatto proprio, di aver creato un western non-western, insolito e brillantissimo, sopra le righe e totalmente fuori dagli schemi.
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Più che un remake del film con John Wayne è un fedele adattamento del romanzo da cui è tratto. Grande Bridges, attore icona per i Cohen, finalmente preso in considerazione per molti film importanti, nei panni di uno sceriffo che varrà preso per mano dalla ragazzina Hailee Steinfeld, autentica protagonista del film, in un viaggio in cui la ragazzina cercava la legge trovando in parte giustizia ma soprattutto vendetta. Sceriffo ben diverso da quello di Wayne, meno classico, meno rassicurante, più antieroe, d'altri tempi lo si potrebbe definire e decisamente coheniano. E il grande merito dei registi è quello di aver ripreso un grande successo e averlo fatto proprio, di aver creato un western non-western, insolito e brillantissimo, sopra le righe e totalmente fuori dagli schemi. I Cohen confezionano un'altra pellicola delle loro, un gioiellino come solo loro riuscirebbero, azione, avventura e battute a raffica mixate a tanto sentimento vero. Brolin pochi minuti di qualità, Damon con quei baffoni è troppo curioso ma pur sempre bravissimo e si mette a disposizione di Bridges con grande umiltà. Un Bridges tra i papabili per l'Oscar, probabilmente ci starà pure (anche se non ho visto i film con gli altri candidati), basterà avere ancora qualche ora di pazienza per sapere come andrà a finire. Molto prossimi alla quinta stella.
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edward teach
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domenica 20 febbraio 2011
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il cavallo tuttomatto
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Doveva morire povero cavallino, anche se quel nome in italiano è bruttissimo. Doveva morire perché la sua fine è il necessario distacco dalla prima giovinezza magica e invincibile al momento del passaggio nell'età adulta. Per questo la bambina piange tanto ma il Grinta senza pietà lo uccide perché senza quella morte la ragazzina non si sarebbe mai salvata ovvero, in altri termini, non sarebbe mai cresciuta.
Perché il serpente del male l'ha morsa quando lei ha ucciso il cattivo e il peccato è che la giustizia non va mai confusa con l'implacabile sete di vendetta ( molto bravo Joker che parla di Moby Dick).
Il profluvio di cadaveri, di cu si fa commercio fra l'altro, le misteriose presenze di taciturni indiani o di onirici dottori vestiti di pelli di orso, certe allusioni come quando la bambina dice "Mia madre sa solo scirvere cane" .
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Doveva morire povero cavallino, anche se quel nome in italiano è bruttissimo. Doveva morire perché la sua fine è il necessario distacco dalla prima giovinezza magica e invincibile al momento del passaggio nell'età adulta. Per questo la bambina piange tanto ma il Grinta senza pietà lo uccide perché senza quella morte la ragazzina non si sarebbe mai salvata ovvero, in altri termini, non sarebbe mai cresciuta.
Perché il serpente del male l'ha morsa quando lei ha ucciso il cattivo e il peccato è che la giustizia non va mai confusa con l'implacabile sete di vendetta ( molto bravo Joker che parla di Moby Dick).
Il profluvio di cadaveri, di cu si fa commercio fra l'altro, le misteriose presenze di taciturni indiani o di onirici dottori vestiti di pelli di orso, certe allusioni come quando la bambina dice "Mia madre sa solo scirvere cane" ... perché "cane"? Perché in inglese si dice "Dog" e si vuole dire che la comprensione della volontà di Dio (God) è stata compresa al contrario dalla madre creando i presupposti per l'insaziabile e ostinatissimo desiderio di vendetta e di onnipotenza della bimba che la porterà a cadere nel fosso socuro dove sarà morsa dal serpente?
Tutto questo simbolismo biblico-junghiano è interessantissimo ma a mio avviso un po' male amalgamato dai Coen. O forse ha ragione D'Agostini quando dice che alla fine è la pofonda miseria della troppo breve storia americana a rivelarsi, nel film.
Chi vuole può rispondere anche criticando ma vi prego di non rompere le scatole con i giudizi di buono o nn buono che sono cose da fessacchiotti, grazie.
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pepito1948
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giovedì 24 febbraio 2011
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il regista a due teste ed i suoi depistaggi
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IL GRINTA dei fratelli Cohen
Dopo 42 anni da Il Grinta di Henry Hathaway con il mitico John Wayne, arriva nelle nostre sale l’ultima fatica dei fratelli Cohen, con lo stesso titolo e tratto dallo stesso romanzo. Il “regista con due teste”, come qualcuno li ha chiamati, in una recente intervista respinge la connotazione di “remake” del film con Wayne, ed afferma di non aver voluto girare un western alla John Ford ma di essersi ispirato direttamente alla storia del romanzo di Portis .
