ennio
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venerdì 3 gennaio 2020
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sonnolenza assoluta
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Visto oggi per la prima volta. Ho resisitito un'ora al sonno poi ho chiuso. "Solaris" è il nulla, travestito da immagini che, secondo certi Soloni, vorrebbero essere oniriche, simboliche, metaforiche e blablabla. Un vero prodotto dell'URSS, fumo negli occhi per ricoprire la totale mancanza di idee e argomenti. Tarkovskj è il Majakowski del cinema, o, in aggiunta, il pittore modernista di quest'arte (ultradecaduta vedendo questo film).
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inesperto
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domenica 21 ottobre 2018
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prolegomeni di fantascienza
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Di quest'opera è stato già detto tutto, sia da esperti sia da profani. Qualsiasi altro elogio o critica suonerebbe ridondante. Per coloro che non l'abbiano ancora vista, che si colmi la lacuna, assolutamente. Trovarsi a parlar di cinema con amici con la consapevolezza di poter dire la propria riguardo a Solaris fa bene all'ego.
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iuriv
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lunedì 26 settembre 2016
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un oceano di gelatina.
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Il 2001 sovietico, come è stato talvolta impropriamente definito, porta sullo schermo le gesta narrate nel romanzo Solaris di Stanislaw Lem.
Tarkovskij tocca buona parte delle tematiche affrontate dallo scrittore polacco, come il confronto tra etica e scienza e l'incomprensione tra l'essere umano e l'oceano gelatinoso che caratterizza il pianeta.
Tuttavia il regista si sofferma sul rapporto che Kelvin vive con la sua ospite, creatura mentale materializzata dall'oceano stesso come presenza fisica in carne e ossa. Esplorando questo e regalando agli spettatori un finale spettacolare, Tarkovskij trasforma il pianeta Solaris in un luogo dove l'umanità pare aver la possibilità di tralasciare la crudezza della realtà per trasferirsi in un luogo onirico, dove i desideri più profondi riescono a prendere forma.
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Il 2001 sovietico, come è stato talvolta impropriamente definito, porta sullo schermo le gesta narrate nel romanzo Solaris di Stanislaw Lem.
Tarkovskij tocca buona parte delle tematiche affrontate dallo scrittore polacco, come il confronto tra etica e scienza e l'incomprensione tra l'essere umano e l'oceano gelatinoso che caratterizza il pianeta.
Tuttavia il regista si sofferma sul rapporto che Kelvin vive con la sua ospite, creatura mentale materializzata dall'oceano stesso come presenza fisica in carne e ossa. Esplorando questo e regalando agli spettatori un finale spettacolare, Tarkovskij trasforma il pianeta Solaris in un luogo dove l'umanità pare aver la possibilità di tralasciare la crudezza della realtà per trasferirsi in un luogo onirico, dove i desideri più profondi riescono a prendere forma.
Che Solaris sia un capolavoro ci sono pochi dubbi. Che si tratti di un'opera facilmente fruibile, invece, è tutto da stabilire. Innanzitutto, per apprezzarne al meglio le sfumature, sarebbe opportuno vedere la versione integrale, parecchio più lunga dell'edizione italiana tradizionale.
La prima parte ambientata nel giardino non può essere definita tra le più pimpanti della storia del cinema, ma aiuta molto a farsi un'idea del contesto nel quale la vicenda si svolge. Gli accenni alla solaristica, il rapporto conflittuale tra lo studio della scienza e l'esperienza pratica dell'oceano, lo scontro generazionale tra padre e figlio, sono elementi essenziali nella trama del film, senza i quali le avventure all'interno della stazione orbitante rischiano di apparire poco comprensibili.
Io mi sono goduto molto la visione, nonostante i ritmi del film non siano certo da opera pop. Il regista mantiene sempre un piede sul freno e lascia che la vicenda scorra prendendosi tutto il tempo necessario, o forse anche qualcosa in più.
Credo, però, che l'aver letto il libro da cui la pellicola è tratta, mi abbia fornito una guida utile per attraversare alcuni punti ostili di questo lavoro. La mia opinione potrebbe essere condizionata da questo.
Solaris comunque lo consiglio, anche se nella sua edizione integrale. A patto, però, di avere la possibilità di dedicargli la giusta attenzione.
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greyhound
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martedì 19 aprile 2016
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l'odissea dentro se stessi
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Solaris segna il passaggio del regista Tarkovskij da una tematica prettamente storica a una fantascientifica, che tuttavia non si configura come lo spettatore potrebbe aspettarsi. Qui non vi sono alieni, incrociatori stellari o armi laser, ma un tema filosofico piuttosto impegnativo e ricorrente lungo tutta la pellicola, condensabile nella seguente domanda: qual è il significato dell’essere umano?
