Gone Baby Gone

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Un film di Ben Affleck. Con Casey Affleck, Michelle Monaghan, Morgan Freeman, Ed Harris, John Ashton.
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Drammatico, durata 114 min. - USA 2007. - Buena Vista International Italia uscita venerdì 4 aprile 2008. MYMONETRO Gone Baby Gone * * * - - valutazione media: 3,48 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Dilemmi morali dei fratelli Affleck Valutazione 4 stelle su cinque

di Matteo Fedele


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lunedì 29 settembre 2014

Lui e l’amico Matt Damon raggiungono il firmamento hollywoodiano ideando, sceneggiando e interpretando Will Hunting-Genio ribelle, che frutta loro l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale e quello per il miglior attore non protagonista all’indimenticabile Robin Williams.
Fra gl’altri impegni, frequenta l’indipendente Kevin Smith (è uno dei personaggi ricorrenti del suo View Askewniverse) e il kolossale Michael Bay (Armageddon e Pearl Harbour, 1998 e 2001).
Nel 2007 Ben Affleck torna nella Boston in cui è cresciuto per tingerla di noir e farne allegoria della società odierna, in cui gli agnelli devono travestirsi da lupi per sopravvivere.
Sforna Gone Baby Gone, primo passo d’un percorso di rinascita artistica proseguito nel 2010 con The Town (anche lui bostoniano, come Will Hunting) e culminato nel 2012 in Argo (vincitore di 3 Oscar).
Per non correr rischi s’affida al romanzo omonimo di Dennis Lehane, padre di bestsellers quali Mystic River (da cui Clint Eastwood trasse uno dei suoi film più celebri e celebrati) e Shutter Island (che divenne uno dei maggiori successi di Martin Scorsese).
Si fa così erede d’una veneranda tradizione di registi che hanno nutrito di noir i loro primi passi.
Tradizione che annovera, tra gl’altri, Stanley Kubrick (Il bacio dell’assassino, 1955), Ridley Scott (Blade Runner, 1982), Christopher Nolan (Memento, 2000), George Clooney (Confessioni di una mente pericolosa, 2002), Shane Black (Kiss Kiss Bang Bang, 2005).
10 anni dopo Will Hunting di Gus Van Sant e In cerca di Amy di Kevin Smith ritrova il fratello minore Casey (che si rivela protagonista convincente anche se non abbastanza incisivo) e gli affianca la meno convinta Michelle Monaghan.
Completano il quadro una Amy Ryan di sorprendente abilità drammatica, la solida forza espressiva di Ed Harris e l’inappuntabile Morgan Freeman (col quale il regista aveva già lavorato nel 2002 in Al vertice della tensione di Phil Alden Robinson).
Una scrittura retorica solo di rado governa un’opera prima cruda, disincantata, ma che non rinuncia alla speranza né dimentica l’eleganza.
La semplice ed essenziale regia di Affleck regge un neonoir carente d’azione e carico di tensione, la cui matassa si dipana solo alla fine, rivelando un colpevole insospettabile.
S’ode un’eco della poetica di Frank Miller nella critica alla controproducente invasività dei media e nella denuncia del modus operandi di certa polizia, colpevole di corruzione e abuso di potere.
Ne emerge un tagliente ritratto d’un’America insana, deviata, estranea agli ideali di patria della libertà e terra delle opportunità con cui da quando è nata è stata e si è etichettata.
Mentre insinua il dubbio che nemmeno la Legge sia giusta, la prima fatica registica affleckiana instilla la convinzione che nessuno abbia il diritto di porsi al di sopra di essa e che ognuno abbia il dovere di seguirla anche a proprio discapito.
È la filosofia dello stoico investigatore privato protagonista, l’unico che ha la forza di mantenere la retta via e per questo si ritrova solo, vittima della propria rettitudine, beato perché perseguitato a causa della giustizia.
È un grugno risoluto che maschera insicurezza, un antieroe inadeguato, di continuo di fronte a tormentate scelte morali, immerso (non per scelta, ma per dovere) in una situazione più grande di lui, dalla quale non può uscire indenne.
Se vogliamo andare in Paradiso dobbiamo essere come lui, agnello prudente come un serpente, e come la piccola rapita, l’unica pura come una colomba.


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