C’è sicuramente molto western nel nuovo Grinta dei Cohen, almeno quanto a cornice, ambientazione, moventi, paesaggi, personaggi fissi, duelli.
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IL GRINTA dei fratelli Cohen
Dopo 42 anni da Il Grinta di Henry Hathaway con il mitico John Wayne, arriva nelle nostre sale l’ultima fatica dei fratelli Cohen, con lo stesso titolo e tratto dallo stesso romanzo. Il “regista con due teste”, come qualcuno li ha chiamati, in una recente intervista respinge la connotazione di “remake” del film con Wayne, ed afferma di non aver voluto girare un western alla John Ford ma di essersi ispirato direttamente alla storia del romanzo di Portis .
C’è sicuramente molto western nel nuovo Grinta dei Cohen, almeno quanto a cornice, ambientazione, moventi, paesaggi, personaggi fissi, duelli. Analizziamo meglio. Nel western classico in linea generale tutto nasce dalla Vendetta, che è il motore propulsivo e motivazionale della vicenda che tende alla punizione del colpevole ed a cui i personaggi sono legati, come perseguitori o resistenti. La lotta tra queste due categorie di “attori” genera conflitto, e, visti gli strumenti usati per risolverlo, il prezzo è la soccombenza dei meno forti o dei perdenti. La legge impera e quindi gli schieramenti sono conseguenziali al suo rispetto o alla sua violazione; sceriffi e banditi, cacciatori e prede, inseguitori ed inseguiti, oltre ad una folla di spettatori che assistono passivamente o si trovano coinvolti nelle gesta degli uni e degli altri. La pistola o il fucile sono i mezzi sbrigativi di persuasione o di resistenza, in un mondo in cui il dialogo e la dialettica hanno scarsa presa sui contendenti. L’ambiente è quello dei villaggi polverosi e sperduti tra vaste distese selvagge dell’America di fine ‘800. L’epopea del lontano Ovest è essenzialmente uomocentrica, la presenza femminile è irrilevante o funzionale alle imprese degli uomini. I massimi rappresentanti delle due fazioni (pro o contro la legge) sono ben delineati, e chi prevale nello scontro finale trionfa e sopravvive.
Naturalmente dai Cohen non ci si aspetta che i fondamentali del genere classico siano rispettati. Tutt’altro; i nostri sono abili manipolatori dei generi storicamente codificati, e ne cambiano le regole spiazzando continuamente lo spettatore. Sicchè, mentre Non è un Paese per vecchi è nella sostanza un western ambientato in una cittadina americana ai giorni nostri, il nostro Grinta è una storia di uomini e donne coinvolti in un unico disegno e delle loro interazioni, di valori, di incontri e scontri, che vengono innestati in una cornice da Far West con i suoi tipici ingredienti come impiccati, sparatorie, speroni, cavalcate, ecc.
Dunque, prima variante: il film inizia e finisce, in un’ottica di circolarità narrativa, con una donna, che è la vera protagonista, colei che avvia il progetto di vendetta predisponendo le condizioni migliori per darvi attuazione. E’ lei che, appena 14enne, per sistemare preliminarmente alcune questioni in sospeso, contratta alla pari con un un furbacchione che aveva fatto affari con il padre, con cui ingaggia un lungo duello a distanza ravvicinata e verbale di mosse e contromosse, in cui si dimostra all’altezza dell’interlocutore nel conquistare il massimo vantaggio possibile (qui forse s’intravede una sottile autoironia dei registi nel ricordare la propria origine ebraica). E’ lei che assolda il vendicatore, si allea ad un Ranger federale interessato alla stessa preda, accompagna i due uomini di legge fino alla resa dei conti, che ricompare dopo anni per rivivere il ricordo di quella vicenda davanti a ciò che resta del suo salvatore.
Il vendicatore prescelto è un attempato sceriffo orbo di un occhio, appesantito dagli anni e dall’alcool, sepolto sotto i panni corposi ed ingombranti che affievoliscano il senso di freddo, indurito da una vita spigolosa e sempre attratto dall’odore dei soldi, ma ancora sensibile alle richieste di giustizia, oltre che ammantato dalla fama di grande pistolero. Cogburn è recalcitrante, burbero, poi conciliante ed infine accondiscende al progetto di una ragazzina che ha dimostrato di essere ai suoi occhi un “vero uomo”. Non è l’uomo tutto d’un pezzo con il fazzoletto rosso al collo di John Wayne, ma l’anziano sceriffo che ha perso per strada qualche pezzo e la sicurezza giovanile, conservando tuttavia i tratti valoriali della scelta di campo a suo tempo effettuata e mantenuta.
