olgadik
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mercoledì 16 settembre 2009
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il grande sogno e il brutto risveglio
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Il GRANDE SOGNO di Michele Placido
con Jasmine Trinca, Riccardo Scamarcio, Luca Argentero
Premetto che non è facile cimentarsi con il passato prossimo quando le sabbie sono ancora mobili e tizzoni di passione forti non ancora spenti del tutto, dormono sotto la cenere. In forma di diario, di letteratura, di film e di documentari, molti autori hanno cercato di far rivivere quel periodo che, qualsiasi giudizio si intenda esprimere, è certo un fenomeno complesso e ancora strumentalizzato a diversi fini. Michele Placido nel pensare al suo film non ha voluto fare la storia di quegli anni (lo dichiara lui stesso) e questo va bene; il problema è che si è fermato a metà del guado, con il risultato di non raccontare né questo né quello.
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Il GRANDE SOGNO di Michele Placido
con Jasmine Trinca, Riccardo Scamarcio, Luca Argentero
Premetto che non è facile cimentarsi con il passato prossimo quando le sabbie sono ancora mobili e tizzoni di passione forti non ancora spenti del tutto, dormono sotto la cenere. In forma di diario, di letteratura, di film e di documentari, molti autori hanno cercato di far rivivere quel periodo che, qualsiasi giudizio si intenda esprimere, è certo un fenomeno complesso e ancora strumentalizzato a diversi fini. Michele Placido nel pensare al suo film non ha voluto fare la storia di quegli anni (lo dichiara lui stesso) e questo va bene; il problema è che si è fermato a metà del guado, con il risultato di non raccontare né questo né quello. Mi riferisco a quanto avveniva in un crogiolo quasi mondiale (c’erano di mezzo gli Usa, la guerra in Vietnam, Cuba, la Cina, ecc.) o alle realtà minimali rappresentate dai singoli, dai loro sentimenti, da quelli delle famiglie e da chi viveva gli effetti del ciclone Sessantotto.
Questo limite basilare è poi aggravato dalla scelta stilistica: uno stile realistico, ridondante, tutto lampi e baleni, tutto ondeggiamenti di camera e chiaroscuri esasperati fino ad arrivare all’inerte citazione delle Deposizioni di Cristo nella nostra pittura manierista, a proposito dei morti di Avola. Questo genere di linguaggio era adatto a un film come “Romanzo criminale”, certo il migliore di Placido, ma s’addice poco a “Il grande sogno” che rischia spesso di avere come sfondo solo la famiglia o lo scontro fisico tra polizia e studenti. Meglio se l’autore avesse usato per la ricostruzione del contesto spezzoni autentici d’epoca, foto, opere-documento (come quella di Silvano Agosti) e avesse dato maggiore spessore e rilievo alle vicende dei protagonisti con un’analisi più efficace. Non mi dilungo sull’interpretazione personale del regista circa i contenuti del movimento, anche se ne registro l’ottica limitativa e confusa. Alla fine uno spettatore ignaro dei fatti (i giovani ad esempio) recepisce che quel grande sogno non solo non ha portato a quasi nulla ma che ha prodotto quasi unicamente sconquassi e dolore. Gli eventi più vicini, non ancora storia con la maiuscola, ognuno li vive secondo esperienza e sensibilità, ma viene il sospetto che in fondo in fondo Placido conservi qualcosa del poliziotto che è stato.
La trama altro non è che il modo diverso in cui i tre protagonisti vivono la situazione. Nicola (Riccardo Scamarcio) è un giovane pugliese che fa il poliziotto per necessità ma vuole diventare un attore; Libero (Luca Argentero) è l’idealista rivoluzionario acceso e convinto sul piano politico ma confusissimo sul piano sentimentale; Laura (Jasmine Trinca, la migliore come interpretazione) è una studentessa che, da cattolica tradizionalista secondo famiglia, diventa una cattocomunista alla ricerca di nuove verità amorose o politiche. Alla fine è lei il personaggio più equilibrato e maturo. Dato atto al regista della testardaggine e passione con cui ha voluto realizzare il film, ci si domanda però se la sceneggiatura dica davvero qualcosa di convincente sul ’68 o non sia una sintesi riduttiva infine inutile di quell’evento umano, politico e sociale.
