Takut: Faces of Fear

Maestro dell'horror indipendente internazionale, Brian Yuzna, dopo essere stato nell'ultimo decennio tra i protagonisti della sorprendente (ri)fioritura del cinema di genere e di serie B in Spagna, ha deciso di piantare le proprie tende in Indonesia. Il mitico produttore e regista (suo l'indimenticato capolavoro Society) ha certamente percepito l'alto potenziale di questa nuova terra dell'horror, che già vanta una storica tradizione di produzione di serie B e che oggi, grazie anche ai bassi costi di produzione, può divenire il nuovo trampolino di lancio per una rutilante ondata d'incubi cinematografici. Con il supporto del circuito cinematografico Blitz Megaplex (che nel suo tentativo di concorrenza verso l'ex monopolista Cinema XXI ha diversificato il suo prodotto introducendo il pubblico indonesiano a produzioni coreane e tailandesi, soprattutto horror), Yuzna ha fondato una nuova casa di produzione a Jakarta, suggestivamente chiamata Komodo Films (in omaggio al celebre e temuto varano indonesiano, il più grande sauro del mondo). La prima produzione della neonata etichetta produttiva è Takut: Faces Of Fear, un film in sei episodi, diretto da sette giovani registi indonesiani che, contro ogni attesa, non solo è la produzione horror più convincente degli ultimi anni, ma addirittura è probabilmente il miglior film indonesiano del 2008.
In verità, Takut: Faces Of Fear nasce da una sagace operazione di assemblaggio: alcuni dei corti (in particolare, Dara dei Mo Bros.) preesistevano il lungometraggio e avevano avuto anche una fortunata carriera festivaliera. L'idea di Yuzna è stata quella di riunire questi corti per dare loro maggiore visibilità sotto un ombrello tematico comune, quello della paura (takut in indonesiano) e di produrre alcuni altri racconti brevi per arrivare appunto alla lunghezza canonica dell'ora e mezza. I talenti coinvolti dietro la macchina da presa sono assai variegati: si va dagli esordienti assoluti, come Robby Ertanto e Ray Nayoan a cineasti più scafati, come Rako Prijanto e addirittura Riri Riza (sin qui noto per i suoi film d'autore e qui all'esordio nel cinema di genere puro). Nonostante, come sempre accade nei film a episodi, alcuni contributi convincano più d'altri, la sorpresa di Takut: Faces of Fear è la buona tenuta generale dell'assieme, sia in termini di qualità narrativo-espressive, sia in termini di valori tecnico-produttivi. E questo è già un risultato davvero fuori dall'ordinario in Indonesia, dove il genere horror subisce spesso l'invereconda infamia di produzioni seriali assemblate alla meno peggio e senza ispirazione alcuna.
Il segmento d'apertura del film è Show Unit di Rako Prijanto, regista noto soprattutto come prolifico autore di commedie (D'Bijis, 2007, Oh, My God!, 2008) e drammi sentimentali (Merah Itu Cinta, 2007). Il protagonista (il versatile Lukman Sardi, che il pubblico udinese ricorderà nel ruolo di Piktor in Quickie Express) commette un tragico errore e deve disfarsi di una pesante traccia; ma una presenza che alberga una vicina villetta espositiva l'ha visto e non gliela farà passar liscia. Segue Incarnation Of Naya di Riri Riza che è davvero una delle vette di Takut. Una giovane donna (Dinna Olivia) viene convinta dalla madre a tornare alla casa di famiglia per partecipare ad una cerimonia di purificazione del keris (il tipico pugnale asimmetrico malese-indonesiano). Dapprima scettica rispetto ai rituali e alla superstizione tradizionali, la ragazza si troverà a sperimentare in prima persona gli effetti del potere della magia nera. Affascinante e di grande atmosfera, il segmento di Riri Riza si segnala come suggestiva illustrazione di una possessione "dall'interno". In Peeper, Ray Naoyan fa incontrare l'ossessione voyeuristica di un anziano inserviente e la malia diabolica di un'artista sanguinaria; il risultato è prevedibile, ma l'esecuzione efficace e adeguatamente morbosa. In The List di Robby Ertanto, il diretto influsso di Yuzna è più evidente: la vena ironica dell'horror si fa pulsante in una sarcastica storia di vendetta attraverso i sortilegi di un dukun (lo sciamano indonesiano). Con The Rescue, invece, Raditya Sidharta omaggia esplicitamente Romero, con un frammento di racconto che pare estratto dalla saga degli zombie del grande autore americano. Dulcis in fundo, l'acclamatissimo Dara dei Mo Brothers (Kimo Stamboel e Timothy Tjahjanto) chiude la collezione con un vero fuoco d'artificio: uno slasher intriso di sapida cinefilia e sapiente umorismo incentrato sull'indimenticabile figura di una cuoca sui generis. Una chiusa imperdibile e travolgente che annuncia nei Mo Bros. una nuova iniezione di linfa vitale nel cinema di genere indonesiano.

Scheda a cura di FEFF 2009