L’assassino ricercato verso cui converge la ricerca e l’attenzione di noi spettatori, è in realtà un imbecille che , grazie ad un incontro casuale, presto esce di scena. Inaspettatamente la preda cambia volto ed il duello finale si trasforma in singolar tenzone dove i contendenti, pistole in resta, si lanciano al galoppo sfidandosi all’ultimo sangue.
Tutto si svolge in Arkansas –che è ad Est, non ad Ovest- in ambientazioni fredde, nevose, in distese che non hanno nulla a che vedere con i territori desertici e piatti contrassegnati da cactus e torri rocciose a picco, tipici scenari in cui si muovevano i “cow boys” tradizionali.
Pertanto i continui depistaggi , i personaggi fuori schema, i movimenti imprevedibili delle pedine in campo rendono costantemente viva l’attenzione verso una vicenda in cui ha poco spazio l’azione e prevale il dialogo, la dinamica tra i tre partecipanti alla caccia, fatta di alleanze, separazioni, scontri, solidarietà. Un film che svela citazioni importanti (mi vengono in mente Uomini e cobra o un certo Spielberg ossessionato dalla presenza minacciosa dei serpenti), accuratissimo, come sempre, nella confezione e preziosità delle immagini: memorabile l’affannosa corsa notturna sul cavallo nero il cui sudore brilla nel vago chiarore della sabbia illuminata dal cielo stellato.
Jeff Bridges, molto maturato negli ultimi anni, ritorna nel circo Cohen con un’interpretazione di alto spessore ed intelligentemente contenuta (in un ruolo che, visto il personaggio, si presterebbe facilmente ad eccessi istrionici), mentre Matt Damon, trasformato dal truccatore da Big Jim, come qualcuno l’ha definito, ad uomo del West, mi sembra fuori parte:ma forse questo rientra nelle depistanti atipicità che i fratelli registi tanto amano.
Resta l’impressione comunque che il nuovo Grinta non raggiunga la vetta artistica di altri film dei Cohen e, quanto alle numerose candidature agli Oscar, non credo regga il confronto con il diretto concorrente: Il discorso del Re e Colin Firth sono ben altra cosa, anche se dai Signori di Hollywood c’è da aspettarsi di tutto.
CLAUDIO
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brian77
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sabato 26 febbraio 2011
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buono
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Temevo che i Coen usassero il western per prenderne le distanze, fare giochetti e strizzatine d'occhio, citazionismi sterili e cose del genere. Invece hanno preso il genere e la vicenda seriamente, ci hanno raccontato una delle loro storie terribilmente cupe e amare, in cui una ragazzina determinata va in cerca di giustizia, sembra aver tutto per affrontare la vita e invece si ritrova soltanto in mezzo alla morte e all'assurdo: menomata, sterile, senza aver vissuto, in una vita ridotta a un cimitero senza senso. Solito nichilismo dei Coen, si dirà. Però il racconto è solido, l'ironia non è stupidamente smitizzante ma contribuisce allo smarrimento di un senso profondo dell'esistenza. Buono, senza particolari colpi di genio.
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Temevo che i Coen usassero il western per prenderne le distanze, fare giochetti e strizzatine d'occhio, citazionismi sterili e cose del genere. Invece hanno preso il genere e la vicenda seriamente, ci hanno raccontato una delle loro storie terribilmente cupe e amare, in cui una ragazzina determinata va in cerca di giustizia, sembra aver tutto per affrontare la vita e invece si ritrova soltanto in mezzo alla morte e all'assurdo: menomata, sterile, senza aver vissuto, in una vita ridotta a un cimitero senza senso. Solito nichilismo dei Coen, si dirà. Però il racconto è solido, l'ironia non è stupidamente smitizzante ma contribuisce allo smarrimento di un senso profondo dell'esistenza. Buono, senza particolari colpi di genio. Naturalmente, il film di Hathaway con John Wayne era tutt'altra cosa: ma quello era un cinema più grande della vita, costruiva personaggi che nella loro apparente semplicità antintellettuale appartenevano al mito. Era un cinema di giganti che incarnava l'epica di un secolo. Nella melma del cinema-stylo più piccolo della vita che si vede oggi, piccolo come un poetino che fa la sua poesiola o un pittore che fa il suo quadretto o insomma un artista che fa la sua operina per le galleriette d'arte e i salottini borghesi e i cervellini dei figli dei proprietari di quei salottini e di quelle galleriette, questo film mi basta eccome.
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