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giorgio47
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venerdì 18 settembre 2009
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l'umilta' il pregio del film
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Un film sul sessantotto, sull’anno 1968 e in parte sul 1969. Chiariamo subito che non è un film sugli anni settanta o ottanta, non è un film sulle lotte operaie, anche se un accenno, giustamente, c’è; è un film sull’utopia che sboccia nel 1968 in tutto il mondo e quindi, anche in Italia.
E’ un buon film! Il titolo fa chiaramente riferimento al sogno, che specialmente in quei primi anni sembrò realizzabile, di cambiare la società, una società che molti non ricordano o non hanno vissuto: bigotta, autoritaria, ipocrita e classista! Sono infatti gli studenti, in massima parte figli di quella borghesia dominante, che si ribellano. Ed il film parla solo di studenti. Uno dei pochi proletari ( in senso lato), se non l’unico del film, è il poliziotto che impatta, per il suo lavoro, con quel mondo a lui sconosciuto e che mano a mano lo inghiotte.
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Un film sul sessantotto, sull’anno 1968 e in parte sul 1969. Chiariamo subito che non è un film sugli anni settanta o ottanta, non è un film sulle lotte operaie, anche se un accenno, giustamente, c’è; è un film sull’utopia che sboccia nel 1968 in tutto il mondo e quindi, anche in Italia.
E’ un buon film! Il titolo fa chiaramente riferimento al sogno, che specialmente in quei primi anni sembrò realizzabile, di cambiare la società, una società che molti non ricordano o non hanno vissuto: bigotta, autoritaria, ipocrita e classista! Sono infatti gli studenti, in massima parte figli di quella borghesia dominante, che si ribellano. Ed il film parla solo di studenti. Uno dei pochi proletari ( in senso lato), se non l’unico del film, è il poliziotto che impatta, per il suo lavoro, con quel mondo a lui sconosciuto e che mano a mano lo inghiotte.
Da una parte gli studenti dall’altra la polizia: un’istituzione a difesa del potere costituito, dove brutale non è il singolo poliziotto ma l’insieme del sistema! Un sistema che andava cambiato e che in parte, in minima parte fu cambiato!
Il pregio del film secondo me è nell’umiltà di aver rappresentato un solo momento di quegli anni: la nascita di quella rivolta, fatta dai giovani, in gran parte studenti, che lottarono per delle utopie (o forse obiettivi troppo ambiziosi) con quel protagonismo giovanile, che si accentuerà con il passare degli anni.
Giustamente le lotte operaie sono solo accennate con i primi contatti tra studenti e operai, ma questa sarebbe stata un’altra storia e non un sogno. Gli operai rivendicarono realtà e furono attaccati da tutte le parti, non ultimo con le stragi.
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raffaella langiulli
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lunedì 5 ottobre 2009
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le storie e la storia.
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Un affresco completo del ’68, in cui sono presenti tutti i pezzi del puzzle per poter dare ad un pubblico più giovane un quadro di tutti gli aspetti politico-sociali che hanno caratterizzato la contestazione giovanile in Italia negli ultimi anni ’60. Più che altro c’è da chiedersi se tutti i pezzi di questo enorme puzzle multidimensionale sono stati messi al posto giusto.
A prescindere dal giudizio complessivo sul film, che può convincere o meno i più scettici, ciò che bisogna prendere in considerazione è l’intento del regista. Dopotutto, come conferma il regista Placido in un’intervista rilasciata alla rivista Vivilcinema (n. 4, 2009, Fice ed.) , “Il film non è dedicato a chi ha fatto il ’68, ma a chi non ne sa nulla”.
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Un affresco completo del ’68, in cui sono presenti tutti i pezzi del puzzle per poter dare ad un pubblico più giovane un quadro di tutti gli aspetti politico-sociali che hanno caratterizzato la contestazione giovanile in Italia negli ultimi anni ’60. Più che altro c’è da chiedersi se tutti i pezzi di questo enorme puzzle multidimensionale sono stati messi al posto giusto.