Il protagonista, uno psicologo, viene inviato forte della sua fede nella scienza e nella ragione a comprendere cosa stia avvenendo nella stazione spaziale fluttuante nell’oceano del pianeta Solaris. In questo luogo, però, ben presto si accorgerà che la realtà non è necessariamente quella percepita con gli occhi, e andrà incontro a esperienze che non credeva minimamente possibili.
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Solaris segna il passaggio del regista Tarkovskij da una tematica prettamente storica a una fantascientifica, che tuttavia non si configura come lo spettatore potrebbe aspettarsi. Qui non vi sono alieni, incrociatori stellari o armi laser, ma un tema filosofico piuttosto impegnativo e ricorrente lungo tutta la pellicola, condensabile nella seguente domanda: qual è il significato dell’essere umano?
Il protagonista, uno psicologo, viene inviato forte della sua fede nella scienza e nella ragione a comprendere cosa stia avvenendo nella stazione spaziale fluttuante nell’oceano del pianeta Solaris. In questo luogo, però, ben presto si accorgerà che la realtà non è necessariamente quella percepita con gli occhi, e andrà incontro a esperienze che non credeva minimamente possibili. La sua salute mentale subirà un declino sempre più veloce e inarrestabile, con le stesse pareti e corridoi della struttura a fungere da gabbia stritolante e soffocante.
Non vi è un modo chiaro atto a uscire da tale situazione, e non è un caso che i suoi compagni di viaggio decidano di guidarlo lungo tale via in due maniere antitetiche: uno gli consiglia di reagire appellandosi alla scienza e al “confronto/scontro” con l’entità immateriale che sembra permeare il pianeta, l’altro suggerisce invece di abbandonarsi al semplice fatto che l’uomo non possa pretendere di conoscere il cosmo e le altre eventuali forme di vita, quando non comprende nemmeno se stesso. Di conseguenza, secondo il dottor Snaut l’ideale sarebbe “avere meno navi spaziali per esplorare e più specchi in cui riflettersi”.
In questo terzo lungometraggio Andrei Tarkovskij esprime un pessimismo piuttosto forte, mettendo lo spettatore con le spalle al muro (si veda, per esempio, la scioccante scena finale del ritorno sulla Terra), nonostante per un attimo dia l’impressione che anche di fronte a tali difficoltà e sofferenze una stilla di vita possa comunque esserci. Si prenda a dimostrazione l’inquadratura sempre più ravvicinata della piantina posta nella cabina del protagonista e cresciuta in quelle condizioni avverse (spazio e scatola di metallo).
Ma, purtroppo, il regista pare comunque suggerirci il fatto che una volta che un essere umano riesce a liberarsi di un’ossessione che gli affollava la mente, ecco che dietro l’angolo ne appare immediatamente un’altra pronta a riempire quel vuoto appena formatosi. Il tutto in un ciclo senza fine e senza opportunità alcuna di sfuggirne proprio perché, per citare una frase di Friedrich Nietzsche, “se scruti a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te”.
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cress95
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sabato 12 settembre 2015
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la risposta del tarkovskij al kubrik
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Cinema e storia si amalgamarono indissolubilmente quando, durante gli anni della corsa allo spazio, il maestro Kubrik, e dunque l'America, mostrarono al mondo intero il vero significato di fantascienza, mediante quel capolavoro assoluto che fu, e che è tutt'ora, "2001: Odissea nello spazio". Esattamente come sul fronte aerospaziale, la risposta sovietica non si fece attendere, e fu così che nel 1972, decorsi ormai ben tre anni dalla sconfitta circa la conquista della Luna, i "rossi" si posero un obiettivo egualmente ambizioso: strappare agli americani il monopolio della fantascienza con un loro unico grande capolavoro, che potesse non solo competere con l'opera del Kubrik, ma addirittura far sparire il suo ricordo tra le inesorabili pieghe del tempo.
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Cinema e storia si amalgamarono indissolubilmente quando, durante gli anni della corsa allo spazio, il maestro Kubrik, e dunque l'America, mostrarono al mondo intero il vero significato di fantascienza, mediante quel capolavoro assoluto che fu, e che è tutt'ora, "2001: Odissea nello spazio". Esattamente come sul fronte aerospaziale, la risposta sovietica non si fece attendere, e fu così che nel 1972, decorsi ormai ben tre anni dalla sconfitta circa la conquista della Luna, i "rossi" si posero un obiettivo egualmente ambizioso: strappare agli americani il monopolio della fantascienza con un loro unico grande capolavoro, che potesse non solo competere con l'opera del Kubrik, ma addirittura far sparire il suo ricordo tra le inesorabili pieghe del tempo.
