Il grande sogno

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Un film di Michele Placido. Con Marco Iermanò, Luca Argentero, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Silvio Orlando.
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Drammatico, durata 101 min. - Italia, Francia 2009. - Medusa uscita venerdì 11 settembre 2009. MYMONETRO Il grande sogno * * 1/2 - - valutazione media: 2,58 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Le storie e la Storia.

di Raffaella Langiulli


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lunedì 5 ottobre 2009

Un affresco completo del ’68, in cui sono presenti tutti i pezzi del puzzle per poter dare ad un pubblico più giovane un quadro di tutti gli aspetti politico-sociali che hanno caratterizzato la contestazione giovanile in Italia negli ultimi anni ’60. Più che altro c’è da chiedersi se tutti i pezzi di questo enorme puzzle multidimensionale sono stati messi al posto giusto. A prescindere dal giudizio complessivo sul film, che può convincere o meno i più scettici, ciò che bisogna prendere in considerazione è l’intento del regista. Dopotutto, come conferma il regista Placido in un’intervista rilasciata alla rivista Vivilcinema (n. 4, 2009, Fice ed.) , “Il film non è dedicato a chi ha fatto il ’68, ma a chi non ne sa nulla”. Ma in questo caso non si tratta di un film storico. Esso racconta una storia, all’interno della Storia. Prima di giudicare la riuscita o meno dell’intento della mente creatrice bisognerebbe considerare il punto di vista dal quale l’intera storia è narrata. Non si tratta di una narrazione corale. L’intento, infatti non è la descrizione puntuale di un evento storico che ha già avuto un lunga lista di registi che gli hanno reso giustizia. Placido non voleva portare sullo schermo un punto di vista, per così dire collettivo sui fatti e non ha voluto nemmeno dare un impianto corale alla trattazione (si veda il film che sta uscendo in questi giorni, Baarìa di Tornatore, il cui intento è raccontare l’anima di una città e non una storia personale). Il regista ci mette del suo, parte dalla sua storia per arrivare alla Storia. Il fatto è raccontato da un punto di vista personale. Non a caso, volendo tirare in ballo la divisione in generi, questo è un film drammatico e non storico o epico. L’artista crea partendo da sé, dalle sue esperienze che rielabora attraverso l’immaginazione più o meno consapevolmente. E restituisce alla Storia e a noi spettatori il suo mood, cioè la sua attitudine verso l’evento narrato. Il regista racconta un’esperienza che ha vissuto in prima linea, con le sue emozioni e il suo spirito da ragazzo ingenuo che viene travolto dagli eventi e dalle altre storie personali. Non possiamo fargliene una colpa. Dopotutto la Storia non è un’entità a sé stante che si muove indipendentemente di nostri piccoli drammi quotidiani. Le nostre storie fanno la Storia. E Michele Placido nel ’68 era un giovane poliziotto meridionale che voleva fare l’attore e che per sbaglio viene travolto dalla fiumana degli eventi delle altre storie. La storia di Laura, una ragazza borghese soffocata da un destino apparentemente già scritto che lei rifiuta, e la storia di un attivo studente rivoluzionario, Libero, chiaro ritratto dell’intellettuale serio e spregiudicato di quegli anni. Tutti e tre travolti da un sogno di liberazione: da qualcuno (Libero), da qualcosa (Laura), da sé stessi (Nicola). Tre personaggi di estrazione diversa, con desideri diversi ma tutti e tre accomunati da qualcosa che li spinge a lottare sino alla fine: la passione. “L'operazione riesce a metà perché il dato personale e autobiografico al contempo frena e fagocita lo sguardo complessivo” (Giancarlo Zappoli, mymovies). Il punto è questo: il regista non voleva dare uno sguardo complessivo, voleva semplicemente raccontare una storia che si svolge sullo sfondo di un periodo storico pregno di importanza e che ben si fonde, ma non si CONfonde con la Storia perché da essa ne vuol trarre soltanto le mosse. Forse l’unico aspetto che si potrebbe notare è che, come afferma Lino Patruno (La Gazzetta del Mezzogiorno) “Il film procede dunque su due piani paralleli, il personale e il sociale, si diceva, e il problema era farli andare d’accordo. Placido è tanto convincente nel raccontare se stesso quanto didascalico nel raccontare lo scenario, appunto il ‘68: quasi un documentario, con ampi spezzoni di documentari del resto, dal Vietnam, a Martin Luther King, a Che Guevara, a Nixon, e la bellissima colonna sonora di allora. Un difetto di emotività, una staticità senza prospettiva (…)”. La storia personale, seppur nutrita di tanti cliché, non risulta banale, il problema è il raccordo tra la storia personale e la Storia. Il rapporto tra i due piani forse non risulta così armonico come avrebbe dovuto. Esempio lampante di questa incongruità è il fatto che il regista lascia ai documentari la trattazione della Storia, vuoi per economia di tempi, vuoi per intenti realistici, vuoi per la scarsità dei fondi (ricordiamoci che i film storici sono quelli più in genere dispendiosi). E ciò conferisce staticità e quasi appiattimento, cosa che il grande Placido avrebbe potuto evitare. Tuttavia, al di là di questi errori tecnico-stilistici, evitiamo le polemiche a tutti i costi soprattutto quando si tratta di giornalisti che assistono alle conferenze stampa alla Mostra del Cinema di Venezia che si permettono critiche su questa e quella produzione, di questa o quella parte politica. Come se il cinema non avesse già abbastanza problemi in un momento storico in cui anziché polemizzare, bisogna apprezzare chi ha ancora il coraggio di investire nell’arte e proprio attraverso quest’ultima lancia un messaggio attualissimo. Ora più che mai.

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luana lunedì 5 ottobre 2009
ma il film ti è piaciuto o no?
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..forse è proprio perchè è l'unica cosa che hai tralasciato..che hanno dimenticato di metterti le "stelline"...

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