A prescindere dal giudizio complessivo sul film, che può convincere o meno i più scettici, ciò che bisogna prendere in considerazione è l’intento del regista. Dopotutto, come conferma il regista Placido in un’intervista rilasciata alla rivista Vivilcinema (n. 4, 2009, Fice ed.) , “Il film non è dedicato a chi ha fatto il ’68, ma a chi non ne sa nulla”. Ma in questo caso non si tratta di un film storico. Esso racconta una storia, all’interno della Storia.
Prima di giudicare la riuscita o meno dell’intento della mente creatrice bisognerebbe considerare il punto di vista dal quale l’intera storia è narrata. Non si tratta di una narrazione corale. L’intento, infatti non è la descrizione puntuale di un evento storico che ha già avuto un lunga lista di registi che gli hanno reso giustizia. Placido non voleva portare sullo schermo un punto di vista, per così dire collettivo sui fatti e non ha voluto nemmeno dare un impianto corale alla trattazione (si veda il film che sta uscendo in questi giorni, Baarìa di Tornatore, il cui intento è raccontare l’anima di una città e non una storia personale).
Il regista ci mette del suo, parte dalla sua storia per arrivare alla Storia. Il fatto è raccontato da un punto di vista personale. Non a caso, volendo tirare in ballo la divisione in generi, questo è un film drammatico e non storico o epico.
L’artista crea partendo da sé, dalle sue esperienze che rielabora attraverso l’immaginazione più o meno consapevolmente. E restituisce alla Storia e a noi spettatori il suo mood, cioè la sua attitudine verso l’evento narrato.
Il regista racconta un’esperienza che ha vissuto in prima linea, con le sue emozioni e il suo spirito da ragazzo ingenuo che viene travolto dagli eventi e dalle altre storie personali. Non possiamo fargliene una colpa. Dopotutto la Storia non è un’entità a sé stante che si muove indipendentemente di nostri piccoli drammi quotidiani. Le nostre storie fanno la Storia. E Michele Placido nel ’68 era un giovane poliziotto meridionale che voleva fare l’attore e che per sbaglio viene travolto dalla fiumana degli eventi delle altre storie. La storia di Laura, una ragazza borghese soffocata da un destino apparentemente già scritto che lei rifiuta, e la storia di un attivo studente rivoluzionario, Libero, chiaro ritratto dell’intellettuale serio e spregiudicato di quegli anni. Tutti e tre travolti da un sogno di liberazione: da qualcuno (Libero), da qualcosa (Laura), da sé stessi (Nicola). Tre personaggi di estrazione diversa, con desideri diversi ma tutti e tre accomunati da qualcosa che li spinge a lottare sino alla fine: la passione.
“L'operazione riesce a metà perché il dato personale e autobiografico al contempo frena e fagocita lo sguardo complessivo” (Giancarlo Zappoli, mymovies).
Il punto è questo: il regista non voleva dare uno sguardo complessivo, voleva semplicemente raccontare una storia che si svolge sullo sfondo di un periodo storico pregno di importanza e che ben si fonde, ma non si CONfonde con la Storia perché da essa ne vuol trarre soltanto le mosse.
Forse l’unico aspetto che si potrebbe notare è che, come afferma Lino Patruno (La Gazzetta del Mezzogiorno) “Il film procede dunque su due piani paralleli, il personale e il sociale, si diceva, e il problema era farli andare d’accordo. Placido è tanto convincente nel raccontare se stesso quanto didascalico nel raccontare lo scenario, appunto il ‘68: quasi un documentario, con ampi spezzoni di documentari del resto, dal Vietnam, a Martin Luther King, a Che Guevara, a Nixon, e la bellissima colonna sonora di allora. Un difetto di emotività, una staticità senza prospettiva (…)”. La storia personale, seppur nutrita di tanti cliché, non risulta banale, il problema è il raccordo tra la storia personale e la Storia. Il rapporto tra i due piani forse non risulta così armonico come avrebbe dovuto. Esempio lampante di questa incongruità è il fatto che il regista lascia ai documentari la trattazione della Storia, vuoi per economia di tempi, vuoi per intenti realistici, vuoi per la scarsità dei fondi (ricordiamoci che i film storici sono quelli più in genere dispendiosi). E ciò conferisce staticità e quasi appiattimento, cosa che il grande Placido avrebbe potuto evitare. Tuttavia, al di là di questi errori tecnico-stilistici, evitiamo le polemiche a tutti i costi soprattutto quando si tratta di giornalisti che assistono alle conferenze stampa alla Mostra del Cinema di Venezia che si permettono critiche su questa e quella produzione, di questa o quella parte politica. Come se il cinema non avesse già abbastanza problemi in un momento storico in cui anziché polemizzare, bisogna apprezzare chi ha ancora il coraggio di investire nell’arte e proprio attraverso quest’ultima lancia un messaggio attualissimo. Ora più che mai.