Fu così che nacque "Solaris", sicuro e indiscusso capolavoro del regista sovietico Andrei Tarkovskij. I russi furono capaci di raggiungere il loro agognato obiettivo? Ai posteri l'ardua sentenza. In questa sede, infatti, mi limiterò alla stesura di una recensione del film in sé, senza soffermarmi sull'impatto socio-politico che esso ebbe sullo scenario mondiale. Argomento, questo, che meriterebbe infatti trattazione più profonda e accurata della seguente.
Innanzitutto è d'uopo specificare che quella che mi accingo a recensire è l'edizione sovietica del capolavoro del Tarkovskij, dunque esente dai pesanti e catastrofici tagli subiti dalla insensata edizione italiana (insensata alla pari dell'imbarazzante remake statunitense del 2002, con un infelice George Clooney sotto la regia del Soderbergh).
Tratto dall'omonimo romanzo del 1961 dell'autore polacco Stanislaw Lem, "Solaris" coniuga fantascienza e filosofia, attribuendo al genere trattato un nuovo significato, carico di dramma e introspezione. L'immensità dello spazio riflette la profondità dell'anima e l'enormità dei desideri umani. Il pianeta Solaris altro non è che "l'isola che non c'è" tanto agognata nei secoli dagli uomini, un posto nel quale meraviglia e finzione si uniscono, dando voce e corpo ai sogni più intimi dell'uomo. Cullandosi nell'illusione il protagonista, lo psicologo Kris Kelvin (interpretato con indiscusso pathos da un grande Donatas Banionis), altro non è che la parabola dell'uomo disposto a qualsiasi cosa pur di vedere i suoi sogni divenir realtà, pronto anche all'accettazione del non reale, all'abbraccio dell'illusione.
Pellicola dal significato indiscutibilmente criptico e complesso, "Solaris" si presenta più come un'opera squisitamente filosofica, piuttosto che come un canonico esponente dell'intrattenimento fantascientifico, ed è proprio per questo motivo che ritengo fosse obiettivo del regista russo fare in modo che chiunque potesse coltivare la propria personale interpretazione circa il messaggio del quale la sua opera si fa portavoce, realizzando in questo modo una delle opere più affascinanti e al contempo misteriose del cinema mondiale.
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fabio1957
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venerdì 31 luglio 2015
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ottimo film di metafisica
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Non si può classificare questo gioiello come film di fantascienza,è riduttivo.La pellicola,che si ispira a un capolavoro di Lem e che ha visto anche un remake inadeguato con Cloney,è assolutamente geniale e scava a fondo nel grande interrogativo dell'uomo.Siamo soli nell'universo?Ma soprattutto esiste Dio e se ci fosse potrebbe essere un pianeta,non inerte e inanimato, ma vivente e pulsante, capace di riprodurre cloni di persone esistite,sondando la mente di chi le ha intimamente conosciute.
Ottimo film di metafisica
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gabri0001
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giovedì 11 giugno 2015
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ricerca di dio negli spazi siderali
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Il libro di Stanislaw Lem è un libro senza ombra di dubbio molto bello e scritto bene: è narrato in prima persona, ricche e accurate sono descrizioni, ampie sono le parti scientifiche anche se, secondo la mia opinione, il lirbo è di gran lunga inferiore al film del 1972 diretto da Andrej Tarkovskij (Stalker, Andrei Rublev).
Il film, pur prendendo spunto dal libro, se ne distacca per una riflessione, a mio parere, più profonda.
Il tema principale del capolavoro di Tarkovskij, infatti, è la ricerca di Dio, illustrata attraverso quattro quadri di Peter Brugel il Vecchio, che nel film sono mostrati più volte.
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Il libro di Stanislaw Lem è un libro senza ombra di dubbio molto bello e scritto bene: è narrato in prima persona, ricche e accurate sono descrizioni, ampie sono le parti scientifiche anche se, secondo la mia opinione, il lirbo è di gran lunga inferiore al film del 1972 diretto da Andrej Tarkovskij (Stalker, Andrei Rublev).
Il film, pur prendendo spunto dal libro, se ne distacca per una riflessione, a mio parere, più profonda.
Il tema principale del capolavoro di Tarkovskij, infatti, è la ricerca di Dio, illustrata attraverso quattro quadri di Peter Brugel il Vecchio, che nel film sono mostrati più volte. Essi sono: “I cacciatori nella neve”, “La grande torre di Babele”, “Il volo di Icaro” e “Il trionfo della morte”.
