Anno | 2010 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 74 minuti |
Regia di | Claudio Serughetti |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 16 gennaio 2014
Un approfondimento sulle esecuzioni nel mondo che vede, al primo posto la Cina (5.000 condanne), seguita dall'Iran, Iraq e Stati Uniti.
CONSIGLIATO SÌ
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La punizione di uccidere chi ha ucciso è incomparabilmente più grande del delitto stesso. L'omicidio in base ad una sentenza è incomparabilmente più atroce che non l'omicidio del malfattore". C'è anche la voce di Dostoevskij, condannato a morte e poi graziato, nel documentario di Serughetti dedicato a chi è in attesa della sentenza capitale, nei paesi che ancora prevedono che lo Stato faccia "giustizia" nel più irrimediabile dei modi. E poi ci sono le voci del missionario Alex Zanotelli, degli artisti Peter Gabriel, Bernardo Bertolucci, Dario Fo, Marco Bellocchio, Oliviero Toscani, di intellettuali provocatori come Massimo Fini, di rappresentanti della comunità islamica come Ahmad Gianpiero Vincenzo.
È tuo il mio ultimo respiro? è il titolo di questo lavoro, realizzato in collaborazione con l'associazione Nessuno tocchi Caino, e in questa domanda ci sono già la richiesta di un senso che sfugge (la cosiddetta civiltà -si chiede Fo- non dovrebbe essere sinonimo di diritto alla vita?) e la scelta del regista di personalizzare l'indagine, mettendosi in campo con estrema discrezione, ma soprattutto mettendosi in mezzo. Perché l'argomento di chi invoca la pena capitale è appunto quello che invita a misurare il crimine sulla propria persona (il "se fossa tuo/a figlio/a, la vittima"?), senza magari chiedersi altrettanto spesso: "e se fosse invece l'assassino?". Viene in mente, allora, un'altra voce della letteratura, qui non evocata, quale quella di Truman Capote, che assistette all'impiccagione di Perry Smith, senza mai riprendersene del tutto. "Io e Perry siamo nati nella stessa casa, solo che lui è uscito dalla porta sul retro, io da quella davanti", diceva lo scrittore, alludendo alle somiglianze delle loro origini, salvo poi aver preso strade diverse e avuto destini opposti.
E pensare che sono invece i famigliari delle vittime a voler spesso assistere alla messa a morte, per placare la sete di risarcimento. E pensare che sono proprio le superpotenze, Cina e Stati Uniti d'America, a mietere il maggior numero di vittime. Si fanno strada così, tra considerazioni come queste e immagini per forza di cose crude e brutali (eppure ancora lontane dall'ineffabile esperienza che documentano), due pensieri più forti di altri. Da un lato l'idea, che mette d'accordo molti degli intervistati, che non sia un caso: perché la pena di morte non serve a redimere -lo dicono le statistiche per prime-, ma serve soprattutto e soltanto al potere, per ribadire se stesso. Dall'altro la riflessione di Zanotelli, per cui quel che occorre, e che stiamo ancora aspettando, è una rivoluzione antropologica (morale, culturale, spirituale) che faccia evolvere l'Homo Sapiens in Homo Planetarius: un essere che abbia coscienza che questo pianeta è la nostra unica casa e i suoi abitanti vanno difesi, nessuno escluso.
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