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paioco89
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lunedì 14 settembre 2009
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il '68 di placido divaga senza arrivare a fondo
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Siamo nel bel mezzo della contestazione studentesca nel '68 italiano dove i giovani chiedono attenzione, ascolto da parte degli adulti, fiducia nelle loro azioni, maggiore libertà ed intraprendenza. I giovani chiedono lo stop della guerra in Vietnam. Un periodo (quello del'68) molto caldo che tutt'ora viene ammirato dalla nuova generazione studentesca e che viene visto con rimpianto e con nostalgia da chi quelle proteste le ha vissute in prima persona. Il film inizia con un'impronta molto "documentaristica" dove vengono mostrate le cause e le basi della imminente occupazione universitaria, dove la guerra e il bigottismo borghese vengono subito bollati negativamente. L'azione è molto densa, pregna di sentimento.
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Siamo nel bel mezzo della contestazione studentesca nel '68 italiano dove i giovani chiedono attenzione, ascolto da parte degli adulti, fiducia nelle loro azioni, maggiore libertà ed intraprendenza. I giovani chiedono lo stop della guerra in Vietnam. Un periodo (quello del'68) molto caldo che tutt'ora viene ammirato dalla nuova generazione studentesca e che viene visto con rimpianto e con nostalgia da chi quelle proteste le ha vissute in prima persona. Il film inizia con un'impronta molto "documentaristica" dove vengono mostrate le cause e le basi della imminente occupazione universitaria, dove la guerra e il bigottismo borghese vengono subito bollati negativamente. L'azione è molto densa, pregna di sentimento. Argentero e la Trinca eseguono più che discretamente il loro compito "rivoluzionario" e Scamarcio, nei panni del poliziotto infiltrato, s'immedesima in un personaggio che non va d'accordo con se stesso, che non s'individua e non si riconosce nella divisa che porta. E da qui, dall'università occupata, si mostrano le rivendicaizoni e il pensiero giovanile con la libertà di propaganda, la ricerca della libertà sessuale, le rivendicazioni sociali in favore dei braccianti del sud ai quali vengono calpestati i loro diritti. Purtroppo la questione "sociale" si spegne poco dopo e il film inizia a divagare più sulla storia dei personaggi e sul riuscire a creare un intreccio appassionante, minando quelle aspettative di approfondimento tematico che (forse) avremmo voluto vedere volentieri. Le ideologie contrastanti (fascismo/comunismo) vengono poste in contrapposizione a gocce, se non altro in occasione della repressione poliziesca verso una manifestazione prima pacifista poi violenta. Oltre ciò, Placido condisce il film di espedienti cinematografici inutili e superflui, che in alcuni frangenti disturbano lo spettatore come nel caso di una sequenza con "telecamera a spalla", nauseando l'intera platea per il continuo movimento inessenziale ai fini narrativi. Buona la fotografia e altrettanto la colonna sonora. Il cast globalmente si comporta più che discretamente, evidenziando un Argentero che stupirà la maggior parte degli scettici. Tutto sommato un prodotto che intratterrà il pubblico e farà vedere ai giovani come l'università di prima era vissuta, ideologicamente parlando, in maniera molto diversa di quella moderna.
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nino pell.