Il quadro intitolato “I cacciatori nella neve” mostra tre cacciatori che, avanzando in mezzo alla neve, fanno ritorno al loro paesino nonostante la loro caccia abbia dato pochi frutti.
Vicino a loro si trova una locanda sulla cui insegna, che penzola nel vuoto perché un gancio si è rotto, è raffigurata la leggenda di sant’Eustachio, che, mentre era a caccia, vide un cervo che teneva tra le corna un crocifisso.
Secondo me quei cacciatori stavano cercando proprio il Cristo, per riportare la fede nel loro villaggio (il fatto che siamo in inverno è significativo: la neve e il gelo indicano il freddo del cuore).
Il secondo quadro, ovvero “La torre di Babele” vorrei commentarlo insieme al terzo, cioè “il volo di Icaro”.
Entrambi mostrano il continuo tentativo dell’uomo di spingersi sempre più in alto (nel cielo e nello spazio) per conoscere: in questo caso si potrebbe usare la frase greca “conosci te stesso”.
L’episodio biblico della torre di Babele racconta che gli uomini costruirono - per sfidare Dio - una torre che arrivava a toccare il cielo e che per punizione Dio decise di confondere le loro lingue in modo che non si capissero piu e i lavori così si interrompessero.
Il libro e il film mostrano una profonda riflessione sulla condizione umana, segnata comunque dalla vittoria della Morte. Infatti il quadro “Il trionfo della Morte” mostra che è inutile costruire torri, ali e astronavi per raggiungere il cielo e per spingersi fino ai confini più remoti dello spazio, perché tanto un giorno la morte giungerà lo stesso, ma quei tre cacciatori che indomiti procedono nella neve dicono anche che l’uomo non si stancherà mai di ricercare, perché è la ricerca che fa la sua dignità e la sua grandezza.
Io considero il quadro dei cacciatori come un finale aperto: chi ci dice che il cervo, di cui si parla nella leggenda di sant’ Eustachio, non esca fuori da un momento all’altro per riportare la primavera in quel villaggio stretto nella morsa di un ghiaccio che sembra invincibile?
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il befe
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sabato 7 marzo 2015
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capolavoro
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fabiomassafra
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martedì 13 gennaio 2015
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re lear (film sovietico 1971)
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l'attore juri jarvet è "re lear" in un fantastico film in bianco e nero passato su una rete rai (movie, 4, ecc), credo oppure su iris nella notte di un anno fa circa. il film è stato un bellissimo film tatrale. vorrei tanto ritrovarlo e rivederlo.
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isin89
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martedì 6 gennaio 2015
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l'attore protagonista dove l'hanno tirato fuori?
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Ragazzi questo film è bellissimo, suggestivo ed emozionante. Estremamente lento e poco scorrevole ma dotato di una forza d'animo elevata. L'unica nota davvero negativa del film (e credetemi potrei addirittura dire che il film fa schifo solo per colpa sua) è l'attore protagonista. Pessimo, patetico e soprattutto fuori luogo. Dai commenti sopra emerge la somiglianza con Villaggio, è vero. Ma davvero in Russia non c'erano altri attori per interpretare quella parte? E per piacere non ditemi che non è vero perché proprio non ci siamo. Non mi aspettavo il classico bullo americano tutto bello e tirato per carità, ma nemmeno un panzone vecchio inespressivo con la faccia da cretino.
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Ragazzi questo film è bellissimo, suggestivo ed emozionante. Estremamente lento e poco scorrevole ma dotato di una forza d'animo elevata. L'unica nota davvero negativa del film (e credetemi potrei addirittura dire che il film fa schifo solo per colpa sua) è l'attore protagonista. Pessimo, patetico e soprattutto fuori luogo. Dai commenti sopra emerge la somiglianza con Villaggio, è vero. Ma davvero in Russia non c'erano altri attori per interpretare quella parte? E per piacere non ditemi che non è vero perché proprio non ci siamo. Non mi aspettavo il classico bullo americano tutto bello e tirato per carità, ma nemmeno un panzone vecchio inespressivo con la faccia da cretino. Sarebbe come vedere 2001 di Kubrick interpretato da Paolo Villaggio o da Lino Banfi, assurdo. Davvero non riesco a giustificare la scelta registica per questo becero, non è per niente credibile e spero vivamente che la produzione si fosse dovuta accontentare di questo incapace e che non l'abbiano scelto appositamente. Scusate ma mi da i nervi questa cosa. Come rovinare un film eccezionale.
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