In principio era Bruce Wayne, permeato dai dubbi si, ma sempre ben risoluto a ripulire le strade di Gotham da malviventi, criminali e psicopatici. Sin dall’incipit del film ci vengono presentati le conseguenze sociali della presenza di Batman a Gotham: egli brama giustizia, la insegue (si badi) in tutti i modi e con tutti i mezzi a disposizione, costi quel che costi . Ma sangue chiama sangue, assioma ineluttabile. E allora ecco apparire i primi bat-vigilantes, giustizieri-da-tinello, self-made-heroes che con improbabili costumi decidono che è arrivato il momento di scendere in campo, aiutare Batman, ripristinare il sistema dell’ordine e della legalità. Ecco il primo degli effetti del fenomeno Batman, la Bat-corrente. La giustizia sommaria e privata.
Di fatto, accade che una mente tormentata e ricettiva come quella di Bruce Wayne non possa fare orecchie da mercante a tale deplorevole scenario ed è qui che, a torto o a ragione, cominciamo i dubbi, gli affanni, i dilemmi etici. Cos’è la giustizia? A che prezzo ottenerla? Di chi è la colpa di tutto questo? E’ forse mia? Avrò sbagliato qualcosa nel metodo? Dilemmi metafisici e sublimi, sacri e profani, ma anche tanto troppo comuni, quotidiani, terra terra. Ma come! si dirà, il nostro infrangibile super-eroe senza macchia, che salta tra i tetti, che si lancia a caduta libera nelle moderni voragini urbane, si pone dei dubbi e degli interrogativi così prosaici, così quotidiani, così normali!
Ecco. E’ evidente nell’opera il merito di Nolan di aver umanizzato, ‘reificato’ Batman, nell’aver disintegrato quell’alone di superiorità morale che lo circondava fin dalla sua nascita. L’autore inverte la rotta operando una consistente trasfigurazione dell’eroe, da maschio-alpha rigoroso, mitopoietico, tutto d’un pezzo, tanto inamovibile nelle sue decisioni quanto implacabile nel metterle in pratica, ad individuo indeciso, tormentato, intimista, serio e crepuscolare, in una parola ‘essere umano’. Non che questa conversione non fosse già stata tenuta a battesimo da altre precedenti Super-pellicole (spider-man, X-Man, si pensi ad Hanckock) ma nella fattispecie tale snodo narrativo incarna tanto l’epicentro drammatico del film quanto, nella misura in cui questi dilemmi s’accumulano, infittiscono e rimandano agli altri character (vedi 2-Face), la punteggiatura che conferisce all’economia compositiva dell’opera ritmo e risvolti semantici. E così la forma segue la funzione (la messa in scena la diegesi) come accade nelle migliori opere di interior design.
Il fulcro drammatico del nuovo Batman, come tante altre opere dei Nolan, è il rapporto identità/alterità, Io/l’altro, ego/alter-ego, che in questo capitolo si dipana (sfilaccia) in tanti saliscendi confluendo a sprazzi nel conflitto antropologico individuo-comunità. Ma i due Nolan non sono gente tonta e nasando la puzza di repeat riprendono sì il filone ma lo estremizzano facendo del’idolo delle folle l’upgrade di un Narciso edonista e complessato: Batman ha paura per la sua reputazione, è ossessionato, esasperato, da ciò che la gente pensa di lui (vedi il sonar). E non bastano i soliti Alfred, Gordon e Rachel a ricordargli la sua funzione edificante e educatrice, urge il più classico degli ingredienti della ricetta Marvel: il villain che è anche doppio. Ed ecco che ad un certo punto irrompe nella storia un antagonista perfetto e definitivo, punk e geniale, sfrenato e animato da lucida follia. Non orfano come Bruce ma figlio dell’anarchia e agente del caos: Joker. Premesso che la folgorante straordinarietà della prestazione di Ledger è fuori questione, è il taglio drammaturgico accreditato al personaggio ad interessare: insieme dispositivo di innesco e chiave di lettura essenziale a capire, come nella migliore tradizione dei film bi-polarizzati, il cammino interiore dell’eroe. Lo psico-clown analizza, seduce, definisce e completa Batman, portandolo, come un animale-guida, a prendere coscienza della propria identità.
Ma è un’agnizione senza catarsi, penitenziagite senza espiazione. L’epifania di Batman non conduce a nulla di alto, di edificante o fondativo, ma serve solo a portare a galla tutti i chiaroscuri, i turbamenti, le debolezze del primo credibile anti-eroe in calzamaglia che la Marvel (grazie a Nolan) ci abbia regalato: non un cavaliere senza-macchia ma un cavaliere oscuro, ombroso, che scappa, corre, si nasconde perché come nella migliore tradizione degli Uomini-Topo, braccati più dalla loro miseria interiore che da un predatore immanente, chi si ferma è perduto.
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