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giovedì 17 settembre 2009
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ancora un film sulla rivoluzione del '68
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In questi ultimi anni il Cinema italiano si è spesso occupato della rivoluzione giovanile del '68, della voglia di cambiare certe regole rigide e, quindi, ataviche di una società che necessitava di un radicale cambiamento. Un desiderio di rinascita che in un certo senso ha comunque fatto sentire i suoi effetti nell'ambito del costume sociale e dei rapporti umani tra le persone. Già films come "The dreamers" e "La meglio gioventù", il primo incentrato su un tipo di rivoluzione prettamente sessuale ed il secondo che narra la storia di alcuni ragazzi che vivono quell'epoca per poi rincontrarsi negli anni successivi, ci hanno rappresentato in modo esaustivo i moti e gli ideali che fermentavano durante la fine degli anni '60.
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In questi ultimi anni il Cinema italiano si è spesso occupato della rivoluzione giovanile del '68, della voglia di cambiare certe regole rigide e, quindi, ataviche di una società che necessitava di un radicale cambiamento. Un desiderio di rinascita che in un certo senso ha comunque fatto sentire i suoi effetti nell'ambito del costume sociale e dei rapporti umani tra le persone. Già films come "The dreamers" e "La meglio gioventù", il primo incentrato su un tipo di rivoluzione prettamente sessuale ed il secondo che narra la storia di alcuni ragazzi che vivono quell'epoca per poi rincontrarsi negli anni successivi, ci hanno rappresentato in modo esaustivo i moti e gli ideali che fermentavano durante la fine degli anni '60. Ed ecco, quindi, che il vedere ancora un'altra pellicola su un argomento già scorrevolmente trattato in questo decennio di Cinema italiano, mi ha dato l'impressione, e mi scuso per la sincerità di veduta, di assistere ad un copione già visto. A parte questa considerazione, mi sento di dire che Michele Placido si dimostra ancora una volta un regista preparato, capace di costruire la storia di tre personaggi in maniera solida e convincente. Unico neo della narrazione sembrerebbe il finale nel quale alcuni titoli di coda ci descrivono come sarà il futuro dei tre protagonisti. Ho trovato questa idea conclusiva come elemento complementare alla trama ma, forse, alquanto scontata.
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francesco2
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lunedì 26 luglio 2010
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il sogno (infranto) che placido sia un regista
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Almeno a partire da "Ovunque sei"(2004) il cinema di Placido affronta il tema del racconto "A doppia valenza". Lì, la morte di alcuni protagonisti si (con) fondeva con la realtà, provocando un corto-circuito (Troppo pasticciato, però), tra "Immaginato" e "Vissuto".
Quindi, l'intreccio (Tutt'altro che inedito, senza dubbio), tra pubblico e privato non deve stupire più di tanto: è un caso che nel '98 "Del perduto amore", che non ho mai visto, prendesse spunto da una contraddizione dello stesso attore-regista, mi pare poliziotto e presunto comunista al contempo, e che, se non ricordo male, lo stesso personaggio della Mezzogiorno fosse precursore di questa Trinca "Cattocomunista?".
Lo stesso Placido del resto è stato centrista e uomo di sinistra, regista e attore, commissario Cattani dai grandi numeri TV e regista, all'inizio, di film visti da pochi intimi.
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Almeno a partire da "Ovunque sei"(2004) il cinema di Placido affronta il tema del racconto "A doppia valenza". Lì, la morte di alcuni protagonisti si (con) fondeva con la realtà, provocando un corto-circuito (Troppo pasticciato, però), tra "Immaginato" e "Vissuto".
Quindi, l'intreccio (Tutt'altro che inedito, senza dubbio), tra pubblico e privato non deve stupire più di tanto: è un caso che nel '98 "Del perduto amore", che non ho mai visto, prendesse spunto da una contraddizione dello stesso attore-regista, mi pare poliziotto e presunto comunista al contempo, e che, se non ricordo male, lo stesso personaggio della Mezzogiorno fosse precursore di questa Trinca "Cattocomunista?".
Lo stesso Placido del resto è stato centrista e uomo di sinistra, regista e attore, commissario Cattani dai grandi numeri TV e regista, all'inizio, di film visti da pochi intimi. Ma paradossalmente proprio questo rischia di essere il limite di questo discutibile "Grande sogno".Troppa carne al fuoco, troppa disperazione didascalica nel narrare questo microcosmo che ne riflette un "Macro", avolte, spiace dirlo, con esiti disastrosi. Come quei ralenti retorici e inutili che vorrebbero racchiudere nei soprusi sofferti da quei manifestanti, così criticati da Pasolini, l'impotenza di un mondo che credeva di "Non aver colpa", come dice la famosa canzone.
In realtà, chi voglia raccontare un'epoca attraverso le vicende dei singoli deve non esser mai prevedibile, a livello sostanziale ed a livello formale. Le note di curiosità nei canoni usati qui sono poche, tra cui la doppiezza del personaggio di Scamarcio che (Come Placido, guarda caso.......)è al contempo poliziotto e presunto manifestante, come anche poliziotto ed innamorato della Trinca. Quando gli viene chiesto in merito ad una battuta se si riferisca al mestiere di poliziotto o a quello di attore, viene in luce quella che vorrebbe- Credo- essere la scommessa del film: mostrare i risvolti paradossali di tutto quel mondo in fermento. Ma non basta per questo mostrare una catto-comunista alle prese con la solita famiglia che tutti immaginiamo, né costruire un triangolo sentimentale che presenti risvolti più curiosi del solito(Divertente, a questo proposito, la scena tra detto enon detto in cui i tre scherzano, ma non troppo, seduti alla stessa tavola.
Ecco, pensandoci bene, questo film soffre dell'equivoco di un opera ancora più discutibile, "Lavorare con lentezza". Diversamente da quanto facciano (Non sempre benissimo), "Milk", "Alì", "Quando eravamo re", questi film sono insienme troppoe troppo poco documentaristici. Troppo poco, perché schiavi di canoni già consolidati nell'impostazione per poter documentare davvero; ma anche troppo, per come pretendono di fare crona ca modello "Chi l'ha visto?( o magari peggio), illudendosi che basti a rappresentare il reale.
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jayan
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giovedì 15 ottobre 2009
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bellissimo film sul '68 e la rivoluzione giovanile
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Un capolavoro sul '68 e la rivoluzione giovanile, il desiderio di libertà, amore e pace (allora contro la guerra in Vietnam). Tratta in modo quasi autobiografico di un poliziotto che doveva contrastare i moti dei giovani e il loro tentativo di occupazione dell'università. Questi si innamora di una studentessa ribelle, lascia la polizia e la segue in questo grande sogno di cambiare il mondo. Ma purtroppo la realtà è ben diversa: non si può cambiare il mondo all'improvviso e con la violenza, bisogna farlo in modo più graduale e completo. Il film è davvero ben fatto. Le interpretazioni di Jasmine Trinca e Riccardo Scamarcio ottime. Il regista Michele Placido realizza film che hanno una forte base nella realtà, da cui si erge l'albero della creatività cinematografica e il sogno di questi giova
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Un capolavoro sul '68 e la rivoluzione giovanile, il desiderio di libertà, amore e pace (allora contro la guerra in Vietnam). Tratta in modo quasi autobiografico di un poliziotto che doveva contrastare i moti dei giovani e il loro tentativo di occupazione dell'università. Questi si innamora di una studentessa ribelle, lascia la polizia e la segue in questo grande sogno di cambiare il mondo. Ma purtroppo la realtà è ben diversa: non si può cambiare il mondo all'improvviso e con la violenza, bisogna farlo in modo più graduale e completo. Il film è davvero ben fatto. Le interpretazioni di Jasmine Trinca e Riccardo Scamarcio ottime. Il regista Michele Placido realizza film che hanno una forte base nella realtà, da cui si erge l'albero della creatività cinematografica e il sogno di questi giovani allo sbaraglio davanti a una polizia agguerrita e violenta, di più di loro!
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ele-sb-
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sabato 29 gennaio 2011
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un buon film
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Un film che vale la pena vedere..che ti lascia quel qualcosa dentro,con una storia che in qualche modo ci riguarda,
ma non tutti la pensano cosi e soprattutto i ragazzi d' oggi... che ormai non credono piu in niente,non combattono per certi ideali e spesso non s'interessano più a nulla
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